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Nicolò Migheli con il suo articolo “L’avvento dell’Orbán in vellutino può essere dietro l’angolo” solleva un tema non di poco conto che a ben vedere sono due temi insieme: la tendenza a cavalcare suggestioni indipendentiste in salsa razzista e la necessità di rimboccarsi le maniche per costruire un’alternativa fondata sull’autodeterminazione al sistema di partiti centralisti che negli ultimi decenni ha messo a sacco la Sardegna.

Conosco e stimo Migheli e so che posso permettermi una dialettica franca.

La prima cosa con cui fare i conti è che in Sardegna la sinistra è di destra. L’abbiamo visto con la campagna elettorale che ha portato Pigliaru a essere eletto grazie ad una legge elettorale profondamente antidemocratica.

Eppure uno stuolo di inservienti mascherati da progressisti e sovranisti, perfino da comunisti e indipendentisti, ha sostenuto la coalizone a guida PD, accampando la scusa che “il professore” fosse “una brava persona” e potesse fungere da garante di un “percorso originale e di profondo cambiamento”.

Il risultato di questa “coalizione originale basata sul sovranismo e sul progressismo” l’abbiamo visto tutti: turboliberismo da operetta (le politiche su sanità, trasporti, usi civici, scuola e voucher non hanno nulla a che invidiare al peggiore berlusconismo) e subalternità un tanto al chilo come non se ne vedeva da tempo. Per non parlare dello smantellamento delle politiche linguistiche che grida vendetta!

Ora siccome in politica il vuoto non esiste e siccome i movimenti indipendentisti non sono riusciti a costruire uno spazio politico alternativo e democratico nonostante i numeri ci fossero– o per meglio dire non hanno voluto, visto che certe dinamiche disgregazioniste e follemente egemonizzanti le abbiamo viste e continuiamo a vederle tutti con i nostri occhi –, è del tutto logico che oggi «il lupo fascista si nasconda sotto la pelle dell’agnello indipendentista». I latini dicevano “horror vacui” e avevano ragione.

Di chi è la responsabilità? Del lupo che si traveste da agnello per poter guadagnare consensi e occupare uno spazio politico appetibile o del campo del “movimento per l’autodeterminazione” che in tutti questi anni non ha saputo e voluto aprire un processo di aggregazione unitario, democratico e plurale?

A mio parere dobbiamo prenderci le nostre responsabilità, e lo dico da militante impegnato da anni in prima persona in diversi tentativi di aggregazione e ricomposizione andati a male.

Qualche mese fa abbiamo fatto un passo presentando al T-Hotel a Cagliari il progetto per una alternativa nazionale civica e indipendentista. Lo confesso, non è facile.

Anni di separazioni e di solitarie ed egemoniche fughe in avanti, hanno sfiancato un movimento che fino a poco tempo fa godeva della simpatia e accattivava la fiducia di migliaia di sardi. Fra l’altro il movimento indipendentista aveva anticipato molti dei temi anticorruzione poi saccheggiati dai 5stelle e proprio nel momento in cui avrebbero dovuto raccogliere i risultati della semina, molti dirigenti indipendentisti non si sono sottratti all’abbraccio mortale della “casta”, giocando, anche in questo caso, partite solitarie ed evitando perfino di costruire un gruppo unico in Regione a causa di ridicole guerrette personali.

Il disastro ce l’abbiamo tutti davanti ai nostri occhi: l’indipendentismo da messaggio di speranza e novità è diventato sinonimo di voltafaccia e folklore, spingendo molti sardi verso il disimpegno o, peggio, verso i 5stelle o il fascismo incipiente.

Che fare dunque per realizzare l’auspicio di Migheli affinché il 2017 sia un anno buono e non l’annus horribilis dell’avvento del Grande Leviatano in berritta e cusinzos paventato da Migheli stesso?

Per quanto mi riguarda darò il mio piccolo contributo affinché si rilanci e soprattutto si strutturi il dibattito, perché il dibattito esiste già ma attualmente non è finalizzato. Credo che una discussione pourparler oggi sia inutile e dannosa, perché il tempo stringe e non solo in senso elettorale, come giustamente rimarca Migheli.

Spero che l’Alterativa Natzionale proposta al T-Hotel germogli rigogliosa diventando un grande albero capace di crescere sano e forte. E spero che accorranno tante altre forze, organizzate e non, perché se non vogliamo essere investiti da una nuova peste nera, dobbiamo dismettere le vestigia dell’ «uomo del Guicciardini» e gettarci nell’arena da protagonisti rinunciando a babbucce ed orticelli vari.

Ma c’è una condizione al successo di questo nuovo corso: le paroline magiche di democrazia, pluralità e valori, partecipazione, dovranno diventare correnti storiche rigeneranti e non solo etichette buone da stampare sugli opuscoli elettorali.

Democrazia, perché fino ad oggi i movimenti indipendentisti o non lo sono stati (democratici) o hanno avuto basi militanti troppo esigue e comunque controllate perché ci potesse essere reale dibattito e confronto.

Senza democrazia non si creano maggioranze e minoranze su obiettivi e strategie, ma solo cerchi magici e baronati, e si selezionano dirigenti mediatici che poi si impossessano del loro ruolo.

Pluralità, perché l’alternativa che abbiamo il dovere di costruire non può essere basata né sul partito unico né sul pensiero unico. Ci abbiamo messo dieci anni a liberarci da un certo settarismo indipendentista fatto di confessioni ideologiche e questo è un bene. Ma alcune idee-valore dobbiamo mantenerle, altrimenti le zone d’ombra prenderanno il sopravvento e la giusta aspirazione all’autodeterminazione verrà strumentalizzata come teme Migheli.

Questo nuovo corso fondato sulle idee base dell’autodeterminazione e della sostenibilità dovrà basarsi su un’idea solidale di società, sul rifiuto del razzismo e della guerra tra poveri e sul riconoscimento dei diritti civili e sociali delle persone. Insomma il minimo sindacale per non farsi risucchiare nel vortice della marea nera montante.

Partecipazione, perché in Sardegna ci sono tante persone che hanno studiato a fondo “ i nodi di Gordio” della nostra società e ci serve il loro contributo, anche se non vogliono intascare tessere di partito e non vogliono incoronare leader. Dovremmo «andare al popolo» – come amava ripetere Antoni Gramsci – armati di umiltà e determinazione e mettere su un programma politico prima che elettorale, fatto di una decina di punti strategici con cui cambiare faccia alla Sardegna e fermare il deserto che l’Italia e l’italianizzazione sta facendo avanzare a tappe serrate.

Chiudo anche io con una domanda. Ce la faremo?