Davanti a uno scenario kafkiano come quello sardo, la metamorfosi passa per un insetto. Uno scarabeo, per essere esatti. È il simbolo del Progetto AutodetermiNatzione, la coalizione politica che comincia a brulicare per le reti sociali, la cui immagine troveremo stampata sulle schede elettorali, nei collegi sardi, il 4 marzo venturo. I mezzi di comunicazione mainstream stanno già facendo ogni sforzo per oscurarlo. La campagna pubblica di disinformazione è cominciata. Ma non importa. Ci sono altri canali per fare dei ragionamenti seri sul presente e il futuro della Sardegna. E sono tante le persone attente alle novità. Fra poche settimane sapremo anche quante.
Il compito di un progetto politico nuovo è, senza dubbio, quello di crescere in consenso; ma non è l’unico. Prima ce ne sono altri. La diffusione territoriale e la conoscenza precisa dei problemi sono passaggi obbligati per articolare un programma con cui presentarsi alla cittadinanza. Poi c’è il necessario lavoro di formare e amalgamare una squadra di persone preparate e rappresentative. Per tutto questo, le prossime elezioni saranno un buon banco di prova e una prima occasione di rodaggio. Ma c’è un aspetto più fondamentale, a medio termine, che qualifica un progetto: riuscire a modificare le condizioni di partenza del quadro politico attuale. Il Progetto AutodetermiNatzione nasce per questo. La sua presenza vuole riconfigurare uno scenario disperso e confuso, per offrire sbocchi e alternative reali. Sarà questo l’indicatore vero della sua utilità politica.
Progetto AutodetermiNatzione non arriva, quindi, per aggiungersi a una lista interminabile di sigle, ma per smuovere il terreno politico e girarne le zolle come un vomere, sulla scia del lavoro iniziato da Sardegna Possibile e altre formazioni sarde nelle elezioni del 2014 (FIU, Unidos…). Quegli oltre centomila voti, allora disattesi, trovano oggi una nuova opportunità per farsi ascoltare, e per organizzarsi. Abbiamo una strada tracciata, che è quella di stabilire un nesso tra l’emancipazione nazionale (autodeterminazione) e l’approfondimento democratico (partecipazione, buongoverno) passando per i diritti (lavoro, salute, educazione) e i beni comuni (ecologia, cultura, infrastrutture). È la stessa strada che stanno percorrendo con successo i corsi e, prima ancora, i catalani. L’asse dell’autodeterminazione trasforma le coordinate politiche tradizionali e impone un nuovo ordine di ragionamenti. La dialettica tra centro e periferia, tra base sociale e vertici decisionali, modifica lo schema destra-sinistra e e le sue abituali derivate. Le vecchie etichette non sono più utili: bisogna ricominciare a pensare daccapo i possibili modi di dare risposta alle necessità reali con le risorse proprie. In questo quadro, l’economia dev’essere il mezzo, non il fine. E la politica serve precisamente a tracciare un percorso collettivo per passare dall’asservimento all’emancipazione.
La coalizione guidata da Michela Murgia aveva già messo in chiaro quattro anni fa una serie di idee che continuano a fare da riferimento; prima fra tutte la lotta alla politica clientelare, alla mentalità assistenzialista, che sono la negazione dei valori a cui si ispira l’autodeterminazione. La politica sarda deve occuparsi di gestire le proprie risorse, e le più importanti sono proprio quelle umane. Non si tratta soltanto di far tornare i cervelli che, in questi ultimi decenni, sono fuggiti dall’Isola; si tratta di coltivare quelli che abbiamo e di non farne fuggire più, ovvero di promuovere una politica capace di attivare tutte le intelligenze disponibili. Il che significa investire in formazione e in cultura, come priorità. Un’altra è quella di mettersi a lavorare insieme, fra diversi. È proprio quello che abbiamo cominciato a fare. La politica si fa solo con chi non pensa come te. Bisogna mettere a fuoco le necessità, i bisogni reali della cittadinanza, e coinvolgerla nella ricerca delle soluzioni e nel controllo delle decisioni prese. La cordialità e la correttezza negli scambi aiutano, peraltro, al confronto tra visioni diverse dei problemi. La politica sarda ne ha estremo bisogno. Nessuno ha la soluzione in tasca. L’unica certezza che abbiamo è che le risposte non ci verranno date da fuori, ma dobbiamo trovarle da noi, insieme, tenendo sempre a mente l’interesse della comunità.
Abbiamo anche capito che le scelte di autodeterminazione implicano una seconda inversione di tendenza, dal centro verso la periferia: dobbiamo uscire dalla mentalità metropolizzante, e ripopolare di politica i territori periferici, che in Sardegna sono curiosamente quelli interni, cioè centrali. In ogni caso, decentramento vuol dire ritorno ad una pianificazione fatta nei territori, vuol dire fare rinascere la partecipazione in ambito municipale, vuol dire dare all’ecologia un ruolo cardine, attorno a cui far girare le proposte di promozione sociale, culturale ed economica.
Finalmente, occorre un terzo spostamento del discorso politico, dai piani alti del potere ai piani bassi della partecipazione. Sono le comunità quelle che si depint apoderai, che non vuol dire solo resistere alle difficoltà, ma acquisire un potere condiviso (empowerment). In una società complessa l’idea di “prendere il potere”, come requisito di un singolo o di un piccolo gruppo, è inadeguada, oltre che dannosa; si tratta invece di apprendere ad “essere potenti insieme”, come diceva spesso M. Murgia. È anche per questo che AutodetermiNatzione crede nella logica del fare rete, e promuove nuove forme di leadership, basate sulla collaborazione e sull’influenza, piuttosto che sul comando. Una formula che non rimanda certo all’idea dei capibastone, tanto cara al resto dei partiti, ma semmai alla bacchetta della direzione orchestrale, o corale, un compito che le donne possono svolgere altrettanto bene degli uomini.
In conclusione, se il progetto è quello di provocare una trasformazione del contesto politico sardo così radicale come quella appena tratteggiata, è davvero necessaria l’umiltà, la tenacia e l’abnegazione di un animale come su carrabusu. Più esattamente, di una miriade di carrabusos. Queste elezioni chiamano nuovamente a raccolta le sarde e i sardi che si sono tenuti liberi, che nessuno ha potuto comprare con un favore, cioè quelli e quelle che per nulla al mondo rinunciano a pensare con la propria testa. Il 4 marzo è il primo appuntamento di un viaggio che dobbiamo fare insieme per riappropiarci delle istituzioni, e prima ancora di quei consensi fondamentali che ci permettono di pensare e di agire come popolo. Con una dignità da difendere e con una direzione da seguire. E la direzione è quella dell’autodeterminatzione, dell’inclusione, dell’autogoverno dei sardi e delle sarde. Una trasformazione radicale e necessaria, da fare insieme.
stefano puddu crespellani
bellissimo intervento!
grazie
stefano
A parte is carrabbusos (est ca a is Sardos praghet meda s’ironia o antífrasi e s’autoironia a su puntu chi a unu foedhu dhi faeus significare fintzes su contràriu!) in custa página che at cunsideros chi geo bosi àuguro chi no depais fàere sa die apustis de is votatziones.
Mi àuguro (a mimi etotu, ma custu ‘augúriu’ giai mi dh’apo fatu de meda a su puntu chi no seo prus su chi fui = metamórfosi, ca sinono seus gente morta, fóssile), mi àuguro e pruschetotu bosi arracumandho (ca a cumandhare no cumandho a nemos si no a mimi etotu) chi dhu fatzais (e mi che pòngio in mesu e naro CHI DHU FATZAUS) comente, a dolu mannu e disastrosu, no dh’aus fatu mai!!! Sinono sa sola ‘metamórfosi’ at a èssere a sighire a mòrrere e bochire sa Sardigna e is Sardos coment’e pópulu fatu de gente currendho aifatu de totu is bentos, aciapandho musca.