(Per leggere l’articolo in sardo cliccare sulla bandierina in alto)
C’è voglia di confronto su lavoro, reddito di cittadinanza e reddito garantito, la questione dell’impiego e del reimpiego, della formazione continua e del sostegno al reddito.
Confronto e consapevolezza, non più solo sterile lamentela e delega in bianco alla politica. L’ho percepito da tempo e l’alto numero di interazioni di post su Facebook, su questo tema, mi ha confermato la sensazione.
Del resto, i dati sul lavoro che non c’è sono emblematici dello sfascio davanti al quale ci troviamo.
C’è da farsi venire la disperazione pensando al futuro degli adolescenti di oggi, ai giovani neolaureati o che hanno cercato di imparare una professione, a chi tenta di farsi strada nel mondo dell’impresa, a chi trentenne, quarantenne o cinquantenne un impiego non ce l’ha. Non l’ha mai avuto o l’ha perso.
Lo Stato insiste a non preoccuparsi del fatto che continuano mancare le condizioni per crearlo – quel lavoro che è un diritto costituzionale – o per inventarselo.
Perché? La politica ha la responsabilità di non aver saputo proteggere il sistema delle imprese dalla concorrenza sleale del mercato globalizzato, soprattutto per quel che riguarda il costo del lavoro.
Le imprese hanno la grave colpa di aver assecondato questa slealtà, facendo la corsa a delocalizzare per risparmiare sui costi, impoverendo così il tessuto produttivo italiano.
Sindacati e conservatori, infine, dovranno rispondere davanti ai Tribunali della Storia per non aver accettato la sfida sulla modernizzazione del mercato del lavoro, quando ancora si era in tempo per evitare gli effetti nefasti della globalizzazione e di una deregulation tutta voucher e diritti negati.
Dicevano di temere precarietà e sfruttamento e si sono ritrovati di fronte al deserto occupazionale.
Tutta colpa dello status quo, da sempre principale nemico dell’innovazione virtuosa, fatta di formazione continua e vocazione all’autoimpiego.
Questa è l’amara realtà.
Ma, già che ci siamo, sarà forse il caso di mettere in discussione il sistema che – a livello mondiale – governa le nostre esistenze da decenni.
Ci provò, in un celebre discorso del marzo 1968 (tre mesi prima di essere ucciso), il senatore Bob Kennedy: «Non troveremo mai un fine per la Nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del Pil. Nel Pil è compreso anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e pure le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei week end. Comprende programmi tv che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi».
Aveva ragione, Kennedy jr. Proviamo davvero a liberarci della schiavitù consumistica, se vogliamo assicurare un futuro migliore ai nostri figli. Così come ha ragione Pepe Muijca, l’ex presidente uruguagio del quale abbiamo ripreso qualche giorno fa un celebre discorso su lavoro e felicità.
I poveri e i senza salario sono l’emergenza numero uno in Sardegna, il Problema dei problemi. Chiunque voglia pensare al futuro non può che mettere al centro una questione così gigantesca.
Direttore, il problema non è la globalizzazione (è una grande opportunità invece), né il consumismo (tutt’altro l’ISOLA turistica è un modello di consumismo di altissimo livello da ESPORTARE così come le altre eccellenze della Sardegna!), né la mancanza di lavoro in sé.
Il problema è la mancanza di chi il lavoro lo crea: le IMPRESE. Perché mancano le imprese in Sardegna (quelle vere, non i prenditori di soldi pubblici pronti al ricatto per averne altri e così via in campio di finti posti di lavoro e stipendi e spesso a fronte di ulteriori costi all’ambiente o paesaggio oltre alle DISTORSIONI)?
Alle condizioni oggettive di svantaggio dal fatto di essere un’isola, isolata e soggetta ai trasportatori in monopolio che rispondono poco o niente a logiche di mercato (si vedano i continui prestiti ponte), se lei ha mai provato ad “aprire una partita IVA” ha subito capito che era l’inizio della sua fine e non della sua rinascita!
FISCO, INPS e BUROCRAZIA non solo scoraggiano, ma AGGREDISCONO, SPOLPANO e ANNIENTANO chiunque voglia realizzare un’attività economica su ciò che gli piace fare o su cui ha capacità.
Direttore, si faccia consigliare bene e lasci perdere Uruguay, Venezuela, Cuba e simili!
Saluti
parlare della stessa Regione Sardegna che per curare i suoi servizi risparmia sulla pelle dei lavoratori, appalti alla minima offerta, 650 euro di stipendio al lavoratore….E si vantano di aver salvato i posti di lavoro
La globalizzazione non e’ una opportunita’ per i paesi occidentali ma solo per i paesi asiatici che hanno fatto grandi affari .. la globalizzazione ci ha portato via il 30% della produzione industriale e del lavoro … la globalizzazione senza regole e il c.d. libero mercato sono stati un autentico suicidio per l’ economia italiana …le tasse, la burocrazia, l’ inps rappresentano l’ altra faccia della medaglia, meno lavoro uguale piu’ tasse per tutti, a questo aggiungiamo la perdita della sovranita’ monetaria ( che ci costa 80 miliardi l’anno di interessi non dovuti pagati dalle tasse degli italiani ), l’ euro, la dittatura UE con le sue assurde regole a favore del grande capitale e delle multinazionali e le condizioni per le imprese che vogliono investire vengono meno ….
La vittoria del NO al Referenum ha peggiorato la situazione lasciandoci in un pantano nauseabondo.Avete mai pensato a quanti posti di lavoro si sarebbero potuti creare con gli stipendi dei senatori con l’abolizione del Senato,con l’abolizioni del cnel,col risparmio sugli stipendi ridotti dei regionali d’italia ? forse sarebbero stati miliardi..Ma,ormai l’occasione è perduta per stupidità d’aver ascoltato quelli che volevano lasciare le cose come stavano per mantenere poltrone e privilegi.Il proverbio dice: ” chi è causa del suo mal ,pianga se stesso”. AMEN e così sia.
Se avesse vinto il si al referendum avremmo avuto si l’abolizione del Senato, del Cnel , ecc…ma gli sipendi ai senatori e ai dipendenti degli enti soppressi ci sarebbero stati ugualmente : avrebbero riciclato le persone in altre sedi lavorative con gli stessi stipendi.
Quindi non sarebbe cambiato nulla!
“Tutta colpa dello status quo, da sempre principale nemico dell’innovazione virtuosa, fatta di formazione continua e vocazione all’autoimpiego.”. Perfetto. Lo sostengo da anni. La società basata sul lavoro subordinato è finita, ma i sindacati fanno finta di nulla ed i governi tacciono.