Attonito, ho assistito alla scena dell’arresto del boss Giorgi. La mia reazione è stata un misto di rabbia e vergogna. Ciò che mi ha colpito maggiormente non sono stati i ‘baciamano’ dei ‘baciatori’, elemento di contorno purtroppo ormai scontato in queste circostanze.

Se quella scena immortalata dalle cineprese dei tg nazionali fosse un quadro e ad esso volessimo attribuire un titolo, credo che non potrebbe essere troppo diverso da ‘acquiescenza’.

Uomini di elevato grado, servitori dello Stato, intabardati in luminescenti divise, sostano indolenti ed acquiescenti a rimirar l’estremo gesto di ‘servilismo’ e devozione di una comunità nei confronti di un assassino, di un individuo che dovrebbe rappresentare valori che sono agli antipodi di quelli per cui quelle divise sono indossate.

Quell’immagine non racconta solo del servaggio e della soggezione della comunità. Dice, e ciò è ancor più grave, del sentimento di remissività, se non addirittura di confidenza, nei confronti del grande crimini organizzato cui sono piombati larghi strati dei poteri dello Stato.

A controbilanciare questa sensazione di sgomento non valgono neppure le successive immagini, trasmesse sempre dai tg, dei militi in festa per la brillante operazione di polizia.

Poco rileva constatare abnegazione e senso del dovere e dello Stato nelle truppe cammellate se e quando i suoi vertici sono pervasi da spirito di sudditanza e quasi devozione rispetto a chi dovrebbero combattere in una guerra senza quartiere.

Anzi, proprio il contrasto che emerge dal confronto di quei pochi fotogrammi rende l’insieme ancor più sconsolante. In primo luogo mostra un importante organo dello Stato che, come attraversato da una fenditura, si mostra diviso in due tronconi ben distinti, che si muovono a diverse velocità, percorrendo strade parallele e mai convergenti.

Per altri versi, la gioia degli uni se da un lato conforta, dall’altro racconta quanto diversa sia la spinta emotiva che muove gli uni e gli altri: felicitazioni ed abbracci spontanei fra la ‘truppa’ per il buon successo dell’impresa che contrasta con la rassegnata e acquiescente arrendevolezza mostrata dall’altra parte.

A poco serve chiedersi il perché sia stato consentito ai ‘baciatori’ di mostrare al mondo quell’ignominia devozionale. Ancor meno rileva chiedere le ragioni della singolare libertà di movimento di cui ha goduto nel momento del suo arresto il quinto latitante per pericolosità.

La risposta è nelle cose, nell’atteggiamento che dice bene quanto schizofrenica sia questa guerra condotta con convinzione e coinvolgimento emotivo dalla truppa e subita con uggia e fastidio dal Quartier Generale.

Un atteggiamento che quasi tradisce la volontà di scusarsi per un’azione portata a termine per dovere d’ufficio e priva di coinvolgimento ed emotività… Quasi asettica.

Ciò che emerge è la rappresentazione iconica attuale del nostro Paese. In questo stratificarsi di partecipazione ed indolenza, nel loro bordeggiare confuso, eppur ben manifesto, è possibile rinvenire il giusto metro che meglio d’altri coglie nella loro più genuina manifestazione i differenti strati che compongono il tessuto politico, economico, imprenditoriale, sindacale e civile dell’Italia.

Da un lato la massa informe che s’indigna, lotta e pretende equilibrio, giustizia sociale, impegno civile, rispetto giuridico; dall’altra l’élite, elitaria quanto mai la storia della Repubblica abbia registrato, che, avulsa da questa realtà di dolore e voglia di riscatto, persegue un disegno neppure più autonomamente delineato e i cui contorni sono sfumati anche ai loro stessi sensi.

Un’élite che nonostante l’insensatezza del proprio agire (poiché priva di un senso dove dirigersi e di un fine cui approdare), fa sentire il peso del suo imperio e dell’indifferenza che la pervade.
Non sono i ‘baciatori’ a spaventarmi.

Sono, invece, i comandanti servi, o se si vuole, sono gli acquiescenti ai dettami altrui quelli a destare maggior preoccupazione e sgomento.
Alla massa cosa resta? Forse solo un mormorio, che nel suo sperdersi fra indifferenza e insensibilità, si alza espresso quotidianamente dall’operosità delle masse. Un mugugno urlato che è ormai un urlo di dolore.

Per dirla con le parole di Manzoni: “Cara Italia! dovunque il dolente / grido uscì del tuo lungo servaggio”. Purtroppo questo grido resta inascoltato, come un’eco che si rifrange dall’Alpi allo stretto di Scilla.

Neppure la memoria degli eroi della Nazione reca sollievo. Tutt’altro, rende ancor più amara la constatazione che gli eroi sono tutti morti.