Con Emiliano Deiana, sindaco di Bortigiadas e presidente dell’Anci, anima critica che lavora a un profondo rinnovamento del Partito democratico, parliamo di politica italiana e sarda. Dell’oggi e del domani.
Il confronto sul governo è arrivato al momento decisivo. Lei è da sempre convinto che il Pd debba uscire dall’angolo e andare a vedere le carte del M5S?
Non si tratta di convinzioni personali. Si tratta di vedere la realtà per quella che è: le elezioni ci hanno consegnato tre minoranze. Per fare un governo bisogna che due delle minoranze si mettano d’accordo. Se si vuole consegnare l’Italia all’alleanza fra M5S e Lega si lasci fare e il Pd resti pure nell’angolo della scuola materna, dell’infantilismo politico. La “tattica” del Pd è partita dall’hashtag #senzadime, una sorta di politica da asilo nido: tu mi hai offeso e io non ti parlo. Occorrerebbe, invece, fare come in Germania. Incontrarsi, parlarsi. Verificare se ci sono convergenze programmatiche reali (legge elettorale, lotta alla povertà, lavoro, scuola ecc.) e sottoporre l’ipotesi di accordo – per quanto riguarda il Pd – al voto degli iscritti. Con serietà e mente sgombra, con spirito aperto al confronto e all’ascolto. Si guardi al bene del Paese e non all’interesse di parte o alle tattiche macroniste dei singoli. Credo che l’incarico esplorativo al Presidente della Camera Roberto Fico possa andare in quella direzione aprendo varchi importanti fra le diverse anime del M5S.
Se questo scenario dovesse verificarsi, cosa è lecito aspettarsi di concreto, dal punto di vista dell’azione legislativa ed esecutiva?
Una nuova legge elettorale che garantisca democrazia e governabilità. Una legge sulla democrazia nei partiti e nei movimenti. Norme stringenti sul conflitto d’interessi. Una lotta feroce alle disuguaglianze e alla povertà. Un investimento inaudito nelle comunità e nella democrazia locale per rilanciare le aree interne del Paese come motore di sviluppo. Nuovi diritti civili e di cittadinanza come lo Ius soli. La lotta alla criminalità organizzata e alle mafie. Un’accoglienza umana e ordinata delle migrazioni. Una politica estera mediterranea che rilanci il ruolo dell’Italia nel mondo. Si lascino invece stare ipotesi di riforme costituzionali che gli italiani hanno inesorabilmente bocciato il 4 dicembre. Si privilegi la “manutenzione” normativa e politica all’iper-riformismo gattopardesco del cambiare tutto per non cambiare nulla. La verità vera è che gli italiani vogliono un governo normale, fatto da persone oneste e serie che si pongano in un atteggiamento misericordioso ed empatico con le persone e le difficoltà che affrontano quotidianamente. Meno apprendisti stregoni e più vita reale. Meno hashtag e più umanità.
È presto per un serio bilancio – e dunque una autocritica – su quanto accaduto in casa Pd nell’ultimo decennio?
Forse è anche tardi. Il Pd doveva innovare la politica. In realtà si è assistito a una infinita lotta di potere fra correnti, fra gruppi di potere. C’è stata un’involuzione, anche sui temi, inimmaginabile solo qualche anno fa: sulla guerra, sulla pace; su “aiutiamoli a casa loro” detto da Renzi questa estate nei confronti dei migranti. Sul privilegiare i “padroni” ed abbandonare gli operai, nell’additare i dipendenti pubblici come fannulloni o caricare sugli insegnanti i fallimenti della scuola. Su una visione accentratrice e centralistica del potere contro le comunità locali e i territori. Non serve cambiare solo le persone se non si ritorna ai fondamentali di democrazia, uguaglianza e solidarietà. Serve cambiare l’approccio culturale alla politica, al proprio essere di sinistra nella modernità.
Di conseguenza, nel dettaglio, questa disamina arriverà anche in Sardegna?
In Sardegna – nel Pd e nel centrosinistra – siamo ancora incartati nella legislatura 2004-2009: l’ascesa e la caduta di Renato Soru. Non abbiamo nè analizzato nè metabolizzato quell’esperienza di Governo e quella sconfitta. Siamo ancora dentro alla vicenda Cabras contro Soru del 2007 mentre il mondo corre veloce in avanti. Con un’aggravante: l’affiliazione correntizia romana della quale, a turno, si è cercata protezione dimenticandosi, in parte, degli interessi reali dei sardi e della Sardegna: sui trasporti, sulle bonifiche, sulle servitù militari, sulle entrate fiscali, sugli investimenti esteri in Sardegna.
Ora si parla di Pd sardo, federato con Roma. Una proposta che Cabras e Maninchedda lanciarono già a inizio di questa legislatura. Non le pare che questa proposta arrivi fuori tempo massimo? Nel senso che possa essere interpretata come una mossa disperata per salvare il salvabile.
Non so cosa vogliano fare Cabras o Maninchedda dei quali, pur nelle differenze di visioni, ho grande rispetto per la loro storia e il loro passato. Personalmente – e non da oggi – sono per la nascita del Partito Democratico di Sardegna. In tal senso, come diceva Antonio Gramsci, bisogna “accelerare il futuro”. Per tale esigenza storica serve un acceleratore di particelle rappresentato dalle nuove generazioni che in grande parte sono già impegnate nella trincea delle amministrazioni locali – si tranquillizzino: io sono un vecchio amministratore comunale, un sindaco di campagna. Ci vogliono le nuove generazioni di amministratori che non hanno avuto nulla a che fare con le correnti romane fassiniane, bersaniane o renziane. Le nuove generazioni che sentono nel cuore l’essere sardi dovrebbero riflettere su un assunto banale: gli interessi della Sardegna sono diversi – nè migliori nè peggiori, ma diversi – da quelli italiani. Talvolta tali interessi sono in conflitto e bisogna lottare senza catene di affiliazione per vederli riconosciuti. La lotta la possono fare solo le generazioni non compromesse col collateralismo sardo-italiano. Naturalmente per una Sardegna aperta al mondo e non ripiegata sulle proprie malinconie, ponte culturale nel Mediterraneo e in Europa, ponte di libertà e di democrazia aperto alle positive contaminazioni culturali.
Cambiano le strategie ma non gli uomini e le donne che le portano avanti. Il Pd sardo sembra ingessato – ai vertici – da oltre dieci anni.
Non ho mai fatto politica personalizzando gli eventi. Quindi non mi va di personalizzare nulla. Vorrei solo suggerire di uscirne dalla banalità sfiancante del “bisogna ripartire dai Circoli”. Bisogna tornare alla vita reale delle persone. Si frequentino i negozi, i mercati, gli ambulatori, i bar e si verifichi il grado di refrattarietà (uso un termine neutro) che c’è nei confronti delle persone che hanno condotto i balli e i balletti della politica sarda negli ultimi decenni: a destra come a sinistra. Fatta questa prova ripartiamo dai circoli. Nessuno si spaventi dei risultati che usciranno da questo bagno di realtà. Nel caso non siano bastate le indicazioni date dagli elettori sardi il 4 marzo.
Il deficit di vero rinnovamento delle classi dirigenti è quel che più potrebbe frenare la credibilità delle vostre prossime proposte. Come pensate di superare questa difficoltà?
Non credo si tratti di deficit di rinnovamento. Si è molto rinnovato in questi anni. Il problema è la qualità del rinnovamento. Si è quasi sempre andati nella direzione degli avanzamenti e delle promozioni fra i più “fedeli alla linea” dei capicorrenti. Mentre i più brillanti e febbricitanti, visto l’andazzo, se ne andavano via e disertavano dall’impegno di partito.
Cosa lascia, di concreto, il vasto schieramento trasversale manifestatosi nella riunione sulla vertenza Ottana di venerdì 20 aprile?
La vicinanza al sindaco, ai giovani amministratori di quel territorio, alla comunità ottanese da parte di tutti i comuni sardi. Resta anche la diffusa convinzione che la ricetta del passato è sorpassata: bisogna investire sull’intelligenza delle persone e sul loro ritorno alla terra e alle produzioni della tradizione. Ottana è il paradigma dei paesi della Sardegna. Ottana è il paradigma di una sviluppo fallimentare e predatore. Se qualcuno pensa che si possano attuare le stesse ricette, fatte dagli stessi “capitani coraggiosi” che hanno sporcato la terra, le coscienze e le comunità, non ha compreso il grado di riconoscibilità – di politiche e personaggi – da parte delle comunità locali che negli anni hanno sviluppato anticorpi straordinari e che alcuni, sbagliando, sottovalutano.
Si è rimarginata, nel vostro partito, la ferita aperta con una parte dei vostri amministratori locali a seguito della questione ANCI?
La vicenda di Anci Sardegna non è mai stata la vicenda del Pd sardo, ma dei comuni sardi. Personalmente non ho mai confuso le appartenenze con le istituzioni. Mai gli organismi del partito democratico si sono occupati ufficialmente della questione, mai i sindaci iscritti al Pd hanno avuto la possibilità di confrontarsi fra di loro. C’erano due candidati che si sono sfidati e che condividevano la medesima appartenenza di partito. Uno dei due, dopo molte vicende, ha prevalso e guida l’associazione. Sarebbe sufficiente chiedere a molti dei sindaci che per due volte non mi hanno votato se ho mai negato loro supporto e aiuto o se le battaglie che abbiamo condotto nell’ultimo anno, dalla lotta alla povertà agli scippi dai bilanci comunali, sono a favore di tutti i comuni sardi o di pochi. Per il resto ho stima nei confronti di Giuseppe Ciccolini: è un bravo e competente sindaco, umanamente ne ho compreso l’amarezza, ma la vita e la politica vanno avanti come ha dimostrato la sua candidatura alle ultime elezioni Politiche col Pd. Personalmente non ho mai risposto alle offese che alcuni, per mesi, mi hanno dedicato. Volo più alto di certi abissi politici e morali.
Se lei potesse determinare la linea programmatica e comunicativa, su quali tre punti punterebbe nella prossima campagna elettorale per le Regionali?
Solo tre? Allora indico tre paradigmi sui quali fondare un programma. Il paradigma delle tre P.
Povertà, paesi, pastori.
Lotta feroce alla povertà e alla disuguaglianze, investimenti in cultura, legalità e istruzione. Rilancio dei paesi e della aree interne come nuova possibilità umana, economica e sociale della Sardegna e investimenti poderosi in cultura, istruzione e lavoro. Ritorno acculturato alla terra, cultura delle produzioni, pulizia della natura e del paesaggio anche in riferimento alle regole urbanistiche e paesaggistiche.
INTERLOCUTORI BOLLITTI. nulla di nuovo o interessante da rilevare.caro antony ti do un suggerimento cambia protagonisti. prova ad ascoltare la “gente” hanno cose più interessanti da raccontare,vai nelle scuole,nei mercati,nelle panchine,nei giardinetti,ascolta i “non protagonisti” sono molto più combattivi. in particolare le donne……………..buon lavoro
“Bolliti” is Sardos seus totus, anzis, iscagiaos in totu is termovalorizadores de marca itl (de is dipendhentistas a is indipendhentistas e totu is -istas), iscallaus, sèmpere afariaos a pistare abba pedindho e ispimpirallaos puru po torrare a pedire a sa GABBIA SURDA ITALIA.
Sinono su chi narat custu Deiana mi paret interessante meda.
Ma una dimanda tocat de si dhi fàere (a issu e a totus): Ma noso pentzaus ancora de fàere calecuna cosa sèmpere cuaos e isparéssios in buciaca de s’Itàlia?
Si no seus ancora própriu mortos e fossilizaos puru, tocat a fàere s’unidade natzionale de is Sardos, isolare is dipendhentistas di ogni risma e di ogni conio e apèrrere una crisi istitutzionale natzionale tra sa Sardigna e s’istadu italianu, ischire coltivare is capacidades e is cumportamentos de nosi guvernare, èssere dispostos a fàere disubbidiéntzia civile istitutzionale, no pensare a programmas de pedidoria po torrare a pedire s’incràs ca dh’ant giai immentigau, no pentzare de abboghinare prus a forte ca seus giai chentza boghe e che dh’aus a pèrdere puru deunudotu a prus de sa limba, ca aus a sighire solu a prànghere pedindho ancora agiudu a sa dipendhéntzia chi nosi at abbruxau fintzes is peis si ancora sa conca nono.
Tocat a cambiare comente mai aus cambiau, innantis chi sa Sardigna diventet unu desertu de gente, terra de safari, museo archeologicu, polígunu de esercitatziones militares ancora peus e, mancari, depósitu de is iscórias nucleare puru, ca tanti innoghe che at logu seguru!