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Il 2016 si chiude con un sistema politico, dalla Sardegna all’Europa, debole e facilmente scardinabile. La situazione, per chi vuole cambiare lo stato di cose presenti, sarebbe ottimale, ma rischia di approfittarne chi fa finta di cambiare ma in realtà lascia tutto così come è.
Il 2016 è stato l’anno della Brexit, cioé dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, della vittoria di Trump alle elezioni presidenziali statunitensi e del riaffermarsi da protagonista della Russia nello scenario internazionale (Assad ha riconquistato Aleppo).
In Italia la campagna referendaria, lunghissima, si è conclusa con una netta bocciatura sia della proposta di modifica della costituzione, sia del governo Renzi. Il presidente Mattarella, ed il PD, hanno risposto avallando un governo fotocopia del precedente, il quale probabilmente galleggerà per molti mesi, sino a quando le contingenze e Matteo Renzi non porteranno l’Italia a nuove elezioni politiche, con una legge elettorale diversa da quella attuale.
Tutti questo è tenuto insieme dalla fine di una realtà e di una narrazione: la realtà è il ceto medio, la narrazione è che il neoliberismo avrebbe portato benefici per tutti.
In Sardegna l’economia non dà segni di ripresa. Fanno ridere le dichiarazioni di Pigliaru e Paci che santificano il proprio operato quando qualche indicatore economico, per quanto piccolo, migliora. Il risultato del referendum del 4 dicembre in Sardegna (la regione con la più alta percentuale per il NO) certificano sia il grado di consenso del governo Pigliaru sia la percentuale di rifiuto dell’ordine esistente.
Se esistesse ancora la Politica con la P maiuscola, tutti i partiti ed i consiglieri avrebbero optato per l’approvazione della nuova legge elettorale e l’indizione di nuove elezioni sarde.
L’anno che verrà sarà l’anno delle elezioni in Francia, Olanda e Germania, con l’Unione Europea che mostra una solidità degna del Titanic. I sardi dovrebbero guardare alle proposte di riforma della nostra economia, avanzate in questi mesi da Varoufakis, Stiglitz e Jean-Luc Melenchon, candidato alla presidenziali francesi. Segnalo la riproposizione, da parte di Emiliano Brancaccio, di un “international social standard” per la nostra moneta, presente e futura1.
Il governo italiano subirà il tema migranti e, insieme a quello sardo, nel 2017 faranno melina e saranno sostanzialmente spettatori.
In Sardegna tutti coloro che non si riconoscono nei tre poli esistenti (centrodestra, centrosinistra e Movimento 5 Stelle) devono trovare modalità politiche ed organizzative, nonché convergenze programmatiche, per essere la proposta di governo alle prossime elezioni. Lavoriamo per una proposta plurale, inclusiva, larga riformatrice, sardista, indipendentista e di governo, che competa sui temi dell’autodeterminazione e della sostenibilità, su cui le altre tre proposte balbettano o dicono bugie. Lo si deve fare nel 2017. Noi siamo a disposizione. Si dialoghi e si arrivi una sintesi in fretta, alla luce del sole. Se il tema è la leadership la si scelga in modo partecipato, popolare.
La nostra proposta di governo indica un diverso modello di società. A tal proposito c’è un grande momento, uno spartiacque, che può segnare un confine (o di qua o di là), e che può ricollegare il popolo sardo ai temi del lavoro, dei diritti, della dignità, nonché dell’Europa e delle politiche economiche: i referendum sui voucher, sul Jobs Act (riforma del lavoro) e sugli appalti.
Il diritto all’autodeterminazione va di pari passo col disegno della società che auspichiamo.
L’11 gennaio la Corte Costituzionale si esprimerà sull’ammissibilità dei referendum.
Il 2015 ed il 2016 hanno visto un boom dell’utilizzo dei voucher, inventati per cercare di regolarizzare le piccoli mansioni pagate da sempre in nero. Attraverso l’utilizzo dei voucher, però, il lavoratore accetta impieghi al ribasso e vede azzerati i propri diritti con una contribuzione ridicola ai fini previdenziali. Dietro il voucher si nasconde illegalità e povertà.
Il referendum sulla riforma del lavoro chiede il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo, estendendolo anche per le aziende sotto i 15 dipendenti, fino a 5 dipendenti.
Nel caso in cui ciò avvenga in un’azienda con meno di 5 addetti, il reintegro non sarà automatico ma a discrezione del giudice. In caso di reintegro, sarà il lavoratore a scegliere il risarcimento congruo o il rientro.
L’ultimo quesito prevede l’abrogazione delle norme che limitano la responsabilità solidale degli appalti, perché bisogna difendere i diritti dei lavoratori occupati negli appalti e sub appalti coinvolti in processi di esternalizzazione.
Si tratta di un primo passo che, insieme al reddito di cittadinanza ed a diritti estendibili a tutti i lavoratori, autonomi o subordinati, disegnano una società dove non è la competizione la nuova religione.
Ma se è il dipendente ad autodeterminarsi, dubito lo si possa più chiamare così.
Troppo spesso ci si scorda che siamo ‘integrati’ in un macrosistema la cui complessità non consente scarti di lato e non attribuisce alla singola nazione, per quanto economicamente forte, una piena autodeterminazione. O forse davvero qualcuno è convinto che la Brexit abbia affrancato la perfida Albione dalle ferre e stritolanti leggi del mercato globalizzato? Leggi, fra l’altro, alquanto esoteriche anche a chi sta dentro la stanza dei bottoni. Non si capisce più chi e cosa governi il mondo.
Autodeterminazione? Pie illusioni.