Condannato per omissione d’atti d’ufficio. È l’epilogo giudiziario – sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Oristano – della vicenda che ha riguardato il sindaco di Desulo Gigi Littarru.
Un epilogo maturato in seguito a una serie di fatti che descrivono da soli come lo storico problema della peste suina africana non sia solo un’emergenza sanitaria, ma il frutto malefico di un seme alimentato da decenni di mala politica.
Partiamo da un assunto: ancora oggi, a distanza di decenni, non sembra ancora chiaro a molti allevatori il senso di norme prescritte soprattutto per evitare la diffusione della malattia più che contro i pericoli per la salute umana.
Alcuni arrivano addirittura a sostenere l’inutilità del combattere la malattia poiché non ha mai attaccato l’uomo. Ormai non credono più ai dati relativi alle infezioni rilevate, tant’è che tra le recenti richieste presentate in un incontro col prefetto di Nuoro gli allevatori chiedono “la fine del monopolio delle analisi dello Zooprofilattico di Teramo”, sottintendendone l’inaffidabilità.
Si è finito per alimentare una sorta di fatalismo: la peste c’è sempre stata e sempre ci sarà. Un cortocircuito di disinformazione e rifiuto, quando servirebbe informazione e sensibilizzazione capillare.
La storia e le polemiche dei giorni nostri partono da molto lontano: da anni di segnalazioni e di richieste di collaborazione per eliminare i maiali divenuti ormai padroni dell’abitato.
Senza regole e incontrollati, si erano abituati a reclamare cibo nei vicoli del centro storico rovistando nei rifiuti deposti per il ritiro mattutino.
Gigi Littarru di fronte a questa insostenibile situazione si è posto come un sindaco favorevole alla regolamentazione e al rispetto delle norme.
Contrario invece a un sistema di imposizione forzosa troppo drastica con la quale, ce lo avevano già insegnato la storia e l’esperienza, si è ottenuto solamente l’ostruzionismo a qualsiasi intervento esterno.
A noi che lo conosciamo, il suo profilo è apparso il contrario del sindaco refrattario alle regole e propenso a tenere l’allevamento suino in completa anarchia, come ad alcuni sembra comodo far credere.
Le rare risposte delle strutture istituzionali alle decine di segnalazioni dell’amministrazione, sono state invece capolavori acrobatici linguistico-legislativi, finalizzati solo a divincolarsi dalle responsabilità e ributtare sul mittente l’onere di intervenire, approfittando di un sistema aggrovigliato in una stratificazione di regole fatte apposta perché esso stesso non possa funzionare.
Fu emessa in quel periodo la finestra sanatoria per la regolarizzazione degli allevamenti clandestini: chi avesse autodenunciato il proprio allevamento, entro una certa scadenza, avrebbe potuto regolarizzarlo senza subire la pesante sanzione prevista per legge.
Probabilmente la comunicazione e l’informazione non furono efficaci, molti allevatori raccontano come gli stessi veterinari sconsigliassero l’autodenuncia per mancanza di chiarezza delle regole.
In quel periodo mancavano del tutto attività deterrenti, non ci fu la necessaria azione di sensibilizzazione “porta a porta”. Così il risultato fu ampiamente inferiore a quello sperato e pochissimi a Desulo fecero domanda.
A onore del vero in quei giorni in viale Trento si parlava molto di lotta alla peste suina africana e anche nel comune di Desulo l’amministrazione mosse i primi passi per promuovere un progetto di valorizzazione della filiera suinicola.
Col supporto dell’agenzia LAORE provò di coinvolgere gli operatori nella speranza di diffondere l’interesse ad una prospettiva di sviluppo seria, un percorso di costruzione di un progetto economicamente valido e sostenibile che partisse dalla ricerca di soluzioni ai problemi evidenziati dagli operatori.
Si ipotizzava, oltre all’infrastrutturazione delle aziende, la multifunzionalità, la creazione di piccoli laboratori di trasformazione, di mattatoi locali o mobili, di soluzioni per la commercializzazione, di promozione dell’immagine dei prodotti in sinergia con le attività commerciali e del turismo.
Un periodo di intensa interlocuzione con la Regione, nel tentativo di cercare di rimediare al mancato sfruttamento della sanatoria di regolarizzazione i cui termini erano scaduti. Il tentativo era quello di coinvolgere gli allevatori, trovare insieme a loro la soluzione ed evitare un eventuale inizio degli abbattimenti.
Dal canto suo, la Regione sembrò appoggiare quel piano facendo intendere che non avrebbe lanciato i blitz di abbattimento in presenza di un dialogo con gli allevatori.
L’idea sembrava avere speranze di realizzazione, anche se in paese si registrò il riemergere di vecchie scorie e il contrasto sotterraneo verso l’amministrazione. Insieme alle chiacchiere, il primo segnale fu la comparsa di alcune scritte minacciose all’indirizzo dei partecipanti e promotori di quel progetto.
Divide et impera. Infatti, contemporaneamente, un gruppo di allevatori pensò ad un progetto alternativo e autonomo per la formazione di una cooperativa. Ottima iniziativa se non fosse che si contribuiva così a presentarsi in ordine sparso agli incontri e interlocuzioni con gli emissari della Regione.
Nonostante tutto sembrava che il percorso di questi progetti potesse continuare, fino a quando, a sorpresa, una mattina all’alba scattò il blitz dell’Unità di Progetto. Furono abbattuti una ventina di maiali non registrati all’interno di una porcilaia vicina alla Desulo Fonni, di proprietà di un anziano allevatore.
Si scatenarono diverse reazioni di protesta, ci furono riunioni agitate, proteste e la solidarietà unanime verso l’anziano allevatore colpito.
La reazione del Sindaco all’inaspettata azione dell’Unità di Progetto fu di delusione. Da subito si capì che il lavoro fatto fino ad allora poteva andare perduto.
Le interlocuzioni proseguirono e si cercò costantemente un dialogo: rappresentanti del mondo dell’allevamento incontrarono i funzionari e i politici di Cagliari.
Fu in queste occasioni che si rivelò in tutta la sua evidenza la supremazia degli organi regionali, mancò soprattutto la capacità di mediazione politica.
Il blitz successivo si trasformò in una manifestazione di popolo. Molte persone si recarono sul posto e impedirono di fatto l’azione di abbattimento. Il Sindaco ribadì con la sua posizione in favore della legalità ma invitando al dialogo e all’abbandono dell’uso della forza.
Ma il clima di tensione continuava a crescere, fu fatto perfino circolare un fax con cui il sindaco veniva avvisato dei blitz, quando però era già in corso, nel tentativo di attribuirgli la colpa di non aver avvertito gli allevatori.
Fu l’insieme di questi eventi a alimentare il clima sfociato poi nelle fucilate verso la finestra del soggiorno della casa di Gigi Littarru.
Buona parte della Giunta Regionale si recò a Desulo il giorno successivo, in una manifestazione di solidarietà che presto però si sarebbe rivelata solamente di facciata.
Infatti, nonostante il dialogo cordiale, disteso e apparentemente disponibile dei rappresentanti della giunta, la rigidità della linea non cambiò.
Poco tempo dopo cominciarono ad arrivare le notifiche di denuncia alla magistratura per il blocco delle attività di abbattimento e alcune persone furono sottoposte a restrizione.
Dopo un periodo di calma apparente, mentre si tentava di instaurare un dialogo, si riprese con gli abbattimenti. I militari arrivarono a Desulo bloccando preventivamente le strade d’ingresso, procedettero con un nuovo abbattimento.
Durante le operazioni, uno degli allevatori vicini a quella zona si presento come proprietario di maiali, chiese e ottenne di regolarizzare il proprio allevamento. Mentre alle prime analisi i suoi suini risultarono sani, a quelle successive risultarono infetti ed il sindaco venne chiamato ad emettere l’ordinanza di abbattimento.
Cominciò un braccio di ferro in cui il capo dell’Unità di Progetto De Martini intimava al sindaco di emettere l’ordinanza e ricevendo come risposta un rifiuto motivato dal fatto che quel procedimento di regolarizzazione fu attivato dall’Unità di Progetto, perciò ogni adempimento l’avrebbe dovuto concludere il suo direttore.
Tra l’altro, la procedura attuata era straordinaria e singolare, non sarebbe stata compresa e avrebbe sicuramente dato adito a malumori per la disparità di trattamento tra i due allevatori. Così l’abbattimento fu eseguito in assenza dell’ordinanza del Sindaco ma con la segnalazione della Regione alla Procura della Repubblica per omissione d’atti d’ufficio. L’epilogo è la condanna del primo cittadino, arrivata nelle scorse settimane.
È stato il presidente dell’Anci Emiliano Deiana, a seguito a quel pronunciamento, a raccontare cosa vuol dire muoversi in certi territori “accidentati”, citando il comprensibile senso di paura, in special modo quando è rivolto in primo luogo alla tranquillità e l’incolumità dei familiari degli amministratori.
Ma si tratta anche di rabbia. Rabbia nei confronti di coloro che dovrebbero essere alleati al tuo fianco per cercare di risolvere i problemi.
Rabbia nei confronti di chi è convinto, da lontano, che sia semplice risolvere le situazioni imponendo con la forza, specialmente quando hai tentato in tutti i modi possibili di spiegare che non si tratta solo di imporre le leggi, ma si tratta di ragionare e cercare di persuadere, parlando e ascoltando anche ragionamenti a volte incomprensibili e posizioni lontanissime dalle nostre, ma con la consapevolezza della necessità della pazienza, del lavoro e del sacrificio.
È la rabbia degli amministratori dei piccoli paesi lontani e isolati. Persone che investono il loro tempo con passione, togliendolo alle proprie famiglie, alla propria libertà.
Sacrifici per nulla ricompensati, anzi in stridente contrasto con i privilegi di altre categorie di politici, che allontanano infine i più dalla vita amministrativa dei paesi.
È la protesta e la polemica di chi non ha altra strada per farsi ascoltare e, come ha fatto Gigi Littarru, deve gridare contro una storia infinita di decisioni prese lontano senza voler ascoltare chi quei territori li vive. Quando l’unica cosa che resta da dire è: “io non sono d’accordo col metodo che avete scelto, volete imporlo? Allora fatelo da soli”.
Questa vicenda è la dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, della totale distanza di questa Giunta Regionale di analizzare, comprendere e governare gli eventi.
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