(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)
Oggi ci siamo svegliati con un assessore della Giunta Pigliaru – Paolo Maninchedda, punto di riferimento di un gruppo consiliare composto da cinque persone – che fa l’opposizione alla maggioranza, accusandola di non aver sostanzialmente mai fatto l’opposizione al governo romano, presuntamente “amico” della maggioranza.
Quell’assessore ha drammaticamente ragione: il governo italiano ci frega, nel comparto agricolo come negli altri, e la Giunta non si oppone.
Anzi, come hanno fatto ieri molti esponenti della maggioranza, ci si spinge a ringraziare il governo o il ministro “amico” che simula di aver regalato ai sardi i soldi dei sardi.
L’assessore ha drammaticamente ragione. Ma non riusciamo a spiegarci come possa – senza provocare ribellioni – interpretare alla stessa maniera i ruoli di oppositore e di azionista politico della maggioranza stessa.
Come possa, alla stessa maniera, prendere le distanze e poi rivendicare l’appartenenza, presente e (chi lo sa, visti i precedenti) futura.
Ieri c’eravamo invece svegliati con tre/quarti del gruppo di Sel (partito che non esiste più) che sfiduciava l’assessore di Sel.
Insomma, una maionese impazzita.
Lo stallo in cui versa la Regione da mesi sta diventando imbarazzante, con il rimpasto rimandato da un anno all’altro, due assessorati vacanti e il presidente Pigliaru che pensa a discutere di Pd nazionale e non ai drammi della Sardegna. Con la disoccupazione giovanile al 56% in testa.
A questo punto, rimangiandomi a malincuore la mia feroce opposizione alle elezioni anticipate, viene da dire che prima questa farsa finisce e meglio è per tutti.
Votare subito è il pensiero immediato. Poi uno si chiede: ma andare al voto per votare chi, sempre questi fuoriclasse della politica? Per assistere a un girotondo intorno al tavolo degli assessorati e vedere gli stessi volti o gli stessi partiti? Per vedere immancabilmente partiti, giunte, politici frutto della radice unica del servilismo al referente comandante in capo di turno a Roma?
Credo sia il caso di pensare a una premessa: vogliamo ancora continuare allo stesso modo, servi a casa nostra? Perché questo ci toccherà fare ancora una volta. A meno che i presunti indipendentisti non decidano davvero di avviare un percorso democratico che miri a scompaginare la situazione. Ma chi dovrebbero essere, coloro i quali per l’appunto fanno gli indipendentisti e poi si apparentano ai partiti italiani e ci governano insieme? Andare al voto lo suggerisce l’istinto e la logica. Ma non votare è la conseguenza di uno scenario come quello che abbiamo davanti agli occhi, immutato da sessant’anni.