Caro Michele,

da quando ho sedici anni sono iscritto alla CGIL, che è sempre stata la mia casa. Al contrario di molti altri compagni che sono nella CSS o in altri sindacati sardi, a mio parere è necessario fare un sindacato europeo e mondiale, e per me non c’è nessun problema al fatto che i sardi stiano in un sindacato italiano. I lavoratori si dovrebbero unire, e lo dobbiamo dire e fare.

Allo stesso tempo, credo che il PCI e la CGIL si siano soffermati troppo su impostazioni datate, non hanno saputo aggiornare pezzi di storia sindacale che sono conclusi (quella di Togliatti dal punto di vista politico e di Di Vittorio dal punto di vista sindacale) semplicemente perché la società è cambiata. Oggi discutere di una questione “nazionale” non è uguale a farlo trent’anni fa.
Non mi considero un nazionalista, e sono contro il nazionalismo, però sono per la sovranità e l’autogoverno. Oggi credo che bisogna anche essere populisti.

In Sardegna tutti questi ragionamenti vanno insieme al tema della lingua, che i dirigenti del popolo sardo hanno dimenticato. Vogliamo che sia così anche nella CGIL? Come si può fare comunicazione e come si può costruire un’altra visione della società sarda senza cercare di risolvere il tema della lingua?

Per discutere il tema ti faccio due esempi, uno della mia vita ed uno raccontato da un dirigente sindacale. Tre anni fa, quando ero consigliere comunale a Cagliari, ho incontrato degli abitanti di Santa Teresa, a Pirri, il cui quartiere è da molti accomunato a S. Elia. Mentre stavo facendo un giro del quartiere, tutti avevano un forte timore reverenziale, perché pensavano che rappresentassi l’autorità.

Io li volevo aiutare, ma loro non avevano fiducia. Appena ho iniziato a parlare in sardo, tutto il timore reverenziale è sparito. Il sardo è la nostra lingua e c’è più confidenza quando c’è il sardo.
Il secondo racconto è quello di un incontro di lavoratori metalmeccanici negli anni ottanta. Tutti parlavano in sardo, mentre i dirigenti dell’assemblea parlavano in italiano. Perché? Perché se siamo uomini del popolo dobbiamo parlare in italiano e non in sardo?

Oggi tutto è cambiato, perché la scuole e le famiglie hanno messo in testa ai bambini che devono imparare solamente l’italiano. Ma se sparisce la lingua sparisce un popolo. E se sparisce un popolo sparisce la Sardegna, e non siamo aiutando né l’Italia né i lavoratori. Perché i lavoratori devono difendere il popolo.

Il sindacato deve cominciare un percorso veloce, di un anno o anche diciotto mesi, per trasformare la CGIL in un sindacato bilingue. Ci vuole molto? La prima cosa, e la più importante, è la volontà di farlo. La CGIL di Bolzano usa il tedesco. E noi?

Tu mi risponderai “ma quale sardo?”. Abbiamo la risposta pronta: ci sono le regole di grafia che sono comuni a tutti, ed abbiamo addirittura due o tre standard per scrivere! E possiamo dare la libertà ai dirigenti CGIL di utilizzare quello che preferiscono. Abbiamo una risposta anche per le altre domande tecniche.

Tu mi risponderai: “e i dirigenti che non sanno scrivere in sardo?”. Tutti possono imparare. Sono tantissimi coloro i quali imparano una lingua straniera. Cosa ci vorrà ad imparare il sardo? Abbiamo un gruppo di “volontari per la lingua sarda” che possono aiutare. La questione è la volontà di far nascere un sindacato bilingue. E questo lo dico anche a sindacati come la CSS, che ha un sito internet solamente in italiano.

L’altro giorno stavo parlando con un compagno della CGIL che fa sindacato con me, che mi ha detto: “a mio figlio insegno inglese, a cosa gli serve il sardo?”. Il sardo serve ad essere uomini fieri di esserlo, con una dignità che guarda al proprio popolo e a sé stesso. Un bambino ed un uomo bilingue, sardo ed italiano, è più sveglio, e gli viene meglio imparare l’inglese e qualunque altra lingua straniera.

Non vogliamo isolare la Sardegna. Al contrario, con dignità i sardi possono parlare e relazionarsi con tutto il mondo, senza diminuire la nostra cultura. Questo ho imparato quanto ho vissuto in Germania, Francia, Vietnam e Cina, dove ho anche cercato di imparare le loro lingue. Ho anche vissuto in Italia, ma la lingua la conoscevo già.

Caro Michele, so che la richiesta che ho fatto alla CGIL è molto forte. Però il mondo è molto cambiato, e noi dobbiamo cambiare con esso.