Seguo sempre con molto interesse il suo nuovo blog e penso che la riflessione e il dibattito sui temi importati e di volta in volta proposti, a prescindere dalle posizioni politiche, siano l’unica maniera che ha la Sardegna di scrivere ancora pagine importanti della sua storia senza cadere in troppo facili fatalismi.

Vede, per noi giovani laureati è un mondo difficile quello sardo, con un mercato del lavoro pressoché immobile, con un’impresa che è di tipo micro, a parte rarissime eccezioni troppo deboli numericamente per poter invertire questo trend. Eppure, io non mi sento vinto, non do e non voglio dare per scontata la resa di una terra che ha troppe potenzialità inespresse per essere abbandonata al suo destino.

Naturalmente avere delle buone, ottime, potenzialità non è sufficiente per adagiarsi sugli allori. Al contrario! Dobbiamo fare quanto possibile per spenderci in prima persona, per creare quei canali di attivazione capaci di far rimettere in moto i grandi comparti dell’agricoltura e del turismo, il tutto creando un tessuto imprenditoriale educato a comprendere che solamente la sinergia tra i diversi settori potrà salvare la Sardegna da sé stessa.

Come possiamo realizzare tutto questo? Prima di iniziare a creare un grande progetto abbiamo la necessità di comprendere quelli che sono i nostri limiti. Dobbiamo essere onesti: ai sardi non piace lo scambio (forse perché siamo abituati a stare nei nostri confini) con altre realtà, vediamo un’offesa alle nostre capacità la dove ci viene proposto un programma di crescita d’insieme, guardiamo con diffidenza chi viene “da fuori” e a volte anche chi è originario di una regione sarda diversa dalla nostra.

Nel mondo odierno, globalizzato, immediato, mondiale, non possiamo più permetterci di ragionare in questa maniera, se davvero teniamo alla nostra autonomia e al nostro futuro.

Noi che amiamo fare politica abbiamo il dovere per primi di ricercare quelle soluzioni utili al mercato sardo al fine di accrescerlo, abbattendo noi per primi quelle barriere che ci tengono distaccati e distanti da chi parla una lingua diversa dalla nostra e con concezioni imprenditoriali diametralmente opposte, sia per cultura che per opportunità offerte dal territorio, da quelle alle quali siamo abituati.

Dobbiamo accettare che il diverso non è per forza sinonimo di “ladro di terre” o “truffatore di speranze”, quanto un mondo inesplorato da approfondire e studiare, da apprendere e consolidare con la nostra cultura e le nostre tradizioni.

Abbiamo bisogno di chiedere tutti assieme a gran voce delle linee di collegamento terrestri, aeree, marittime e telematiche che siano efficienti per permettere un sano scambio tra i territori intra ed infra regionali.

Senza questo scambio di capitale umano e imprenditoriale la Sardegna a breve non avrà più gli strumenti necessari per adeguarsi ad un mondo che viaggia alla velocità di diversi megabyte al secondo, mentre noi ci apprestiamo ancora a discutere della SS 131 e sul collegamento Cagliari-Sassari.

Il Referendum che si terrà fra pochissimi giorni è un mezzo utile per ribadire che la Sardegna vuole essere ancora parte della partita, che non si illude delle caramelle promesse dal Governo nazionale, che non si arrende a disegni non inclusivi e centralisti.

La Sardegna ha bisogno di una rappresentanza e di un rinnovamento della classe dirigente che non potrà tardare ancora per essere immessa nell’agone politico, altrimenti, e potrei essere facile profeta, il problema potrebbe non essere più risolvibile.

*specialista in Amministrazione e Organizzazione