Un nuovo eolico per Villacidro: un furto di Stato a favore di società private

“È disposta ai sensi dell’art. 22 bis del T.U. 327/01 e dell’art. 49 del T.U. 327/01, in favore della Società Greeen Energy Sardegna, S.r.l (promotore dell’espropriazione), per le motivazioni in premessa indicate, l’occupazione d’urgenza preordinata all’esproprio, asservimento e l’occupazione temporanea non preordinata all’esproprio degli immobili, come riportati negli elenchi e nelle planimetrie, allegati, facenti parte integrante del presente provvedimento, occorrenti per l’esecuzione dei lavori di costruzione di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte eolica della potenza elettrica pari a 43,05 MW di potenza nominale, sito nei Comuni di Villacidro e San Gavino Monreale, delle opere connesse nonché delle infrastrutture indispensabili.”

Stavolta sono entrati a casa nostra senza neanche chiedere il permesso, e ad aprire loro le porte, ancora una volta, è stato il governo della Sardegna, fedele servitore ed esecutore delle volontà di un governo italiano che tutto pensa di poter fare. Un governo, quello sardo, i cui rappresentanti non capiscono o mentono spudoratamente.

Infatti, mentre fingono di opporsi a progetti come il mega termodinamico, tacciono su tutto il resto. Come se il principio motore non fosse lo stesso e stesse le conseguenze.

Alla fine le raccomandate sono arrivate. E ad accomodarsi è una società privata, dietro mandato del governo italiano. Sarà la prima delle tante, libere, finalmente, di andare all’assalto dei territori della Sardegna e dell’Italia intera. Il 25 settembre, grazie al testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità e alle procedure di semplificazione delle procedure autorizzative e concessorie (d.lgs. 387/2003 e dal T.U. 327/2001), la Green Energy Sardegna entrerà in possesso dei terreni agricoli ove intende realizzare le sue opere. Lo farà senza consultazione e/o accordo previo coi legittimi proprietari. Si chiama pubblica utilità.

È questa la parola magica, il grimaldello col quale oggi qualunque società privata, anche una S.r.l da 10.000 euro i cui proprietari sono finiti più volte sotto inchiesta per reati che vanno dall’abuso d’ufficio e interventi in ambito paesaggistico sottoposto a vincolo fino al riciclaggio di denaro sporco della mafia (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/06/16/sardegna-ombra-della-mafia.html), presentando un qualunque progetto di produzione elettrica da fonte rinnovabile (vera o presunta), in nome della strategicità dell’opera, si vede riconosciuto il diritto di individuare e occupare terre.
Si tratta di un precedente di una gravità inaudita, un ulteriore strumento fornito agli speculatori per sottrarci territorio e devastarlo. Sarà la stura per tutti gli altri progetti, presenti e futuri: dal termodinamico di Gonnosfanadiga e Decimoputzu, agli altri innumerevoli impianti eolici, fotovoltaici, a biomassa, geotermici e via dicendo.

Pazienza poi se tutta questa potenza installata non serve a nulla, arreca danno, ed è solo la copertura di un immenso furto.

“Ma l’energia ci serve, ed è ipocrita pensare di doverla andare a prendere sempre da altre parti”, “allora preferite continuare con le centrali di produzione a combustibile fossile?”, “volete riportarci indietro al medioevo?”, “a qualcosa bisogna pur rinunciare”, “sono posti di lavoro”. Questo hanno già detto e ripeteranno in tanti, accusando di essere retrogrado e fuori dalla realtà chiunque si opponga al “progresso”.

A costoro, e a tutti noi, allo scopo di rinfrescarci continuamente la memoria, è bene ricordare la prima e più importante forma di democrazia: la partecipazione e il diritto legittimo delle comunità di essere coinvolte nei processi decisionali. Diritto sancito dalla Convenzione di Aarhus e ratificata dall’Italia con legge 108/2001 sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, ma rimasta finora lettera morta. Processi decisionali.

In buona sostanza, il coinvolgimento delle comunità, interessate da progetti di grande impatto, nelle attività di informazione, formazione – tutta quella necessaria e corretta – e… decisione. In cui, oltre alla proposta progettuale si mettono sul tavolo le diverse alternative, inclusa la proposta zero, ovvero l’ipotesi in cui non si proceda con alcun progetto. È ovvio perciò, quando ti arriva a casa una raccomandata con la comunicazione di un esproprio da realizzarsi nei successivi 30 giorni, che i processi partecipativi sono cominciati e finiti su un foglio di carta.

Ma ciò detto, la follia che si nasconde dietro queste politiche speculative si può ben illustrare con alcuni dati e considerazioni.
Se già i palesati posti di lavoro non sono più neanche un lontano miraggio, resiste il mantra del “rinnovabile”, del “sostenibile” e dei presunti benefici economici a beneficio di tutti.

Oggi il territorio del Campidano, come del resto aree vastissime del resto della Sardegna, si trova ad affrontare seri problemi di carattere ambientale, sanitario, sociale e occupazionale, derivanti da un processo di sfruttamento sconsiderato delle risorse ambientali, avvenuto con la corsa all’industrializzazione e seguita, a breve tempo, dalla delocalizzazione e conseguente chiusura progressiva e pressoché totale delle più importanti attività produttive e l’abbandono delle comunità al proprio destino.

E così, finita l’epopea dell’industria, da qualche anno la nuova corsa all’oro è rappresentata dalle rinnovabili. Appare strano, per non dire anomalo, come la Sardegna non sia in grado di offrire lavoro e reddito ai propri abitanti ma garantisca redditi milionari a diversi galantuomini, senza neanche bisogno di mettere piede o permanere nel suo suolo.

E a nulla paiono servire i precedenti per convincerci del danno e della beffa derivanti. Nonostante la moltitudine di società messe sotto inchiesta per truffa aggravata e appropriazione illecita di fondi pubblici, la sola ipotesi di poter ancora raccogliere qualche briciola dal prossimo venditore di fumo fa venire l’acquolina alla bocca anche ai più accorti.

Eppure, già da diverso tempo voci autorevoli della tecnologia e dell’economia stanno mettendo in allerta sull’incapacità delle rinnovabili di ridurre le emissioni in atmosfera e garantire benefici ambientali ed economici. E, non fossero sufficienti le numerose inchieste, sempre più apertamente cominciano a parlare di investimenti spropositati e ingiustificati.

L’energia rinnovabile, soprattutto quella proveniente da fonti non programmabili come eolico e fotovoltaico, da sola non è in grado di sostituire il fossile. Proprio per la sua non programmabilità ha necessità di impianti ausiliari di “accompagnamento”, in grado di compensare l’inevitabile variabilità dovuta alle condizioni metereologiche.

Questi impianti di accompagnamento attualmente sono alimentati a energia fossile. In loro alternativa si dovrebbero realizzazione dei sistemi di accumulo, utili a conservare l’energia prodotta in eccesso e a ridistribuirla nella misura necessaria e in maniera continuativa. Ma di impianti di accumulo ben poco si sa e si sta facendo, in Sardegna come nel resto d’Italia. Ed è questa la ragione per cui le emissioni in atmosfera non calano e siamo invasi da impianti inutili, sovrabbondanti, costretti a stare buona parte del loro tempo inutilizzati.

Ma, seppure in termini di produzione energetica da fonti rinnovabile si fosse operato nella direzione su indicata, ciò non servirebbe ché a risolvere una parte dei nostri problemi. L’energia elettrica infatti rappresenta solo un settore dell’energia. Nei settori dei trasporti, industria e riscaldamento domestico, siamo quasi a zero.
Se la vera priorità è ridurre le emissioni di gas serra e nel contempo generare benefici economici, è chiara la necessità di intervenire sulla riduzione delle emissioni, invece di puntare sulla produzione di nuovi impianti rinnovabili, investendo di più e meglio sul risparmio energetico, la razionalizzazione e l’ottimizzazione della distribuzione elettrica e dei consumi, la riduzione del danno all’ambiente.

Contrapporre alla politica del consumo sfrenato il miglioramento della durata dei prodotti, il riuso, la riparabilità, la rifabbricazione e il riciclo di prodotti e materiali – che in sé contengono anche consumo di energia per essere trasformati e realizzati.

Non possiamo pensare di aumentare in eterno i consumi e la quantità di materie prime in circolo. Non possiamo parlare di salvaguardare le risorse quando il pensiero è rivolto esclusivamente ad aumentarne lo sfruttamento.
Attualmente possediamo conoscenza e tecnologie per garantirci prodotti e servizi impiegando una minima parte dell’energia e delle materie prime utilizzate. Così, come da tempo esiste una proposta chiamata Zero Waste per la riduzione progressiva dei rifiuti prodotti, allo stesso modo è stato elaborato un programma chiamato “società 2.000 watt”, contenente proposte di riduzione della potenza/pro-capite attuale, calcolabile in circa 6.000 watt, a 2.000 watt. Con le tecnologie attuali potremmo eliminare la maggior parte degli usi impropri e degli sprechi, con enormi benefici di carattere economico e ambientale.

I sussidi per la produzione energetica sono ingenti, per non dire ingiustificati. Secondo una proposta avanzata da più parti, si dovrebbero abbassare le tasse e gli oneri sulla forza lavoro, aumentando nel contempo quelle sull’energia, le materie prime e in generale sull’uso e l’abuso della natura. Si avrebbero così certamente più posti lavoro e più rispetto per la natura e le risorse.

Avete mai sentito i nostri governi parlare seriamente di queste politiche, metterle in atto? No. Le parole d’ordine sono ancora sfruttamento delle risorse e crescita economica, intendendo come crescita liberalizzazione sfrenata e deregolamentazione totale.

Consumo e spreco di quantità decisamente eccessive di materie prime ed energia stanno compromettendo l’equilibrio planetario. La Sardegna non è fuori da questo gioco scellerato, ma sta anzi fornendo il suo contributo sostanziale. La politica economica italiana e quella sarda sono subordinate agli interessi delle multinazionali e delle lobby del rinnovabile.

Che fare allora?

È necessario che tutte le organizzazioni politiche, comitati e associazioni e singoli cittadini che si battono per la difesa del territorio e dei diritti, si uniscano in questa che è una battaglia per i diritti e la salvaguardia nostra e della nostra terra. Non possiamo cedere ancora neanche un palmo della nostra terra. Non possiamo permettere che un simile oltraggio si perpetri su una terra già ferita. Tutti siamo chiamati alla lotta contro una nuova e più feroce invasione.

Dobbiamo resistere ora e sempre

Dobbiamo opporci con la testa e con il corpo a questo nuovo assalto.
E pensare ad un’alternativa. Proseguendo nel processo di costruzione di un’alternativa politica che abbia le sue basi solide dentro una comunità consapevole e coesa, intelligente e rispettosa di se stessa e dell’ambiente