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In questi giorni, a seguito delle numerose “disavventure” grilline, va per la maggiore un tentativo di liquidare l’intero Movimento Cinque Stelle al grido di: “Via i dilettanti, lasciate la politica in mano a chi la sa fare”.

In questo ultimo concetto, però, si nasconde in realtà una insidia enorme ed un danno ben peggiore di quello che – a parole – si vorrebbe evitare.

Dietro quel “lasciateci lavorare” si nasconde certamente la volontà di colpire e mortificare il Movimento ma, al contempo, di mandare un chiaro messaggio a tutte le persone “comuni”: “Non pensateci nemmeno lontanamente a riunirvi, ad aggregare idee e persone, a fare politica in modo nuovo, tanto non siete capaci. Per governare ci siamo qua noi, che abbiamo esperienza, che lo facciamo da tanti anni e che abbiamo il polso di tutti le questioni. A voi cittadini spetta solo un compito, quello di votarci e sperare che il signorotto al quale fate riferimento possa concedervi una briciolina di benessere, di felicità, di lavoro”.

In questo modo, una classe politica inetta, ancorata ai propri benefici e clientele, ai propri improduttivi riti ed equilibri, cerca dunque di eliminare quello che vede come un anticorpo, e dunque come un nemico, del proprio status quo.

E’ vero che le vicende grilline di questi ultimi mesi, a prescindere da singole situazioni giudiziarie, denotano sicuramente impreparazione, pressapochismo e mancanza di una propria adeguata classe governativa.

Come accadde ad altre formazioni politiche in passato, agevole è ottenere consensi al grido di onestà e manette per tutti i ladroni ma più complicato è avere poi le capacità di valorizzare ulteriormente quei consensi attraverso una sapiente attività di governo, che richiede competenza e capacità.

A questo riguardo, mi ricollego al post di Anthony Muroni “Parliamo di lavoro e di una Sardegna nuova”, che condivido appieno, per evidenziare che non ha più senso che la Sardegna si privi delle proprie intelligenze a esclusivo vantaggio di una insipiente classe politica, che con una finta logica dell’alternanza continua a svilire la nostra terra.

Esistono numerose professionalità in Sardegna che temono di fare politica attiva o che, magari, la fanno ma vengono tenute al guinzaglio nei rispettivi recinti partitici, spesso isolate o malsopportate dalle truppe cammellate di Tizio o di Caio.

Tante persone i cui singoli valori, dunque, non vengono mai sommati l’uno all’altro ma, viste le differenti appartenenze, vengono annullati e sprecati nella melma dominante.

Forse potrebbe davvero essere arrivato il momento di ragionare fuori dagli schemi politici imposti da terzi e vedere se sia invece possibile trovare un minimo comune denominatore nel quale riconoscersi, rappresentato da idee concrete ed attuabili in favore della Sardegna e non da vuoti programmi elettorali, da riciclare ogni cinque anni.

Le idee valide non sono né di destra né di sinistra ma nemmeno possono essere limitate al concetto di onestà. Aggiungiamo a quest’ultimo termine, ovviamente imprescindibile, anche capacità ed interesse per il bene comune, troveremo un modo nuovo di provare a risollevare l’Isola.

Io, personalmente, non avrei nessun problema a dare fiducia a persone che abbiano storia e opinioni politiche diverse dalle mie, purchè le loro idee, e intendo le loro e non quelle della nomenklatura alla quale fanno riferimento elettorale, siano valide e possano davvero invertire la rotta.

E credo che tante, tantissime persone la vedano nello stesso modo o, perlomeno, mi illudo sia così.