Francesco Casula (insegnante, sindacalista, storico e saggista) è nato a Ollolai ma vive da anni nel sud Sardegna.

A lui abbiamo chiesto un dialogo a tutto campo su cose sarde. Di ieri, di oggi e di domani.

Lei è un intellettuale che si occupa di storia sarda, attento alle cose sarde. Ma giocoforza occorre anche un confronto con quel che accade a Roma. Che idea si è fatto sulla partenza della legislatura?

Un immane pasticcio. Frutto di una legge elettorale assurda, confezionata per non fare vincere nessuna forza politica o coalizione elettorale. Ma soprattutto segno del disfacimento, culturale ed etico, ancor prima che politico, di un sistema di partiti, intercambiabili (così Di Maio si può rivolgere, indifferentemente al Pd come alla Lega per fare alleanze di governo) ridotti miseramente a semplici comitati elettorali, senz’anima, senza programmi, senza visioni

Non è dunque peregrina l’idea che in Sardegna venga aggiornato il concetto di “voto utile”, oggi integralmente riferito a quello per i partiti italiani che hanno più peso.

Non solo peregrina ma necessaria: l’unico voto “utile” oggi in Sardegna è quello dato a un una coalizione composita e plurale ma unitaria e coesa, capace di portare avanti un Progetto/Processo, tutto sardo, che veda uniti Partiti e Movimenti sardisti e indipendentisti, con Liste civiche alternativo alle coalizioni e ai Partiti italiani, che inizi a “rompere” i meccanismi della dipendenza, a livello economico-sociale come sul versante cultura e linguistico.

In Sardegna i partiti che vanno per la maggiore (Psdaz e PdS) sono in alleanza con i partiti italiani.

Attardarsi con le alleanze con i Partiti italiani (come fanno Psdaz e Pds), peraltro in termini subalterni, significa rimandare alle calende greche, la possibilità di creare una vera alternativa di liberazione “nazionale” e sociale per i Sardi. Si tratta di una scelta suicida e fallimentare: come del resto la storia ha già dimostrato.

Il futuro del bipolarismo italiano è quello Di Maio-Salvini? E in Sardegna, nel caso, che accadrà?

Non credo a un futuro bipolarismo Di Maio-Salvini: se anche si realizzasse credo comunque che per Sardi cambierà poco. La “Questione sarda” continuerà ad essere derubricata dalla loro eventuale Agenda di governo. Il loro interesse è esclusivamente italico e italo centrico.

In quale maniera, prima ancora che politicamente e a livello di partiti, in Sardegna si può combattere una vera battaglia culturale?

Attraverso una diffusa e ubiquitaria campagna culturale in tutte le città e paesi sardi, con iniziative che investino direttamente le popolazioni con Assemblee popolari, Incontri, che incrocino giovani, lavoratori, precari, con cui discutere e confrontarsi, sui problemi che vivono, sui progetti per risolverli.

Lei è stato un insegnante. La scuola sarda come la riformerebbe?

1. Sardizzandola. La scuola italiana in Sardegna è oggi rivolta a un alunno che non c’è. Con la Sardegna e i sardi, il loro ambiente e humus culturale non ha niente a che fare. Per cui, per prima cosa, introdurrei la lingua, la storia, la letteratura, l’arte, la complessiva cultura sarda,come materie curriculari nelle scuole di ogni ordine e grado.
2. Riqualificandola. Oggi è vieppiù ridotta a scuola di analfabetismo di ritorno. Si è confuso scuola di massa e per tutti con scuola dequalificata. Nessun rimpianto per la scuola “classista” del passato, per i pochi “favoriti dal censo e dal merito” (in realtà quasi solo dal censo). Ma scuola inclusiva, per tutti, deve significare anche scuola rigorosa, per apprendere e non per essere parcheggiati e “custoditi”.

A proposito di scuola. Anche qua il problema disciplinare e di rapporti insegnanti/studenti/famiglie ha presentato episodi di crisi, sfociate in aggressioni. Lei ha una ricetta?

Non ho ricette. Gli episodi gravissimi di aggressioni sono la cartina di tornasole dello sfascio di una scuola su cui ormai da decenni si sono abbattute rovinosamente scelte politiche e governative devastanti: ultime quelle della “buona scuola” di Renzi. Ma occorre anche interrogarsi sul ruolo sempre più nefasto di molte famiglie nella educazione dei giovani e sulla impreparazione di molti docenti, viepiù sottopagati.

Abbiamo appena celebrato “Sa die de sa Sardigna”. Qual è il messaggio che, partendo da quel ricordo, sarebbe opportuno trasmettere ai giovani di oggi?

Quello che è importante oggi nella Festa di Sa Die de sa Sardigna è il suo il valore simbolico di autocoscienza storica e di forza unificante. E il messaggio che occorre rivolgere specialmente ai giovani è questo: sia ben chiaro nessun ripiegamento nostalgico o risentito verso il passato, ma il passato sepolto, nascosto, rimosso, si tratta prima di tutto di dissotterrarlo e conoscerlo, perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza; quel mondo grande e terribile di cui parlava Gramsci.

La sua storica battaglia per denunciare i delitti perpetrati in Sardegna da casa Savoia a che punto è? E quale sarà il prossimo step?

Siamo a buon punto. E parlo al plurale perché a condurla non sono solo io. Ma tanti amici (ricordo in modo particolare Giuseppe Melis, Damiano Sassu, Gonario Carta, Flavia Pintore) che mi accompagnano nelle iniziative, specie nella presentazione del mio libro “Carlo felice e i tiranni sabaudi”. I prossimi passi? Continuare la presentazione del libro, per raggiungere entro il presente anno 100 paesi e città sarde: siamo, con la presentazione di Nuxis il 28 aprile, a 58! Nel contempo continuiamo a raccogliere le firme (on line e cartacee) per spostare la Statua di Carlo Felice da Piazza Yenne e modificare la toponomastica a Cagliari e nei paesi e città della Sardegna.

Si chiede mai come sarà la nostra terra fra cinquant’anni?

Dipenderà da noi Sardi. Dalle nostre iniziative, dalle nostre lotte, dai nostri progetti. Ma deve essere chiaro che senza discontinuità e rottura radicale con la politica dei Partiti italiani la Sardegna è destinata a languire. Con la vecchia politica essa si ridurrebbe, progressivamente, a una ciambella: con uno smisurato centro abbandonato, spopolato, desertificato (e ancor più bruciato): senza più uno stelo d’erba. Con le comunità di paese, spogliate di tutto, in morienza. Di contro, con le coste sovrappopolate, inquinate e devastate viepiù dal cemento e dal traffico. Con i sardi ridotti a lavapiatti e camerieri. Con i giovani senza avvenire e senza progetti. Senza più un orizzonte né un destino comune. Senza sapere dove andare né chi siamo. Girando in un tondo senza un centro: come pecore matte. Una Sardegna ancor più colonizzata e dipendente. Una Sardegna degli speculatori, dei predoni e degli avventurieri economici e finanziari di mezzo mondo, di ogni risma e zenia. Buona solo per ricchi e annoiati vacanzieri, da dilettare e divertire con qualche ballo sardo e bimborimbò da parte di qualche “riserva indiana”, peraltro in via di sparizione. Si ridurrebbe a un territorio anonimo: senza storia e senza radici, senza cultura, e senza lingua. Disincarnata. Ancor più globalizzata e omologata. Senza identità. Senza popolo. Senza più alcun codice genetico e dunque organismi geneticamente modificati: OGM. Ovvero con individui apolidi. Cloroformizzati e conformisti. Una Sardegna uniforme. In cui a prevalere sarebbe “l’odiosa, omogenea unicità mondiale”: come l’aveva chiamata Lawrence in Mare e Sardegna.
Apocalittico e catastrofista? Voglio sperarlo.