Anche a me hanno fatto vedere i risultati di una rilevazione demoscopica. Appena sono arrivato alla colonna dei partiti e ho visto che i Riformatori erano “pesati” attorno allo 0,5% l’ho preso e l’ho tirato a casino, come dicono a Kensington Palace (guardate che dicono davvero così, ormai, anche a Corte). 

Come è possibile, direte voi, che qualcuno abbia dato dei soldi a una società nota per essere seria, ottenendo in cambio risultati così totalmente fuori scala? La spiegazione è ampia e apparentemente dispersiva.

Cerco di arrivare subito al dunque, ricorrendo alla brutalità della sintesi giornalistica: i sondaggi fatti sulle Regionali sarde, così come quelli sulle elezioni politiche limitati alla Sardegna, sono allo stato poco più di carta straccia. Possono rivelare una tendenza. Ma quella, consentitemelo, la possiamo desumere anche se parliamo con le prime dieci persone della nostra ristretta cerchia.

Sono carta straccia perché per fare un sondaggio scientificamente affidabile occorrerebbero dieci volte i soldi (dai 150 ai 200 mila euro) che mediamente ha investito chi ha fatto realizzare le ricerche. Peraltro, sempre più spesso i 15 o 20 mila euro vengono considerati un investimento non tanto per fotografare la reale situazione e, conseguentemente, adottare contromisure o azioni propositive, ma per vestire di legittimità e competitività scelte e alleanze politiche costruite a tavolino. “Oh, lo dice anche il sondaggio, così siamo vincenti”.

Nella situazione kafkiana in cui ci troviamo nella congiuntura di queste elezioni regionali sarde, nessuno è stato finora in grado di dire nemmeno questo. Nel senso che i mini-sondaggi realizzati hanno indicato tendenze non decisive. O, meglio, nessuno è stato in grado di rendere compatibili fra esse le variabili che i sondaggisti si sono inventati per piazzare sul mercato il prodotto-discount da 15 mila euro, che al massimo i partiti o i singoli kingmaker vogliono spendere sulla Sardegna.

La combinazione fra “popolarità” (Lei conosce XY?), “affidabilità” (“Che giudizio ha di XY?”), “storicità del voto” (Per chi ha votato nel XY, e pensa di rivotare per quel partito/lista?) va in tilt quando nel meccanismo entrano, come nel caso delle Regionali sarde, liste e movimenti non dico personali (anzi, lo dico) e comunque autonome, seppur in certi casi satelliti, rispetto ai movimenti presenti in Parlamento. E quando tra i candidati a presidente si fanno strada personaggi che – al di là del reale peso elettorale, tutto da dimostrare – hanno una presenza mediatica robusta e un tasso di popolarità storicamente acclarato.

Dunque dalle rilevazioni soft emerge un quadro-spezzatino: certamente Renato Soru è più conosciuto (e più divisivo, e questo non è necessariamente un male, elettoralmente) di Alessandra Todde. Ma certamente Alessandra Todde ha dalla sua una “storicità” del voto a Pd e M5 che fa impennare un’altra colonna delle rilevazioni. E certamente Solinas è in molti sondaggi il più conosciuto (con Soru) fra i possibili candidati in campo, ma altrettanto certamente è il meno popolare. Ma pesa di più essere impopolari se mi conosce il 96% dei pochi intervistati o essere popolari fra il 65% che dice di conoscermi? Confesso che non ci ho capito nulla.

E’ per questo che ritengo assolutamente inaffidabili i sondaggi che circolano o che vengono branditi a pezzetti, secondo quella che è la convenienza dell’angolo da cui vengono originati e veicolati.

Allo stato preferisco riferirmi a un altro tipo di storicità, che in tanti hanno dimenticato, forse proprio nell’interesse delle società che vendono questi arditi oroscopi, che molte magre figure hanno rimediato nelle ultime stagioni elettorali.

In occasione delle Regionali del febbraio 2019 fino all’ultimo alcuni istituti demoscopici ci fecero credere che la partita era aperta. Uno, addirittura, ci fece andare a letto, a urne chiuse, sostenendo che Zedda avrebbe battuto Solinas allo sprint. Un quarto d’ora dopo l’inizio dello spoglio si capì invece che si stava andando incontro al più netto successo di un candidato da quando esisteva l’elezione diretta del Presidente della Regione.

Da cosa trasse origine quella errata convinzione, mai spiegata poi dai disastrosi estensori della infausta previsione? Esattamente dal metodo di rilevazione che è stato usato in queste ore, che sconta i limiti già elencati in precedenza e li aggiunge a una scarsa conoscenza del sistema elettorale regionale, ancora più particolare nella realtà sarda.

Mi spiego meglio. E’ chiaro che se tu chiedi a 100 persone un giudizio personale su Solinas e Zedda (per restare al 2019) è probabile che ottenga un risultato di sostanziale parità, o persino di leggera prevalenza di Zedda. E’ altrettanto chiaro che se il campione di intervistati è formato da puristi dell’ideologia politica o comunque da persone oramai storicizzate sul voto a un partito, la risposta può essere diversa ma comunque non capace di indirizzare nettamente il risultato da una parte o dall’altra. 

Cosa diversa è se allarghi significativamente il campione di intervistati per territori, fasce d’età, sesso, istruzione, propensione al voto “personale” e non partitico e ne ricavi un punto di partenza legato alla coalizione che è collegata al candidato a Presidente. Se a questo macro-dato associ un tasso che, storicamente, non è rilevabile per più di 3 o 4 punti percentuali legati al voto disgiunto (sia esso organizzato o legato a una effettiva preferenza per un candidato a Presidente diverso dalla coalizione per cui voterai) e capisci da quale “voto storico” arriva la crescente astensione, ecco che sarai forse più vicino a intercettare la tendenza. 

Per questo, prima di capirci davvero qualcosa, occorrerà attendere di conoscere tutti i definitivi nomi dei candidati a Presidente e l’effettiva composizione delle coalizione, con il numero di liste e candidati a supporto. Solo allora, a prescindere da ciò che diranno gli astrologi delle case demoscopiche, potremo capire chi davvero è in corsa per vincere e chi invece ha fatto i conti senza l’oste.