«Voglio dare un addio all’amor» è stata l’ultima frase pronunciata in pubblico da Moninchella prima che lasciasse la Corte e, quindi, il suo ultimo uomo, Francesco I, al proprio destino.

Moninchella ultimamente si era sentiva sola da quando Francesco, per questioni di salute, partecipava sempre più raramente alla Corona de Logu. Lei, prima dama, che in quelle sedute si era conquistata la fiducia di tutti i Majorales del Regno e che poteva ottenere qualsiasi cosa desiderasse, tutto ad un tratto, abbandonò il ballo a mezzanotte, proprio come Biancaneve, lasciando a Francesco la scarpina di cristallo forgiata dal mastro vetraio Ciscu Seddone.

«Voglio andare ad insegnare ai frati del convento di Santa Maria di Bonarcado come scrivere i condaghes» aveva detto in confidenza ad uno dei suoi vassalli.

Infatti, in gioventù, era stata una studiosa della lingua arborense, sebbene non ne apprezzasse l’impronta statuale, poiché privilegiava le varianti del sardo alla lingua “comune” coniata dagli Arborea. La sua vicinanza al Convento e le sue nobili origini le avevano permesso di ricoprire l’incarico di Scrivana, prima, e di Madre Abatessa, dopo.

In seguito conquistò il titolo di Majore della villa di Tresnuraghes e infine la nomina di Curatore della Curatoria di Macumere, entrando di diritto nella Corona de Logu.

Durante la sua fulminea carriera aveva conosciuto l’Alcalde del Castello di Sanluri, Don Raimondo Soros, con cui aveva progettato una Sardegna fuori dagli schemi delle potenze continentali, ma, resasi conto che Soros stava pensando di vendere il suo castello e la sua servitù ai regnanti dei ducati tosco-emiliani della Penisola, si liberò dalla morsa con cui era stata soggiogata e si buttò tre le braccia di un sardo di umili origini, un certo Giacomino Sannai, che amava cacciare Colombus a Ollolai.

Con il nuovo amore Moninchella sognò di fare la regina e, come tale, imporre la sua volontà su quella manata di ex combattenti e invalidi di guerra. Ma il Sannai scoprì l’intento e l’amore tra i due svanì, insieme al suo piano.

Rimasta senza consorte, Moninchella andò a convivere con un mastro vetraio, il sopracitato Ciscu Seddone, che oltre a fare le scarpe di cristallo a parecchia gente, professava anche idee di indipendenza dalla sempre più opprimente Aragona.

Insieme convennero alla corte di Francesco I, il quale, nominato da una Corona de Logu in maggioranza filo aragonese, li volle con se per tenere calma quella parte della società isolana che premeva per svincolare lo Stato dalla presenza straniera a Corte. Francesco I offrì a Moninchella la carica più importante del Regno, seconda solo a quella di Viceré, quella degli Affari Pubblici, che gestiva la maggior parte dei proventi del Regno.

Per tre anni i due andarono d’amore e d’accordo.

Lei ottenne carta bianca a Corte e ogni suo comando era prontamente eseguito. Fino a quando… ohi si si, ohi no no, i no prevalsero sui si. Moninchella se ne andò da Corte senza sbattere la porta, dicendo che era solo stanca, senza accusare il consorte di cattiva condotta, senza rimproverargli alcun peccato, dichiarando solo di non voler più cavalcare un cavallo “aschiladu e trobeidu”, ovverosia impastoiato come una bestia, che nel gergo di campagna si usa per indicare l’animale legato con una corda nelle due zampe anteriori e con un’altra fune la zampa di davanti con quella di dietro.

Ancora oggi gli storici non riescono a capire il motivo che spinse Moninchella a dare “l’addio all’amor”. Alcuni dicono che furono gli Affari Pubblici del Regno a starle oramai stretti, e che nel suo ritiro spirituale di Santa Maria di Bonarcado pensò di allargare.

Altri ritengono che da quel momento non pensò ad altro che alle successive elezioni della Corona de Logu che voleva vincere da Regina. In un modo o nell’altro, sebbene in assenza di fonti scritte, i più pensano che Moninchella abbia cercato in tutti i modi di riconquistare il potere e di far dimenticare ai contemporanei l’amore ai tempi di Francesco I.