Da poco mi sono visto con mio fratello Domenico e ci siamo scambiati delle impressioni in merito a quello che facciamo da tanti anni per hobby e gli ho detto che lui, considerando il presente, è stato più fortunato di me. Voi direte, per quale motivo?
Presto detto. Entrambi siamo andati appresso alle nostre passioni, ciascuno la sua, che per entrambi vuol dire essenzialmente cercare di far conoscere agli altri tutte le bellezze della nostra terra. Lo abbiamo fatto cercando di non perdere tempo, di ricavarne tornaconto per noi e per gli altri, e di provare la sensazione della pelle d’oca, che vuol dire “emozione”.
Sostanzialmente siamo andati entrambi appresso a questo bisogno, girando in lungo e in largo tutta la Sardegna. La cercavamo avidamente l’emozione, perché volevamo passarla di mano.
Chi osservava il risultato delle nostre ricerche doveva provare sulla pelle il nostro stesso sentire. In questo modo di vedere le cose siamo fratelli più che mai. In questo ideale condiviso, per questa onestà intellettuale che sappiamo di avere, ci rispettiamo l’un l’altro come è giusto che sia.
Perché sto facendo questa introduzione? Perché per lui il tempo ha subito pochi stravolgimenti, per me, invece, è come che ci siano passati infiniti temporali. Se lui va a cercare nidi da fotografare, quando li trova, è come che sia la prima volta. Sono convinto che il cuore gli batte forte come allora. Lo stesso se va a cercare mufloni.
La natura, nonostante gli stravolgimenti che ci sono stati per colpa dell’uomo, ha saputo conservare immutato il suo modo antico di fare. Diversa la sorte che è toccata al sottoscritto. E’ da un paio d’anni che non vado più a fotografare feste e tradizioni popolari. Me ne è passata la voglia perché non c’è più il tanto.
Molti dei “miei vecchi”, che nei paesi dell’isola costituivano per me luogo di accoglienza e di amicizia sincera, sono scomparsi. Al loro posto persone, soprattutto giovani, che non valgono assolutamente quelli che ci hanno lasciato.
Diverso l’approccio col patrimonio ereditato di cultura popolare. Si sono avventati, è proprio il caso di dirlo, sulle rispettive tradizioni locali e le hanno stravolte con l’intento di migliorarle. Poveri loro! La volete conoscere una storiella locale? Quella del pungolo di Oliena (ma potrebbe essere di ovunque)?
Un carrulante, non contento del pungolo che aveva per condurre il suo giogo di buoi, cominciò a lavorarci sopra col coltello. Taglia oggi, taglia domani, alla fine ne ha ricavato una lesina, quella del calzolaio. Mi sono spiegato? Mi volete per caso contestare che il tradizionale “mortu mortu” novembrino non è diventato nel mentre, e senza colpo ferire, il carnevale del “dolcetto scherzetto”, benedetto per giunta dalla scuola? Lo sapete quante feste di incanto sono “diventate altro” nel giro di pochi anni? Troppe, ed è un peccato per davvero.
Abbiamo seminato “varianti” da per tutto: nelle feste, nei canti, nei balli, nelle parlate, nel modo di comportarci, senza renderci conto del danno che stavamo facendo. E allora, se quando decido di andare a coltivare la mia passione, nei suoi mille aspetti culturali, invece di provare emozione con tanto di pelle d’oca provo un’infinita tristezza, mi sapete dire perché dovrei continuare ad andarci, sapendo di non trovare più quello che cercavo e che trovavo? Pensate che sto esagerando? Vi assicuro di no, so perfettamente di cosa sto parlando.
Purtroppo ci sono le fotografie che ho fatto negli anni, che servono per fare paragoni e dare conferme. Non è più come prima. Abbiamo distrutto una bellezza e purtroppo stiamo continuando a farlo in cambio di niente. I nostri genitori sono riusciti a lasciarci un vanto.
E’ possibile che fosse agonizzante già da allora, sta di fatto, però, che costituiva un vanto. Il vanto condiviso di una appartenenza. E noi? Tanto per dirne una. Loro quando indossavano i costumi tradizionali, con quei costumi erano un tutt’uno, appartenevano gli uni agli altri.
Oggi, in occasione delle sfilate, perché di sfilate e nient’altro si tratta, si sente parlare dl “figuranti” e non ci si rende conto del danno che ne deriva per il solo modo di parlare in quella maniera. Vi rendete conto di cosa vogliono dire l’una cosa e l’altra? Pensateci bene e fatemelo sapere.
condivido pienamente, un saluto a Franco Stefano Ruiu con grande stima e simpatia
, anche se penso non si ricorderà di me
medas bortas appu pensau su propriu, in custus urtimus dexi annus.. tui d’asi scrittu beni meda
Spero che Gian Mario non me ne voglia ma gli anni fanno rincoglionire le persone e bene pure.. Quindi? Una mano di aiuto me la puoi dare?
Un poeta che guarda con disillusione un mondo che non c’è più. La colpa? Un po’ di tutti, compresa la nostra, poiché la corsa per la vita, per il progresso comunque, ci ha fatto trascurare la natura, le tradizioni, la lingua, i costumi.
Ci aggrappiamo, con le unghie e a denti stretti, ad un passato che sappiamo ormai perduto. Dal bisogno di reiterare le tradizionali iconografie delle feste paesane, di cui ancora alcuni conservano la memoria, siamo giunti alle sfilate nuragiche, di cui ci si affanna a ricostruire l’ipotetica memoria. Siamo un popolo deluso e depresso, ossessionato dalla paura di perdere la memoria, l’unica vera risorsa spendibile, unitamente all’ambiente non ancora compromesso.
Noi Sardi, non sappiamo più chi siamo.
Io credo che purtroppo tu abbia ragione Fabrizio. Marc Augè, parlando di questi fenomeni scrive di “turisti dell’intimo”, noi stessi che ci guardiamo rappresentati nelle sfilate di tradizioni troppo spesso arraffazzaonate e ricostruite malestramente. Ossessionati da un passato che a volte sfuma nel mito. Ma d’altro canto, certo non tutto è da buttare, dobbiamo essere ottimisti. Sapere chi siamo è un esercizio duro di intelligena e sentimento ma il premio è poter andare per le strade del mondo con qualche certezza in più.
Fabrì.. una domanda. Ma il pc ce l’hai? Il tuo pc ce l’ha la memoria? Se non basta il disco fisso anche dischi esterni? Si? E a quelle memorie ci tieni? Fai di tutto per salvarle? Perchè ci tieni a salvarle? Sono solo il tuo presente o anche il tuo passato? Se così fosse, di nuovo, a che prò salvarle anche dall’assalto dei virus? A che prò? Non è che ti servono per prepararti il futuro?.. Credo proprio di si, che la risposta sia questa…. E allora, perchè non dovrei cercare di salvare la mia memoria? La cultura che quella memoria custodisce e che mi fa orgoglioso di essere quello che sono.. MI SERVE PER SAPERE DA DOVE VENGO.. QUANTO HO IN VALORE SPENDIBILE SUL MERCATO proprio in virtu’ di quella cultura.. E SAPERE COSA VOGLIO FARE DA GRANDE.. E’ così assurdo comprendere un concetto così banale?.. Perchè dove il valore ha ancora una valore I SARDI SIAMO CONSIDERATI MEGLIO DEGLI ALTRI?.. Lo vuoi sapere perchè?.. PROPRIO IN VIRTU’ DI QUELLA CULTURA.. CHE SONO LE NOSTRE TRADIZIONI PIU’ ANTICHE, NON IN QUANTO USANZE TRIBALI .. MA VALORI NASCOSTI CHE GLI ALTRI NON HANNO E CHE DA NOI FUORIESCONO QUANDO SERVONO…. Vogliamo cominciare a coltivare ciascuno il proprio orticello e difenderlo, quando serve, dagli assalti dei virus?
Franco Stefano, temo d’esser stato frainteso. Non è in discussione il ruolo essenziale della memoria, il suo primato nella definizione identitaria dell’individuo e della collettività. Colpa mia non aver meglio esplicitato la riflessione scaturita dalla tua sollecitazione.
Ci riprovo: concordo con te, quando scrivi che “Loro quando indossavano i costumi tradizionali, con quei costumi erano un tutt’uno, appartenevano gli uni agli altri”. Noi, oggi, indossiamo quei costumi in forma di maschera, da cui i “figuranti”. Perché siamo dissociati da quegli abiti, di cui ci vantiamo, ma in cui non ci identifichiamo. Siccome mi rendo conto di cosa vogliono dire l’una cosa e l’altra cosa… su tuo invito ci ho pensato bene e tenuto a farti sapere, che per me, tutto ciò è il sintomo di una crisi profonda d’identità, individuale e collettiva. Da cui il bisogno di aggrapparci in tutti i modi al passato perduto. Talvolta anche in forma grottesca, ridicola, caricaturale… perché nel nostro presente privo di sicuri punti di riferimento, ci muoviamo come quei “turisti dell’intimo”, “ossessionati da un passato che a volte sfuma nel mito” (concordo con Angelo). Quindi abbiamo intrapreso a selezionare accuratamente le pagine di quel passato che più ci gratificano, con l’intento di offrirle finalmente sul mercato insieme all’ambiente. Parafrasandoti, la natura e i monumenti sopratutto preistorici, hanno saputo conservare immutato il loro modo antico di fare.
Finito l’assistenzialismo fallimentare di cui spero nessuno abbia nostalgia, ci siamo accorti di non aver prodotto nulla di contemporaneo altrettanto spendibile e di cui essere fieri.
Se l’identità fornisce gli anticorpi ai “virus” (lingua docet), noi Sardi oggi siamo affetti da una grave forma virale e con la febbre alta si arriva anche a delirare.
Concordo che la soluzione più efficace e opportuna sia la riscoperta dei “valori nascosti” peculiari della nostra Cultura, “che altri non hanno”. Della qualità di questa riscoperta siamo entrambi preoccupati.
Ad esempio, mia nonna Ersilia quasi centenaria se n’è andata e ho salda la memoria di quella voce che padroneggiava la sua lingua madre sarda campidanese, che per quanto ci si stia impegnando a mantenerla viva, per me e mia figlia, purtroppo, è divenuta seconda lingua.
Fabrì, dialogare in siffatta maniera, mi aiuta e non poco a pensare che ancora si può, ed è bello scoprirlo. Quà la mano, Fabrì, che a manu tenta la strada diventa in pianura.
Franco Stefano, onorato di stringerla forte la tua mano.
Non da oggi, ho notato che più di una volta le tradizioni vengono inventate di bel nuovo: e questo si scontra con l’idea stessa di tradizione, che è testimonianza del passato, e cioè della nostra storia.
Le “sfilate”,invece, testimoniano il bisogno di apparire, che è un valore (falso valore) del mondo moderno. A questo si aggiunge il desiderio di guadagno e fama, circoscritti a un paese o a una festa, che viene riassunta nell’espressione “valorizzare” la nostra cultura. Solo che valorizzare dovrebbe significare far acquistare valore. Nel caso specifico delle tradizioni, della storia nostra violata, il valore si perde e si disperde. Capisco l’altezza di Franco Stefano Ruiu
Correggo: amarezza, non altezza