Uno e indivisibile è l’articolo che ricorre in quasi tutte le costituzioni degli attuali stati, c’è in quella italiana, in quella francese e abbiamo visto anche in quella spagnola.
È un retaggio risalente ad un epoca dove la forza e la grandezza degli stati si fondava sulla vastità del territorio e sul numero di abitanti, sulla potenza economica spesso surrogata dalle conquiste coloniali e dalla sistematica rapina di risorse naturali.
Era l’epoca delle guerre di trincea, dove servivano milioni di fanti, per strappare territori di confine metro per metro, la frase serviva a suggellare i sacri confini se non in maniera eterna almeno fino al conflitto successivo.
Era anche l’epoca dove il possesso, della terra – come della donna – era considerato sacro, ed ogni offesa a questo principio veniva lavata col sangue.
Come si sono veniti a costituire gli attuali stati, a prescindere dalla forma repubblicana o monarchica, l’ho scritto in un precedente articolo.
Il contesto storico e culturale attuale è però profondamente mutato, molti stati si sono divisi secondo vecchi o nuovi confini, anche il “sacro vincolo” matrimoniale non è più tale, da almeno cinquant’anni vigono le leggi sul divorzio, si è giunti a dividere anche l’entità più piccola della materia: l’atomo.
Nella giornata del’1-O catalano abbiamo visto a cosa può portare una visione antistorica dell’unitarismo costituzionale. Abbiamo visto i custodi della costituzione, la legge fondamentale che dovrebbe garantire le libertà irrinunciabili dell’Uomo, schierarsi mascherati da temibili guerrieri e bastonare uomini, donne, vecchi e ragazzi inermi.
Li abbiamo visti distruggere e rubare i simboli stessi della democrazia: le urne elettorali.
Abbiamo assistito alla commedia grottesca dei difensori del popolo che violentano il popolo per difendere con i manganelli e le pallottole l’Unità dello Stato, abbiamo visto il prodromi di come quella falsa unità, spesso ottenuta con la violenza e la sopraffazione, potrà dissolversi con la non-violenza e l’intelligenza collettiva.
Abbiamo constatato l’interpretazione “machista” del potere costituzionale, identica a quella del coniuge che bastona la moglie che vuole andar via di casa e che dopo le botte ottiene anche la solidarietà dei coniugi del vicinato europeo. La stronza lavora, ha conquistato la sua indipendenza economica, anche grazie al lavoro del marito, vi sembra giusto e soprattutto cristiano che abbandoni i tetto coniugale?
Non sia mai, per non sbagliare la massacro di botte, dopotutto ha firmato le carte del matrimonio, la fedifraga.
Così pare che sia per molti opinionisti nostrani, una banale rivendicazione economica, il leghismo spinto alle estreme conseguenze, un nazionalismo spicciolo, cui si contrappone il nazionalismo grosso, quello di Filippo VI di Borbone e del suo primo ministro Rajoy, coadiuvato dal generale Tejero il falangista golpista, quello che nel 1981 prese il comando della Guardia Civil e tentò un colpo di stato ai danni della nascente democrazia spagnola.
Domenica scorsa abbiamo rivisto un vomito di guerra civile, dove però questa volta a combattere sono stati solo gli spagnoli, ai catalani non interessa più la guerra, sanno che chi sta dalla parte della ragione alla fine vince senza far male a nessuno.
Già la ragione, ma di chi è la ragione? Chiosano nella sinistra italiana. Mentre a destra non hanno dubbi, nella sinistra i paurosi e i codardi sono a migliaia, a milioni, talmente caga-dubbi, che prendono e se li rimangiano all’infinito, pur di non prendere mai una posizione chiara e netta.
Loro ormai pensano alle elezioni e alle convenienze, se noi – pensano – appoggiamo i catalani, diventiamo come i leghisti, ma davanti a loro potremmo sparire, meglio star zitti e attendere che passi la buriana, dopo tutto i catalani se la son cercata, come quelle che escono mezzo nude in un quartiere periferico.
Poi Rajoy è un signore tanto distinto, ha concesso anche una discreta autonomia, perché non vivere quietamente e armoniosamente in una bella casa con tutti i comfort?
A questo è ridotta la sinistra oggi, in Europa, in Italia e in Sardegna, gente che vivacchia in attesa di chissà quale evento, ma quando gli passano vicino eventi importanti come questo, nemmeno se ne accorgono, bloccati dalla paura, spesso ripetono timidamente solo ciò che le destre urlano a gran voce, totalmente incapaci di intendere e di volere, involuti al livello di larve biancastre.
Sopraffatti dalla paura dello scandalo, come quelle signore che pur di non dare soddisfazione ai vicini, incassano le botte del marito e dicono essere cadute dalle scale.
Blaterano di legalità violata, ma quale legalità?
Quando il popolo non trova interlocutori capaci di interpretare le sue istanze è logico ed inevitabile che si esprima in prima persona.
Lo chiamano populismo, ma il populismo è sempre la risultante dell’assenza o dell’inadeguatezza della politica.
L’indipendenza della Catalogna vale l’obbrobrio di una guerra civile?
Bisognerebbe chiederlo a Re, cooptato da un dittatore golpista e usato come una marionetta dal governo spagnolo per mantenere insieme ciò che insieme non vuol stare.
Non si può obbligare a stare sotto una corona chi aspira ad essere repubblica.
Questa monarchia è pronta ad uccidere pur di mantenere le proprie prerogative, non sono i catalani a detenere il potere militare e a volere la guerra, loro se ne vorrebbero andare in pace, per poi aderire alla comunità europea senza le pastoie di Madrid.
Non metto in discussione la volontà dei catalani di ottenere l’indipendenza, e neppure le gravi responsabilità del governo centrale di Madrid e della corona spagnola. Mi chiedo, semplicemente, se mettendo su due ipotetici piatti di un’altrettanto ipotetica bilancia le due cose, ovverosia, da una parte la forte pressione per ottenere l’indipendenza e dall’altra una conseguenza così cruenta come una guerra civile, il gioco valga davvero la candela. A fronte di una riconquistata sovranità, peraltro in buona parte subitamente riconsegnata ad un’altra entità sovranazionale (se prevalesse la volontà di permanere nell’Unione Europea), il pericolo è quello di un nuovo spargimento di sangue, le cui vittime, non lo si scordi mai e lo si tenga sempre ben presente, sarebbero principalmente quelle donne, quegli uomini e quei bambini ai quali la Generalitat intenderebbe consegnare l’ottenuta indipendenza.
Non c’è bisogno d’altro per comprendere il perché il popolo sardo non sia e non sarà mai pronto per l’indipendenza, visto che ci sono tante persone che hanno paura soltanto vedendo la determinazione tenace del governo catalano che vuole raggiungere il suo obiettivo.
Cosa pensate che la libertà sia gratis? I coloni americani non hanno fatto altrettanto?
Mi sembra che qua ci sono tanti e tirano a campare tanto lo STato paga…
Lo STATO UNITARIO è un’Istituzione nata da un paio di secoli che ha già mostrato tutti i suoi limiti.
Gli STATI per sopravvivere sono destinati a trasformarsi in STATI FEDERALI o saranni destinati al fallimento e quindi alla loro dissoluzione.
Se verrà usata violenza da parte del governo di Madrid la Spagna sarà destinata alla liquefazione.
I processi di autodeterminazione dei popoli sono fenomeni naturali e democratici, non riconoscerli significa essere come burocrati statalisti che mirano a cariche parassitarie per derubare le ricchezze altrui in nome del neosocialsmo.
Bene! Pur tenendo conto della lezioncina di diritto istituzionale, condita con qualche stralcio di storia, continuo a sostenere che in quella regione del pianeta sia stato innescato un meccanismo deflagrante che rischia di sfuggire di mano ad entrambe le parti in causa.
Può la dignità di una parte del popolo catalano, per quanto preponderante possa essere, sopravanzare il diritto di tutto un popolo alla sicurezza?
Quel che mi pare d’intravedere in un orizzonte sempre più fosco è il concreto pericolo di una guerra fratricida, con le nefaste conseguenze che travolgeranno proprio quel popolo che entrambi dicono di servire ed amare.
Nulla, proprio nulla, se non casi di gravità assoluta e di estrema urgenza, può sopravanzare il diritto naturale alla sicurezza esistenziale.
Li, secondo come evolveranno i fatti, si rischia una contabilità macabra che io mi auguro vivissamamente sia risparmiata, a me ed a tanti osannanti come spettatori, ad altri, i catalani, come vittime sacrificali immolate ad un indipendentismo le cui ragioni di fondo svaniscono completamente di fronte a uomini, donne e bambini morti ammazzati.
Mi auguro vivamente che certi scenari, quelli più tragici ipotetici, non siano mai replicati in altre regioni del pianeta, men che meno nella terra dove vivo.
Possibile che quei due ciarlatani, alludo ai due contendenti, totalmente inadatti politicamente a gestire una situazione di crisi come questa odierna, siano disponibili a sacrificare il proprio popolo pur di preservare o conquistare il potere?
La guerra civile è un’altra cosa: non c’è e non ci sarà.
Questo referendum non rispettava i criteri internazionali prima ancora di essere celebrato. Se DiploCat avesse pagato le spese di una delle missioni diplomatiche in Catalunya sarebbe uno scandalo. L’altra missione informava da tempo di non potere redigere un rapporto con tutti i crismi.
La repressione esercitata dallo stato spagnolo è stata rivoltante. Le minacce rivolte a mezzo cm contro gli agenti spagnoli sloggiati dagli hotel (e difesi fisicamente dai Mossos) evocano Pasolini. Questo è fanatismo; non uso della ragione.
I governi Rajoy e Puigdemont ne escono a pezzi, e francamente dovrebbero rassegnare le dimissioni. Sarebbe necessario: avviare un dialogo con mediatori all’altezza della situazione; tenere nuove elezioni in entrambe le nazioni; elaborare e approvare la riforma che riconosca lo stato spagnolo come un’entità plurinazionale; trovare l’accordo per un referendum vincolante in Catalunya, attraverso il quale il popolo possa scegliere il nuovo status (indipendenza=farsi Stato oppure essere nazione in un stato plurinazionale).
Inutile girare attorno: l’indipendentismo catalano ha perso questo treno. Ha perso. Abbiamo perso, noi indipendentisti che guardiamo a Barcelona con ammirazione. Dovremmo riconoscerlo, e imparare dagli errori commessi dai nostri “maestri”. Per non ripeterli in futuro.
È curioso come il centralismo sia visto con affetto dai molti partecipanti al blog di Muroni quasi a dimostrare la loro appartenenza o il desiderio di farne parte.
Nessuno che metta in discussione la struttura e la sua funzione, tantomeno una sua trasformazione.
A detta loro lo Stato esiste e va mantenuto a qualsiasi costo perché così è stato stabilito e perché sono troppe le persone coinvolte al suo interno o in fila per farne parte.
Ogni giorno si scoprono persone che aspettano di essere selezionate dal sistema statale o dalla partitocrazia.
Quanti sono coloro che desiderano diventare rappresentanti, burocrati o semplici dipendenti di uno Stato centralista e prevaricatore?
Se nel passato i Parlamenti erano nati per mediare le mire assolutiste delle monarchie, oggigiorno chi ci difende dal Dispotismo di uno parlamento assolutista?
Il Parlamento si è sostituito alle monarchie e ha costruito un’impalcatura statale abnorme al punto che, nel tempo, è diventata peggiore e più esosa di qualsiasi monarchia.
Pare che non interessi a nessuno smontare la macchina statale, perché questa è l’unica cosa che può garantire privilegi alle spalle del popolo.
La partitocrazia è diventata una forma di clero che decide solo quale teologia seguire.
Non parlare di trasformazione dello stato centrale in Stato Federale significa preferire il clientelismo, l’inefficienza e il parassitismo.
Oggi si dovrebbe parlare di questo, di come dovrebbe essere il futuro, non sulle alleanze alle prossime elezioni.
Insomma, c’è tanto da fare ma pare che a pochi interessi cambiare lo Status Quo.