Il triste epilogo dello sciopero della fame e della sete di Doddore Meloni ha colto di sorpresa tantissimi di noi, me compreso. Non ci credevo e avevo sottovalutato le condizioni di Meloni. Grande è stato il dolore per una morte così ingiusta, e sicuramente evitabile.

Di questo si è parlato e si parlerà. Però, un fenomeno assolutamente inaspettato e rivelatore di una psicologia di gruppo costruita nel segno della subalternità e del disprezzo per tutto ciò che è sardo, si è manifestato nei commenti a caldo sulla vicenda, provenienti dall’area del PD o, comunque, da moltissimi suoi giovani esponenti o sostenitori.
Iniziamo dalla considerazione principe, espressa da una giornalista pigliariana ortodossa: “la mia idea di prigioniero politico corrisponde a Gramsci, a Mandela o Havel, non a Doddore”.

Il primo gradino per la disumanizzazione dell’indipendentista comincia da qui. Non era un eroe, era un pasticcione e probabilmente un imbroglione. Non merita pietà? Eppure, i sistemi di repressione all’interno dei quali Gramsci, Havel, Mandela furono repressi, contenevano migliaia di Doddore.

Pasticcioni, con idee magari non proprio chiare, ma semplicemente loro, e diverse da quelle del potere. Basta leggere i classici, e non Gramellini, per capirlo. Arcipelago GULag, I racconti di Kolyma, i romanzi di Vasilij Grossman e Primo Levi. Ovunque fra le vittime allignavano personaggi al cui confronto Doddore pare un personaggio del Memoriale di Saint-Simon.

Inoltre, verrebbe da dire, era un uomo, con i suoi diritti. O no? Anche se sardo, anche se indipendentista.

Va giù ancora più duro, nonostante le apparenze, il giovane sindaco di Gonnostramatza, “Sto cercando un modo rispettoso per spiegare che Doddore era un evasore fiscale, e che la morte ha riabilitato soltanto Gesù Cristo, Che Guevara, o se proprio devo scendere ancora di livello (che resta comunque alto), Pantani e simili”.

Il secondo gradino della disumanizzazione del cadavere di Doddore, ancora caldo, relegato al livello basso, e non riabilitabile. Sparisce dall’orizzonte l’anomalia del comportamento della magistratura e, per sintetizzare, del potere. Rimane la colpa dell’autotrasportatore di Terralba, non estinguibile neanche con una morte ingiusta, aspetto cui non si fa cenno.

Le sue idee politiche, la sua contestazione dello stesso tribunale che lo stava giudicando, vengono messe fra parentesi. Disturbano le menti italianizzate e self-colonized degli esponenti della sinistra mainstream? Parrebbe. Infatti, commenta Thomas Castangia, oggi alla corte del principino Civati, “la beatificazione non la reggo”.

Perché, chi ha mai beatificato Doddore? Al contrario, da Bainzu Piliu a tanti altri, tutti o quasi tutti coloro che si sono espressi hanno preso le distanze dalle sue trovate politiche, spesso naïf, spesso anche estreme. A mio parere perfino in modo esagerato e anch’esso caratteristico di un clima che non è certo di libertà di espressione, qui in Sardegna. Ma tutti sono rimasti scioccati da questa morte inutile e vergognosa.

Lo stesso scetticismo e disprezzo è leggibile in persone che del PD sardo rappresentano quasi le viscere, che non riprendo una a una perché si assomigliano: disumanizzazione, svalutazione dell’orrendo comportamento della Magistratura, del suo spregevole accanimento contro l’indipendentista, evidente anche dalla modalità e dal giorno (28 Aprile, die nòdida) dell’arresto.

Non sono uno psicologo, e adesso sento il dispiacere di non esserlo, perché vorrei capire meglio questa sindrome del piddino sardo, questo disprezzo disumano per tutto ciò che è sardo – e lo è in modo iconico come Doddore – il bisogno di condannare, di darsi la colpa, di disumanizzare, anche di fronte a un cadavere.

Questa cattiveria così tipica di questo tipo di piddino antropologicamente antisardo nei confronti della propria gente. Questo sentire orrendo posso descriverlo, ma non analizzarlo come dovrebbe essere. So che puzza di blocco, di sindrome, di “Pelle nera e maschera bianca”, avrebbe detto quel Frantz Fanon che era un grande psicologo, di soggettività espressione e prodotto di un processo di colonizzazione delle menti così profondo e ben riuscito, da scattare come un interruttore di fronte alla morte di Doddore, così come all’inquinamento, all’occupazione militare, alla difesa del sardo.

E che si esprime in distanza, bisogno di condannare, necessità di disumanizzazione chi appartiene alla propria gente, ma ha l’ardire di rivendicarlo. Sinché queste persone non si libereranno da questa strana sindrome, saranno i migliori addetti della sottomissione della Sardegna.
Non sono uno psicologo ma sono un cittadino, e con una certa rabbia, di fronte a quest’uomo morto ingiustamente, mi chiedo: ma come mai l’unico reato che mai si sconta, in questo Paese, è l’indipendentismo sardo?

Che fine hanno fatto i complotti e le insurrezioni, per cui hanno fatto marcire in galera onesti professori universitari di chimica, ferrovieri, militanti disarmati? C’è stata qualche condanna? Le accuse sono mai state provate? La risposta la sappiamo, tutto si è sgonfiato, tranne gli anni passati in galera da gente innocente e l’intimidazione verso gli indipendentisti. Nessuna accusa è mai stata provata. Oggi, però, un uomo è morto. E a molti di noi è passato un brivido per la schiena, ricordando anche la tragica sparizione recente di un altro compagno di lotte, Vincenzo Migaleddu.

La mia speranza è che gli apparati dello Stato italiano in Sardegna, noti per i loro pregiudizi antisardi, non stiano impazzendo. E che molti sardi si mettano la mano sulla coscienza e capiscano in quali mani ci troviamo e in quali mani si trova la Sardegna.

Che la morte di Doddore ci serva da insegnamento. Dobbiamo unirci, abbandonare i gruppetti, e gestirci democraticamente, riconoscerci e perfino accodarci, se necessario. Dobbiamo prepararci, e studiare.