A marzo del 2024 saranno cinquant’anni dalla scoperta (almeno ufficiale) del complesso statuario di Mont’e Prama.
Prima notizia: la Fondazione celebrerà l’importante ricorrenza secondo il programma che sarà predisposto dal Comitato tecnico scientifico appositamente costituito e del quale saranno invitati a far parte Soprintendenze, Direzione regionale dei Musei, Museo Archeologico nazionale di Cagliari, Università, amministratori ed ex amministratori di Cabras.

Sono passati cinquant’anni eppure Mont’e Prama, il sito archeologico intendo, per qualcuno resta un luogo indefinito sul quale montare presunti scandali.

Nel minestrone di ruspe, imprese (ora siciliane ora emiliane) arrivate a Cabras con appalti oggetto di allusioni indimostrate e indimostrabili, erbacce alte tre metri (!) e cartelli che, all’interno di un complotto contro i Sardi e a favore di non si capisce quale Spectre istituzionale-affarista, sarebbero stati affissi per disconoscere l’epopea della Civiltà nuragica (!!), il grande assente è il racconto ordinato dei fatti.

La Fondazione è stata costituita nel luglio 2021. Registro molta attenzione “scandalistica” e molto pregiudizio su quel che è accaduto da allora in poi, con poca (o nessuna) attenzione al punto di partenza ereditato, alla situazione normativa e amministrativa che ha fatto e fa da sottofondo al perimetro di azione della Fondazione e alle innovazioni che stanno portando alla risoluzione di problemi che, in decenni, non si sono nemmeno mai affrontati.

Andiamo pure con ordine. La Fondazione viene costituita quando – su Mont’e Prama e sulla gestione dei beni archeologici di Cabras – i rapporti fra istituzioni sono al minimo storico: il Museo di Cabras viene chiuso con ordinanza del sindaco, i carabinieri scortano la Soprintendente che chiede di poter entrare a prelevare i reperti che sono di proprietà dello Stato. Si rischia il cortocircuito istituzionale.

Il tema, già emerso nei sette anni precedenti, è quello del ruolo del Ministero rispetto alla gestione di un bene che la Sardegna e la comunità di Cabras percepiscono come fortemente identitario. Bisogna, insomma, far convivere le prescrizioni (e le interpretazioni) del Codice dei Beni culturali con le giuste istanze di autogoverno del territorio.

Mentre va in onda questo cortocircuito istituzionale, a Mont’e Prama qual è la situazione? In 47 anni non c’è stato un ministro, un presidente della Regione, un deputato, un assessore regionale che si siano preoccupati di farlo diventare un sito archeologico degno di questo nome.
Con un minimo di infrastrutture (a Mont’e Prama fino al 2021 nessuno aveva mai pensato di portare la corrente elettrica o l’acqua corrente) da destinare a chi deve scavare o studiare e a chi deve essere messo in condizione di visitarlo.

Niente di tutto questo.
Mentre l’incuria avanza, Mont’e Prama diventa un luogo di scontri ideologici e lotte di potere: Soprintendenza contro Università e viceversa, Soprintendenze in dissidio fra loro, vincoli che non vengono decretati e dunque vigneti che spuntano dall’oggi al domani, egomostri che snocciolano teorie fantascientifiche che vengono spacciate per verità ormai assodate.

Nella latitanza della politica vera, si consumano piccole e grandi miserie, che pure non riescono a mettere in ombra le scoperte archeologiche, mentre le amministrazioni locali (da Trincas a Carrus, fino ad arrivare ad Abis) meritoriamente resistono e portano avanti le progettualità rese possibili dai mezzi a disposizione.

Un lampo di luce – sul sito archeologico – lo si registra con la giunta Pigliaru, che destina una importante somma agli espropri di aree contermini a quelle degli attuali ritrovamenti e che potrebbero essere oggetto di futuri scavi.

Qual è dunque la situazione quando viene costituita la Fondazione?
– Ministero e Comune di Cabras sono arrivati allo strappo istituzionale.
– il sito Mont’e Prama è privo di ogni minima infrastrutturazione.
– i terreni oggetto di scavo sono di proprietà della Diocesi, che ha un accordo esclusivamente col Ministero.
– la Soprintendenza detiene il monopolio della ricerca scientifica e non riconosce all’università titolo per svolgere ricerche parallele o alternative.
– il Comune di Cabras ha in cassa i soldi stanziati dalla Giunta Pigliaru ed erogati materialmente dalla Giunta Solinas ma non ha ancora titolo giuridico per effettuare gli espropri.
– sul mappale in cui sono stati effettuati i ritrovamenti delle statue insiste un vincolo assoluto e secondo il Codice nessuno può accedere o spostare una pietra o tagliare un filo d’erba se prima non ottiene il nullaosta della Soprintendenza.

Questa è la situazione a dicembre 2021, quando la Fondazione ottiene il riconoscimento giuridico della Prefettura e può iniziare a operare.

O, meglio, potrebbe. Visto a dicembre 2021 in cassa non c’è un euro bucato.
Oltre che sul Cda, si può contare esclusivamente su due dipendenti, uno amministrativo e uno per la comunicazione, che il Comune di Cabras mette a disposizione per 12 ore alla settimana.

Ma i mesi da luglio a dicembre non sono passati invano: a ottobre la Fondazione riesce a ottenere dal Ministero la dichiarazione di pubblica utilità su undici ettari, che da quel giorno diventano espropriabili.

E il Cda lavora a progettare interventi mai pensati prima, da proporre al finanziamento: vengono pensate e compilate schede per infrastrutturare Mont’e Prama e cambiare il volto di Tharros, per mettere in sicurezza l’ipogeo di San Salvatore e ripensare il vecchio Museo civico.

Un lavoro massacrante ed entusiasmante, realizzato in gran parte da presidente e vicepresidente. Il Centro regionale di programmazione decide di scommettere su quella progettualità e propone alla Giunta di investire otto milioni di euro in opere pubbliche.

Assistiamo quasi increduli alla comunicazione ufficiale e, al momento della stipula della convenzione, ci rendiamo conto che occorrerà un miracolo per riuscire a rispettare i tempi, molto serrati, imposti dal cronoprogramma di spesa.
La Fondazione deve dotarsi di una struttura. E allora approva una architettura organizzativa che prevede Aree con responsabilità distinte, sul modello degli enti pubblici (Amminsitativa, Finanziaria, Tecnica, Eventi e comunicazione), riservando la parte della ricerca scientifica al Direttore, per l’individuazione del quale si fa partire la procedura selettiva.

Nel frattempo la Fondazione consegue il suo primo grande obiettivo, che ha una capitalizzazione immateriale che non è nemmeno quantificabile: riporta il sereno fra istituzioni e rende il dialogo e la collaborazione fra Ministero, Regione e Comune strutturali e costruttivi.
È grazie a questo immenso capitale che il lavoro di progettazione avviato dall’Area tecnica riesce a rispettare il cronoprogramma sugli interventi da realizzare.
Dappertutto, tranne che a Mont’e Prama.

Cosa accade, infatti? Il Ministero consegna a tempo di record i beni previsti dall’Atto costitutivo: dunque acquisiamo il titolo giuridico per aprire cantieri a Tharros e a San Salvatore. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

A Mont’e Prama il Ministero non ha niente da consegnarci: il terreno su cui si è scavato per anni è della Diocesi e quello su cui si fanno ricerche nel 2022 è di un privato. Il Comune non ha ancora fatto gli espropri.

L’Area tecnica comunica al Cda che la Fondazione, allo stato, non ha titolo giuridico non solo per spendere un euro su Mont’e Prama, ma nemmeno per spostare un sasso o tagliare un filo d’erba.

Mentre ci troviamo ad affrontare e risolvere problemi che nessuno prima si era mai nemmeno posto, arrivano vagonate di fango ad personam: nei minestroni che partono dalla differenza di vedute fra Cda/revisori dei conti della Fondazione e Comune di Cabras su chi dovesse pagare l’aggio alla Coop che gestisce i siti e approdano a fantasiose e calunniose teorie su “sprechi”, nuraghi di cartone, presunti ammanchi di bilancio (!), presunti autisti del presidente (!!), presunti falsi commercialisti in realtà produttori di patate (!!!), erba alta tre metri e cartelli fantasma, nessuno si occupa di tenere gli occhi sulle immani difficoltà e sull’intrico legislativo e amministrativo che la Fondazione è chiamata a sbrogliare.

Avevamo davanti due strade: mandare tutti a quel paese, rinunciando a un incarico che svolgiamo a titolo gratuito e riprendere in mano la nostra vita, o tenere la testa sulle spalle e assecondare l’amore che ci aveva portato ad assumere questo gravoso ruolo.

Abbiamo deciso di lavorare alle soluzioni: coinvolgere la Diocesi come socio partecipante della Fondazione e acquisire, assieme al mappale in cui sono stati ritrovati i Giganti, il titolo giuridico per poter finalmente svolgere i primi lavori. E per tenere il sito al riparo dalle erbacce e visitabile tutto l’anno.

E abbiamo poi firmato uno storico accordo col Ministero, che assegna alla Fondazione un ruolo sia sui futuri scavi che sul restauro, aprendo così indirettamente le porte al rientro delle università nel processo della ricerca.

Adesso a Mont’e Prama, dopo 50 anni, c’è la corrente elettrica. Ed entro la fine del 2023 aprirà il cantiere (in questi giorni sono 26 le imprese che partecipano alla gara) per la nuova recinzione, la videosorveglianza e la realizzazione di prefabbricati che saranno a disposizione di ricercatori, gestori e visitatori.

L’iter autorizzativo è stato lungo – infinitamente più lungo di quello che occorre per realizzare una rivista “patinata”, organizzare una manifestazione espositiva o fare promozione – ma alla fine possiamo dire che ce l’abbiamo quasi fatta.

Appena il Comune di Cabras completerà un esproprio che va avanti da due anni e ci consegnerà gli altri 11 ettari, arriverà il resto.
E Mont’e Prama avrà davvero una sua dignità di sito archeologico.

Perché ho fatto questo lungo racconto? Perché resto convinto che siano i fatti il miglior antidoto ai minestroni indigesti. I fatti sono il migliore degli anticorpi, anche quando l’ambiente nel quale si opera è potenzialmente tossico.