Mentre l’America si interroga sul successo di Trump e la sconfitta di Hillary Clinton, Bernie Sanders non rientra nei ranghi e rilancia invece le sue idee con un libro autobiografico.

Il racconto di Pietro Porcella, il noto sardo-americano che si divide tra Cagliari, New York le Hawaii e Miami. (a. mur.)
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Il trauma del post-Trump election, o del giochino ‘post Trump’ , voce del verbo postare tempo presente, l’avevo superato in 48 ore.

Vabbè, l’elezione inattesa del magnate degli alberghi ci poteva anche stare, visti gli errori e i dubbi sul clan-Clinton, ma dire per forza qualcosa su Trump, a torto o a ragione, è stata una fastidiosa mania universale che mi ha investito su Facebook come in tv tipo-tzunami, nelle prime due giornate.

“Spegni tutto un attimo”, mi ero detto dopo essermi sentito come se in testa, mentre lo sguardo cercava il cielo, mi avessero costruito un enorme grattacielo che mi oscurasse la vista, opprimendomi.

Avevo superato il momento di paura con una duck-dive, quella manovra che si fa nel surf da onda, quando si passa sotto l’onda che arriva, spingendo anche la tavoletta sotto l’acqua insieme a te e lasciando che l’onda ti passi sopra la testa senza trascinarti.

Dopo un giorno di incredulità, febbre e cagarella, ero rimasto muto ad ascoltare e digerire gli altri commenti.

Le ragazze in famiglia, che la sera prima erano già schierate come delle leonesse, o meglio leoparde, pronte a danzare per l’elezione della first lady President of the United States, sono invece crollate istericamente.

Incluse mie figlie Giulia e Gaia a New York, mia moglie Kirsten qui con me a Miami, sua mamma e sua sorella in New Jersey, tutte le mie sorelle, cugine, amiche, amiche delle amiche che in Sardegna e nel mondo si disperavano per il successo di Trump e telefonavano e lanciavano i loro anatemi.

Boh, boh, tutte o quasi.

Le donne offese, presagivano ingiustizie umane al confine della accettazione, da bloccare in una maniera o nell’altra. Le trionfatrici e i trionfatori, salendo sul carro del vincitore, svelavano una appartenenza mai sospettata prima.

Dal secondo giorno in poi, completata indenne la duck-dive, ho iniziato a vedere il lato ironico rispetto a chi la viveva in maniera traumatica. Mi pare ve ne avessi già riferito altrove (intervista su vistanet.it) delle discussioni con gli amici, la maggior parte dei quali vivono o amano la Sardegna e tutti ci chiedevano come l’avessimo presa noi in America.

Risposta ironica scontata, “in cuddu logu….cumenti bolis chi d’ eus pigàra? Chi l’ avrebbe mai pensato che con quel vantaggio Hillary potesse perdere….pariara giai totttu organizzau…. anzi, sai che ti dico ? Quasi quasi…Fattu beni, deaicci…a sbruncarura, aicci imparanta is Democraticus de ‘sa familla reali’ chi a is bortas su populu no du frigasa scetti cun su dinai o is faulasa….”

Stiamo a vedere ora che succede con Trump, magari su qualcosa farà anche meglio di quello che aveva promesso Hillary. Questa politica, in ogni caso, non mi appartiene.

Il mio candidato, sin dalle primarie, era in realtà Bernie Sanders, su beccixeddu del Vermont.
Per lui si, mi svenavo e chi mi aveva seguito su ‘Buongiorno Cagliari’ il programma mattutino di Radio X lo scorso anno, sapeva benissimo quanto tifavo per il mio idolo.

Per lui avevo fatto quello che non avevo fatto mai per nessun altro, (incluso Obama): gli avevo dato tre dollari a settimana per finanziare la sua campagna elettorale. L’ho fatto per quattro mesi di seguito, da Gennaio ad Aprile, quando ho capito che la sua campagna contro Hillary fiara spaccendi.

Figuraisì, un economizzatore come me…che dava soldi (qualche spicciolo) a un politico ? Era ovviamente un fatto provocatorio, un senso di appartenenza, indicativo del fatto che volessi in qualche maniera appoggiare la sua battaglia, tipo Don Chisciotte, contro l’establishment e le lobby dei ricchi.

Non ero quindi per niente contento di Hillary e delle sue trasse anche se l’avevo votata col naso chiuso, resistendo alla tentazione di annullare la scheda facendoci uno schizzo dei quattro mori.
Dopo la vittoria inattesa di Trump, dieci giorni fa, mia moglie mi chiedeva ( poco convintamente): “Ma allora che facciamo ? Ce ne dobbiamo tornare in Sardegna ?”

“Mancu po sonnu – le avevo subito risposto -. Figurarì……abbiamo resistito per otto anni ai cussu giolloni de GW e immoi no ci da faeusu a resistere cun custu ricconi, prepotenti parrukkino arrubiu? Vedrai che alla fine farà anche benino almeno sulla politica economica interna. Agguanta, sa sposa, quattro anni passano in fretta”.
E’ passata indenne la prima settimana con qualche protesta in piazza, sta passando la seconda con qualche murrungio a voce alta, passeranno le altre con rassegnazione e basta. Abbiamo ingoiato il rospo. Rimangono i dubbi e le paure su Trump, sul quale vigileremo attenti, mentre cresce l’apatia per il maleodorante mondo della politica americana.

A ristorare lo spirito ci voleva proprio l’annunciato arrivo de Su beccixeddu del Vermont, i.e. BERNIE SANDERS alla MIAMI BOOK FEAR, per presentare il suo libro (già best-seller) intitolato ‘Our Revolution’.

Appena ho scoperto l’evento già sold-out, ho scritto subito alla press-officer per chiederle un accesso.
Mancavano tre giorni, i 600 posti della sala erano già assegnati e c’era una richiesta tripla la capienza.
“ I can’t guarantee you a chair – mi aveva assicurato Joyce – but since you are the only Italian journalist registered I will give you a pass on the side, where the other photographers are”.

Ieri con mia moglie Kirsten ci siamo precipitati dal primo pomeriggio al Miami Dade College, dove avrebbe parlato e dove si svolge da quasi due decenni una delle più importanti fiere del libro in America. In attesa di incontrare e ascoltare Uncle Bernie, abbiamo comprato e iniziato a leggere il suo libro.

Una biografia scorrevole, trascinante, con la descrizione dei suoi anni giovanili passati in povertà a Brooklyn, in una grande famiglia, padre Jewis emigrato dalla Polonia dove i nonni erano stati uccisi dai nazisti.

I suoi studi e le sue scelte politiche da ragazzo, il suo trasferimento in Vermont e i suoi otto anni da sindaco a Burlington la capitale del piccolo stato del Vermont (600.000 abitati) prima di entrare a battagliare in Senato per due legislature e poi annunciare, da piccolo pesciolino, la candidatura a Presidente degli Stati Uniti. Tra lo scherno degli altri DEM, voleva avviare una rivoluzione culturale mai lanciata prima in questo popolo tutto sommato conservatore.

Ero eccitato di poterlo vedere e mi ero illuso di potergli parlare per trenta secondi quando è arrivato a due metri da me mentre entrava nel furgone della emittente C-Span che lo doveva intervistare.

Se non fosse stato per il ‘tagliafuori’ cestistico del poliziotto incaricato in quel punto del cordone avevo già pronto il libro con la penna per una dedica a Gaia. E’ il Christmas present per mia figlia diciottenne, che votava per la prima volta e che ispirata da Bernie potrebbe iniziare a studiare Scienze politiche.

Ho insistito col poliziotto che io ero giornalista e dovevo solo fargli una domanda. Lui mi ha tenuto minaccioso il braccio dicendomi “Don’t move” . Un altro passo e mi avrebbe arrestato.

Meglio andare subito su in sala e assicurarmi il posto per la sua presentazione.

Così ho fatto e ho atteso paziente il suo ingresso trionfale con tifo amorevole da stadio che né Trump né la Clinton sono mai riusciti a raggiungere.
Si respirava una bellissima aria dentro la sala e nell’ora e mezza di discorso ininterrotto, toccando i semplici punti della sua campagna e del suo libro, su beccixeddu del Vermont ha energizzato tutti.

“Non chiedetemi se mi candido nel 2020, non è importante adesso. Non ci penso neanche. Ci sono problemi più importanti sui quali dobbiamo vegliare e sui quali dobbiamo continuare a combattere sin da domani per tener viva e far trionfare OUR REVOLUTION.
Il minimum wage a 15 dollari, le tuitions free nei college per permettere ai nostri giovani di studiare e imparare un lavoro senza indebitarsi. L’assistenza sanitaria e i prodotti farmaceutici gratuiti a chi ne ha bisogno e non può pagare. Adeguati co-payments per la middle class. Tasse più alte a quell’ 1 % di ricchi e banche che controllano il 46% del capitale mondiale e continuando ad arricchirsi alle spalle e a discapito del 99% della popolazione che lavora per portare il pane a casa.

Amiamoci, dimentichiamo il sentimento dell’odio verso i vicini o i popoli vicini e lontani. Diamo pari opportunità come dice la nostra costituzione, senza discriminazioni per colore della pelle, religioni, stato sociale, tendenze sessuali. Siamo tutti esseri umani e questa è la nazione che sbandiera la libertà e i diritti, questa è la nazione che si è ripresa diverse volte lo scorso secolo dalle crisi economiche e lo rifarà adesso.

Questa è la nazione che ha superato grandi ostacoli sui diritti degli umani e deve continuarlo a fare adesso con ancora più forza. Indietro non si torno, l’ho già detto a Trump e noi dobbiamo impedirglielo se lui ci prova.
Attenzione, vegliamo sul global warming, impediamo il continuo scavo di carbon-fossil e studiamo quali energie alternative possiamo usare per muoverci. Sono fiducioso, sono sicuro che ce la faremo.

It’s not about me, it’s about us.

Voglio lavorare, quello si, per unificare il partito democratico verso questi punti e impedire che le lobby, che Wall Street cerchi di comprarci per poi manipolarci”.

Queste in sostanza le cose che ha ribadito Bernie e il pubblico, me compreso, lo applaudiva con passione e con convinzione urlandogli cori e balzando in standing ovations.

L’impegno che Bernie chiede a questa piccola minoranza è di non mollare, di continuare a battere e protestare davanti alle ingiustizie finché non si torna ad un 51% e più di consensi.

Un fascino, quello de su beccixeddu del Vermont, che brilla ancora e dà speranza a quel terzo più buono degli Stati Uniti. Quei giovani, quei vecchi, quella middle class che ha studiato, che studia, che ha lavorato, che lavora chiedendo solo di vivere in fratellanza, senza discriminazioni, in una grande nazione che dà e paga il lavoro equamente ai suoi cittadini. che anziché buttare i soldi in armi e fossili, utilizza quei soldi per dare una pensione adeguata e una protezione medica gratuita ai cittadini che non possono pagare.

Una nazione che sta attenta ai cambiamenti climatici ed è pronta a intervenire, altrimenti col global warming la Florida rischia di sprofondare sott’acqua tra quarant’anni.

Thank you Bernie, grazie di esistere, Deus ti ddu paghiri e ovviamente…. God bless America.