La Sardegna è una Nazione senza Stato. O, meglio, è una Nazione che in questa particolare fase storica è inserita in un patto costituzionale che dà forma alla Repubblica italiana.
Il “nazionalismo” italiano si è posto l’obiettivo, in diverse fasi storiche, di sdradicare e resettare gli elementi costitutivi della nostra Nazione.
Non potendo cambiare il nostro status, geografico, di Isola si è dunque impegnato a “italianizzarci”, confinando la nostra cultura e la nostra lingua in ambiti sempre più ristretti, agendo poi con ancora più feroce determinazione sulla nostra socialità e sulla nostra economia.
La Sardegna di oggi è anzitutto dipendente culturalmente da un’impostazione economica basata su consumismo e assistenzialismo, statalismo e autolimitazione.
Serve anzitutto una gigantesca operazione culturale per affrancarsi da una condizione che limita per prima cosa un processo democratico di autocoscienza.
Oggi nella società Sarda, complici i fallimenti dei poli italiani che negli ultimi 25 anni si sono alternati al governo dell’Isola, esistono le condizioni per avviare un percorso nuovo, che porti all’emersione di una coscienza che guardi con fiducia e senza più paura all’autodeterminazione del popolo sardo.
Io credo che la domanda – ricorrente, fra gli scettici – sulle attuali possibilità economiche sia formulata in maniera corretta.
Il primo passo è dunque quello di autogovernarsi, bene e con l’etica dell’interesse pubblico e del rispetto del nostro ecosistema come primo punto.
Questa volontà di autogoverno passa in maniera irrinunciabile dalla creazione di un’alleanza ampia – non tanto tra partiti quanto con i più ampi settori della società Sarda – che sia completamente alternativa a ogni agenda politica italiana.
Da qui la mia netta opposizione alla visione dei partiti che si richiamano – a parole – all’indipendenza ma che fondano la loro esistenza sull’alleanza – giocoforza subalterna – con la politica italiana e sulla gestione talvolta clientelare del potere che un’azione politica e di governo incentrata su modalità “italiane” consente, prevede e incentiva.
Non sono assolutamente spaventato dall’idea di indipendenza, figurarsi. Il mio orizzonte di cittadino sardo è quello.
Il nostro compito è quello di creare le condizioni perché la maggioranza dei sardi non ne sia spaventato. E perché poi la Sardegna abbia davvero gambe per poter camminare nell’ambito di un patto europeo e mediterraneo, stringendo partnership internazionali incentrate sui valori della pace, della fratellanza tra i popoli, della tutela e valorizzazione dell’ambiente e della sua riconoscibilità come terra dei saperi, dei sapori, della longevità, della cultura ultra millenaria, dei mari incontaminati e delle zone interne cariche di storie oltre che di storia.
Avremo modo, nei prossimi due anni, per promuovere confronti pubblici su programmi e azioni. Credo che si sia aperta una fase molto stimolante di confronti pubblici e coinvolgimento di settori vivi della società Sarda, che vogliono tornare a essere protagonisti.
Su tutti la nuova generazione di amministratori negli enti locali e una rete di piccoli imprenditori che nascono, crescono e affrontano la sfida del mercato nonostante il disinteresse della politica politicante e la giungla burocratica nella quale sono costretti a districarsi.
L’Autonomia Sarda è la più grande incompiuta di questa terra. E il nostro Statuto di rango costituzionale è lo strumento meno applicato.
E non più attuale, essendo stato adottato 70 anni fa. Nel frattempo il mondo è cambiato 70 volte.
Un passo decisivo verso l’autodeterminazione che deve guidarci a un’indipendenza, che non sarà “separazione” anticostituzionale ma la giusta evoluzione di un processo storico inevitabile, passa per la piena attuazione dell’Autonomia.
E quest’ultima passa da un immediato cambio di registro nei nostri rapporti con lo Stato italiano. Serve prepararsi, se necessario, al conflitto istituzionale e democratico permanente.
Serve documentarsi e avere piena coscienza dei nostri diritti per trasferire questa conoscenza nella determinazione a farli valere in ogni sede e con ogni metodo che la legge mette a disposizione.
Per farlo serve un’operazione culturale che favorisca la mobilitazione e la condivisione di gran parte del popolo sardo.
Se non sapremo coinvolgere il popolo – muovendone gli ideali prima ancora della convenienza economica – le nostre resteranno solo parole.
Come potrebbe essere autonoma la RAS se i suoi presidenti vengono scelti col beneplacito di Roma e sempre in concomitanza col governo amico italiano dello stesso colore di quello regionale?
Dal ’48 ad oggi questa regione non è mai stata autonoma e mai lo sarà fino a quando in Sardegna esisteranno partiti italiani dipendenti da Roma o federati.
Non sarà che l’esistenza dei partiti italiani in Sardegna sia solo per il semplice fatto che, se non ci fossero i “nostri” politici non potrebbero sedere in parlamento?
Pienamente d’accordo sulla riflessione…ma iniziamo a camminare a manu tenta. Stringendoci come la coppia in ballo sardo e poi su balli tundu. Potremo incontrarci ancora per l’ ennesima volta, ma questa volta con un documento vero e azioni concrete.