Ieri pomeriggio ero libero (strano, ma vero) e mi sono recato in fretta e furia a Siamaggiore.
In questo paesino che si trova vicino a Oristano, l’Amministrazione comunale ha organizzato un convegno interessante. “Le vie dell’indipendenza e dell’autonomia. Visioni a confronto”. Importanti relatori e la suggestione catalana che incombe: domani si vota per il referendum indipendentista e in Sardegna i partiti “sardi” sono impressionati dallo spessore delle vicende di Barcellona e dintorni.
Perche perdere questo appuntamento? Sono andato. E sono anche riuscito ad arrivare quasi puntuale, il dibattito era cominciato da pochi minuti. Ho incontrato anche amici e amiche che non vedevo da lungo tempo. Bello. “Sentiamo cosa ha da dire la nostra classe dirigente”, mi sono detto.
Il monento cruciale è stato però quando, in chiusura, una signora ha alzato la voce contestando Antonello Cabras, presidente della Fondazione bancaria più importante della Sardegna. “Lei sta bene con il suo stipendio regionale (sic), ma noi stiamo male perché siamo a corto di mezzi economici. E mio figlio è dovuto andare fuori”. Un altro cittadino ha fatto notare che si era parlato molto senza che però, quelli che hanno governato la Sardegna per decenni, si prendessero almeno un po’ la responsabilità del disastro economico. Disperazione impolitica? Rabbia popolare ingiusta contro una classe dirigente? Populismu? Forse.
La sindaca Anita Pili e il moderatore Vito Biolchini hanno cercato di calmare gli animi. “Il tema di oggi non è questo”, ma probabilmente la vera questione non è tanto l’autodeterminazione, ma la distanza siderale che corre tra gli argomenti delle èlites e i problemi economici delle persone comuni in Sardegna.
La Catalogna è in una fase epica, mentre in Sardegna invece con il fallimento del governo Pigliaru, l’impressione è quella dell’immobilità anche per gestire un’autonomia che è più formale che di fatto. E allora, sembra che i partiti e i politici pensino ad altro.
L’obiettivo della tavola rotonda di Siamaggiore era quello di osservare la crisi e cercare di fare proposte per uscirne. Progettualità contro disperazione, nell’accezione più gentile che si possa dare al tutto.
A parere di Giammario Demuro, docente di diritto costituzionale, l’autonomia è stata una grande conquista, il contrario del fascismo, come sosteneva Lussu. “ Io sarei anche federalista – ha detto l’ex assessore regionale che però ha sostenuto la riforma anti autonomista di Renzi e si è dovuto dimettere – ma il federalismo non è previsto nel nostro ordinamento”. Infatti, ce ne eravamo accorti, caro professore.
“Il popolo sardo, alcuni fa, votò un referendum per la costituzione di un’assemblea costituente – ha detto Christian Solinas, segretario nazionale del Psd’az – ma nessuno l’ha messa in agenda. La situazione odierna l’aveva preconizzata Mario Melis, quando parlò di sardismo diffuso. La mia idea di indipendenza è come quella di Melis che ne parlava come indipendenza e come interconnessione e non di separatismo. L’indipendenza è un modo di aprirsi al mondo, con una consapevolezza migliore”.
Per Paolo Maninchedda, leader del Partito dei Sardi, un nuovo stato può nascere in Europa, visto che è già successo, quando si verifica la sostenibilità politica. Il problema della Sardegna è la crisi economica e finanziaria visto che non ci sono neppure i soldi per la manutenzione stradale. E’ necessario sviluppare i poteri, i diritti e la ricchezza prodotta. La tesi dell’ex segretario del Partito Popolare, ex esponente di Progetto Sardegna e del Psd’az, è che rivendicando più poteri alla classe dirigente locale si può agire sulla leva fiscale e far crescere il PIL sardo. E da lì ripartire per agire la sovranità in maniera più efficace. Serve però coesione interna, mentre i politici sardi passano il tempo a insultare e litigare fra di loro e poi non si riesce neppure più a recuperare. “Un punto di caduta per questo progetto – ha sottolineato – tra autonomisti e indipendentisti si può trovare”.
Questa visione politica ha suscitato l’interesse di Antonello Cabras che ha fatto intendere che questo sentiero potrebbe essere percorso, anche se – ha spiegato – lui non condivide la tappa finale dell’indipendenza. Però la Costituzione proposta dal Partito dei Sardi ha il suo gradimento, perché in buona sostanza “traduce in sardo” (sic) quella italiana. “Oggi viviamo in un mondo fatto di interdipendenze e la Sardegna ha un problema di gap infrastrutturale che senza uno stato o un’Unione Europea che garantiscano per noi non possiamo superare”. “E non sono convinto – ha spiegato – che ciò che noi decidiamo in autonomia sia giusto. Pensiamo, per esempio, agli investimenti fatti sulle condotte idriche nella convinzione di sviluppare il settore agricolo, che invece non ha risposto nella misura attesa”.
Cabras è coerente, ho pensato. Continua a ragionare come ha sempre ragionato la classe dirigente sarda di sinistra in Sardegna. La dipendenza è un fatto strutturale. Anzi è isolamento. Nessuna speranza. Nessun cambiamento o rivoluzione culturale. Non si cita neppure il federalismo che fino agli Anni 80 era di moda. Maninchedda, come senza volere forse si è detto, traduce “in sardo” (si fa per dire visto che nega la questione lingua da anni) modelli politici italiani. E per lo schieramento di Cabras questo va bene. L’alleanza tra autonomisti e indipendentisti economicisti, se si farà, sarà un cartello delle élites che devono trovare un nuovo vestito per mandare avanti pratiche vecchie e fallimentari, ma che per loro, si badi bene, è la cosa migliore cui può aspirare questa disgraziata Sardegna.
C’è un giudizio negativo e pessimistico sulla Sardigna alla base di questo pensiero delle nostre classi dirigenti. Un negazionismo di prospettive.
Questo si chiarisce molto bene – per chi vuole capirlo – quando il moderatore Biolchini introduce sommessamente la questione linguistica (che in Catalogna è centrale per la coesione sociale e la crescita economica, anche se in Sardegna nessuno della classe dirigente lo ammette). Cabras evita il discorso, Solinas fa capire che senza economia la lingua non vince, Demuro en passant e Maninchedda tranchant che nega, come ha sempre fatto nella sua storia politica, con poche parole, il problema della lingua nazionale: “In Sardegna abbiamo parlato sempre molte lingue e ci siamo capiti”.
Sono tornato a casa triste. Mi pare più coerente Cabras che continua a dire ciò che ha sempre pensato e continua a gestire un sistema in maniera intelligente.
Invece continua a non convincermi l’indipendentismo italianista dei filologi accademici. E non mi persuade perché è inutile pensare di costruire uno stato se non si pensa a costruire la nazione. E senza lingua, fare una nazione di italòfoni isolani senza identità mi sembra solo un separatismo provinciale, senza nessuna ragione valida che possa essere portata per la sua esistenza nelle sedi internazionali. Ma allora perché anche il Molise e la Basilicata non si possono aprire un’agenzia delle entrate e chiedere l’indipendenza?
Torno a casa e passo dalla 131. Neppure un cartello in sardo per circa 100 chilometri nonostante anni ormai di governo filologico-indipendentista dell’assessorato dei Lavori Pubblici.
Ne’ Maninpasta ne’ Cabras porint firmai su disiggiu de indipendenzia chi boleus. Chene Roma, E cun una limba po tottus. De imparai e de fueddai in su mundu.