Il recente incupirsi della situazione che riguarda la nostra regione euro-mediterranea così legata e unica al suo interno, ma così divisa da conflitti di ogni genere, ha scatenato la voglia di schierarsi, anche in Sardegna. Per Trump o per Putin, per Assad o per Erdoğan, per Israele o per la Palestina?

Penso che chi si batte per l’autodeterminazione della Sardegna abbia la responsabilità ineludibile di schierarsi anzitutto per se stesso, per i propri interessi di popolo non indipendente. A favore di nessun potere, ma proprio a fianco delle nostre ragioni, quelle dell’autodeterminazione.

Assumere un ruolo di giudici verso altri popoli è tipico di un’attitudine colonialista che in troppi hanno assunto verso noi sardi. Per cui, cerchiamo di non imitarli, soprattutto dopo una veloce lettura della stampa italiana, pessima su quei temi, o di siti troppo orientati e a senso unico per avere un minimo di affidabilità. Schierarsi porta alla fine alla voglia di intervenire, e alla catastrofe. La storia non ce l’ha insegnato?

La Sardegna non ha nessun interesse a sostenere in alcun modo la politica di continuo intervento dell’Occidente in Africa e nel Medio Oriente, così come non ha interesse a sostenere quello della Russia putiniana o della Cina. La ragione è semplice.

Noi, la nostra economia, la nostra stessa terra, sono invase e colonizzate dal militare, sono una retrovia di questa politica, sono un possibile bersaglio, e sono anche un deposito di resti purulenti di questo insieme militare, industriale, politico e finanziario che gestisce le politiche di guerra. E questa è la politica dell’Italia, che la fa a nostre spese, localizzando in Sardegna una parte gigantesca dei suoi dispositivi bellici.

La guerra in Yemen si compie ogni giorno con l’ausilio di bombe prodotte in Sardegna, tutti gli eserciti belligeranti, compreso quello israeliano, così discutibile e ripetutamente condannato in sede internazionale per la sua occupazione illegale della Palestina, si esercitano nelle nostre basi.

L’aerospaziale e gli affari legati a progetti poco trasparenti ricevono tanti finanziamenti e “creano occupazione”, ma anche dipendenza e orientamento della nostra economia su cammini non proprio esaltanti.

A me pare che sia questo il momento, per tutti coloro che hanno a cuore le sorti della Sardegna e non desiderano la sua trasformazione in un’appendice di basi e installazioni militari, di portare avanti una politica di pace. Questo significa opposizione all’occupazione militare in Sardegna, ma anche alle politiche belligeranti, da qualsiasi parte provengano. Questo significa non prendere le parti di governi, ma dei popoli e dell’allargamento di libertà e diritti perché non c’è pace senza giustizia.

L’attacco indiscriminato dell’Occidente e della Russia all’Africa e al Medio Oriente sembra presagire a una nuova ondata di spartizione del mondo in aree di interesse e influenza. Noi non possiamo che essere contrari, perché non vogliamo più rivivere giornate come quelle del febbraio, del marzo e del maggio 1943, ma anche perché se si dà per scontata l’idea, figlia del pensiero demenziale “geopolitico” (ma anche di spregiudicati interessi) che il mondo debba essere suddiviso in aree di influenza, noi siamo fottuti, come Sardi, chissà per quante generazioni avvenire.