Federico Porcu, 29 anni, originario di Villagrande Strisaili, è farmacista e presidente dell’Assemblea provinciale di Cagliari del Pd.

Con lui parliamo del futuro del suo partito in Sardegna.

Il confronto sul governo è arrivato al momento decisivo. Lei cosa pensa del tentativo Di Maio-Pd?

Mi sono impegnato tanto per portare avanti le mie idee e quelle del Pd. Dopodiché gradirei vivamente che si riprendesse a far politica. Alla fine prevarrà, come giusto che sia, la linea voluta dalla maggioranza della direzione nazionale del Pd. È un unicum in Italia, ed è una cosa molto bella: esiste un partito realmente democratico, che decide dopo aver convocato i propri organismi e dopo essersi confrontato anche su posizioni molto differenti.

L’alternativa qual è?

L’alternativa oggi è il nulla. Rivotare con questa legge elettorale? Non ne capisco il senso. Il Paese oggi ha bisogno di un governo e di una prospettiva. Ed è dimostrato storicamente che riandare al voto dopo poco tempo conferma o accentua il risultato immediatamente precedente. Non mi sembra una soluzione utile per il Paese. Mi ripeto…si riprenda a far politica.

È presto per un serio bilancio – e dunque una autocritica – su quanto accaduto in casa Pd nell’ultimo decennio?

È tardi. Non mi faccia arrabbiare. Io non sono nel Pd per sbaglio, il Pd deve essere la sinistra del Paese: quella che parla alle fasce deboli, che parla di uguaglianza sociale, quella che ha l’ambizione di rendere questa società più giusta. Quello che mi ha fatto innamorare della politica da ragazzino. Non abbiamo interpretato questo, e sarebbe il caso si invertisse la rotta.

Di conseguenza, nel dettaglio, questa disamina arriverà anche in Sardegna?

Mi pare evidente. Se nei quartieri popolari come Sant’Elia prendiamo il 6% significa che qualcosa abbiamo sbagliato. In Sardegna il Pd ha le competenze e le risorse per realizzare quanto dico. Serve però uno scatto di reni e smetterla di parlare solo di noi stessi e guardare al motivo per cui facciamo politica. Non partecipo alla sagra di chi recita “basta con le correnti”. Le correnti ci sono anche nei 5 stelle. E io ho partecipato a riunioni di corrente dove si è parlato dei problemi reali più che negli organismi ufficiali del Pd. Dico solo che dobbiamo riprendere a parlare di cose concrete. Perché è utile, perché ci piace e perché abbiamo iniziato a far politica per questo. Berlinguer diceva di essere felice perché nell’arco della vita riteneva di esser sempre stato fedele agli ideali di gioventù. Ergo…

Ora si parla di Pd sardo, federato con Roma. Una proposta che Cabras e Maninchedda lanciarono già a inizio di questa legislatura. Non le pare che questa proposta arrivi fuori tempo massimo? Nel senso che possa essere interpretata come una mossa disperata per salvare il salvabile.

No. Questa è una proposta concreta e utile. Ne sento parlare da 10 anni (solo perché sono piccolo altrimenti sarebbero di più) e spero adesso ci siano le condizioni per realizzarla. Se si fosse ascoltato chi la propose anni fa forse oggi il Pd reciterebbe un ruolo più forte nello scenario regionale e nazionale.

Cambiano le strategie ma non gli uomini e le donne che le portano avanti. Il Pd sardo sembra ingessato – ai vertici – da oltre dieci anni.

Gli uomini che le portano avanti non cambiano perché forse sono i più capaci. Non ho mai creduto alla retorica del rinnovamento fine a se stesso e ho sempre cercato di apprendere il più possibile da chi ritenevo competente di me. Poi le dico che nel Pd sardo ci sono due tipi di giovani: i cosiddetti “soldatini”, che rimarranno emanazione unica di chi li ha creati e quelli bravi e competenti, che per fortuna sono in maggioranza, e diventeranno presto classe dirigente.

Il deficit di vero rinnovamento delle classi dirigenti è quel che più potrebbe frenare la credibilità delle vostre prossime proposte. Come pensate di superare questa difficoltà?

Il deficit è di proposte e competenze non tanto anagrafico. Il tema vero è che 20 anni fa sedevano in consiglio regionale gli Antonello Cabras, i Paolo Fadda, gli Emanuele Sanna. Oggi, tranne qualche rara eccezione, il livello è più basso. Più basso a Roma e più basso in Sardegna. A noi giovani il compito di studiare e diventare migliori di ciò che ci ha preceduto. Può sembrare un’utopia considerato il livello di disaffezione dalla politica del mondo giovanile ma è l’unica strada che vedo possibile.

Cosa lascia, di concreto, il vasto schieramento trasversale manifestatosi nella riunione sulla vertenza Ottana di venerdì 20 aprile?

A me personalmente lascia un senso di rammarico. Avrei voluto che il mio partito lì fosse protagonista, invece discuteva sempre sulle stesse cose, come non ci fosse passato un uragano sopra il 4 marzo.

Si è rimarginata, nel vostro partito, la ferita aperta con una parte dei vostri amministratori locali a seguito della questione ANCI?

L’ANCI è l’associazione dei sindaci, non una questione interna al Partito Democratico. Il fatto che per la presidenza si siano sfidati due esponenti del Pd, entrambi molto competenti e ben voluti, non può che essere una nota di merito per il Pd, che ha ancora la capacità di esprimere una classe di amministratori locali eccezionale. Mi sento anzi di dire anzi che la ricostruzione del Pd dovrebbe proprio partire da loro che sono forse le vere figure vicine a chi ha problemi e riconosciute realmente dell’elettorato.

Se lei potesse determinare la linea programmatica e comunicativa, su quali tre punti punterebbe nella prossima campagna elettorale per le Regionali?

Intanto spero di poterla almeno in parte determinare realmente: Autonomia, è ciò di cui abbiamo bisogno davvero oggi e non è un caso che sia d’accordo sull’idea di un Pd sardo federato col nazionale. Conoscenza e formazione, abbiamo le intelligenze per rilanciare la Sardegna e mi dispiace ogni volta che un ragazzo sardo vola via all’estero semplicemente perché qui abbiamo poco da offrire. Zone interne. C’è un mondo abbandonato dalla politica. Mi scuserete se ho origini ogliastrine ma governo e Regione da noi li hanno visti solo in televisione e li sentono lontani anni luce.