Ho acquistato dalla mia libreria di fiducial’ultima pregevole fatica di Anthony Muroni.
E’ indubbio che sia doveroso dedicare qualche riflessione ulteriore al chiaro profilo che del Presidente dei Sardi emerge dal libro, ma il mio giudizio è fortemente orientato alla capacità dell’autore di raggiungere il suo obiettivo editoriale.
Da quest’ultimo punto di vista è indubbio che Anthonry Muroni abbia centrato argomento e modalità e il numero crescente di recensioni in circolazione lo stanno a dimostrare. L’argomento è di grande attualità perché in un momento di così grande fermento del mondo sardista e di contemporanea crisi e disillusione delle superate categorie politiche nazionali di destra e sinistra i sardi iniziano a riflettere con più coraggio e più vena introspettiva.
Lo stesso Anthony Muroni, non a caso, si è reso protagonista negli anni scorsi di una coraggiosa e genuina iniziativa politica che si faceva interprete di questo crescente anelito sardista e sebbene i risultati numerici non gli hanno dato ragione è certo che egli, da ottimo giornalista qual è, aveva percepito con chiarezza questa pressante domanda di riappropriazione della propria identità da parte dei sardi. E quindi la mia prima osservazione è che Anthony Muroni, parlando di Mario Melis Presidente dei Sardi, lo fa sentendosene pienamente coinvolto sul piano culturale ed emotivo.
Il secondo punto che emerge dalla lettura del libro è che Anthony Muroni è sì coinvolto emotivamente nella scrittura del libro, ma mantiene integro il suo professionale approccio giornalistico. Avrebbe potuto, proprio alla luce delle sue personali ed appassionate e brevissime esperienze politiche, concedere più spazio alle proprie emozioni, ai propri convincimenti, alla propria esperienza sul campo proprio su quegli stessi annosi argomenti e valori del sardismo storico che l’avevano spinto verso un impegno personale.
Invece l’impostazione del libro è quello tipico del giornalistico d’inchiesta, basato su una ricostruzione cronologica di fonti riportate tra virgolette, come veri e propri documenti parlanti, testimonianze, dichiarazioni ufficiali, atti. Questa impostazione fuga qualsiasi dubbio sull’attendibilità dei contenuti basati sulla la cronaca autentica delle vicende e degli accadimenti umani e politici di quegli anni difficili e di difficile lettura, soprattutto agli occhi dei lettori più giovani molto lontani dalle dinamiche e vicende davvero complesse figlie di un tempo che non c’è più, ma che pure paradossalmente continua a dispiegare i suoi effetti.
Molto apprezzabile è anche la scelta di tracciare un profilo di Mario Melis partendo dalla storia della sua famiglia. Personalmente ritengo che le storie delle famiglie, soprattutto in Sardegna, sono sempre state una chiave di lettura fondamentale per la comprensione del passato e questo Anthony Muroni dimostra di saperlo molto bene.
Chiudo sintetizzando in poche parole ciò che più mi rimane del bellissimo profilo che di Mario Melis ha fatto Antony Muroni nel suo bel libro, considerando che non basterebbe un altro libro solo per commentare l’enorme mole di testimonianze e documenti che mette a disposizione del lettore.
Tutta la famiglia Melis, ad iniziare dal fratello Titino, aveva del sardismo una visione fuori dalle visioni localistiche di altri sardisti (“..Quando io, modestamente, mi batto per uno sviluppo delle potenzialità marittime dell’economia sarda, penso all’internazionalizzazione, non alla chiusura, della regione nei confronti dell’Italia, dell’Europa, del Mondo..” cit. pag. 31), per continuare con il fratello Pietro (“..La Solis e la Marfili erano idee che. allora, trent’anni fa, rappresentavano la volontà di riportare lo sviluppo, la mentalità moderna industriale, la possibilità di lavoro e di reddito prodituvo e non assistito, anche nelle aree interbe, nelle aree dell’emarginazione”…cit. Pag. 40) per arrivare a Mario Melis, che con la sua successiva discesa in campo assicurò la sopravvivenza al Psd’Az. E’ proprio Mario Melis a coltivare, promuovere ed intercettare in “questi anni un sentimento comune della Sardità, che attraversa larghi settori della società, penetra negli stessi partiti di sinistra, tocca persino una consistente fascia della base rurale della DC”, (cit Pag. 46) con l’inizio “di un terremoto che doveva presto attraversare la loro vita e, in un certo senso, la società sarda” come sostiene il mio amico e maestro di sardismo Mario Carboni (cit, Pag 47).
Nel 1984 nacque la prima c.d. Giunta Autonomistica ed arrivarono le prime velate critiche per l”Art. 1 dello statuto del Psd’Az che parlava (e parla ancora oggi NdA) di indipendenza. Rais, deluso per la fine della stagione di collaborazione con la DC, fece un discorso di approvazione del percorso politico motivando l’astensione per “le riserve culturali sulla questione dell’indipendenza” (Cit. Pag. 52) a cui seguirono meno velate critiche da parte della DC nazionale con De Mita (“L’accordo di potere per la Giunta sarda mette assieme comunisti e socialdemocratici, autonomisti e mezzo terroristi”, Cit. Pag. 55) ai quali Mario Melis replicò affermando che “il Partito Sardo d’Azione è vittima di iniziative torbide, volte a turbare gli equilibri democratici in Sardegna, il complotto separatista è stato organizzato dai servizi segreti italiani” (Cit. Pag. 57). ed a proposito del separatismo Malio Melis affermava “Noi vogliamo integrarci non solo con l’Italia, ma con l’Europa con una forma statale di tipo federale” (cit. Pag. 58) Mario Melis denunciava, n una intervista a Giorgio Bocca, che “ancora una volta la Sardegna, e il governo dei sardi, vengono piegati alle lotte di potere nazionali. Ha ragione il professor Passigli: sono le lotte del “palazzo” romano che si proiettano sulle vicende regionali e le stravolgono” (cit. pag, 61). Dichiara inoltre “siamo stati sotto gli spagnoli per quattro secoli e siamo rimasti sardi. Ora siamo diventati italiani al seguito dei Savoia eppure siamo rimasti sardi” (cit. pag 62).
I documenti riportati fedelmente da Anthony Muroni ci raccontano di un Mario Melis impegnato “nel superamento degli stati nazionali, delle loro gabbie soffocanti” (cit pag 62) rimarcando come “noi non ci poniamo come dei diversi insulari e isolazionisti. Noi abbiamo gli stessi problemi dei catalani, dei fiamminghi, dei valdostani, dei lorenesi, dei gallesi, di tutti i popoli europei che non ci stanno ad essere cancellati dalle forze congiunte del consumismo economico indifferenziato, dal rullo compressore dei Mass Media e dal conservatorismo degli stati nazionali. Non volgiamo una soluzione solo nostra, vogliamo una soluzione valida per tutti” (cit. pag 63)
E’ a pag. 71 che leggo l’unica dichiarazione di Mario Melis che mi fa storcere il naso, che afferma “La DC è storicamente responsabile del fallimento dell’economia sarda e della disoccupazione dilagante. conseguenza dell’industrializzazione sbagliata, costruita sui grandi impianti e non sulle piccole e medie imprese” (cit. pag 71). In realtà, a mio parere, questa dichiarazione era figlia di un condizionamento contingente alla scelta di campo nelle alleanze a sinistra. Non sono più un ragazzino ed ho frequentato ampiamente gli ambienti politici dagli anni ’80 e ho ben altra opinione. La DC fu certamente responsabile degli errori di quella stagione, ma tale responsabilità fu ampiamente condivisa con la sinistra, la quale, attraverso il mondo sindacale e cooperativistico, spinse decisa per la creazione della grande industria in Sardegna con l’obiettivo dichiarato di creare anche nella nostra isola una classe operaia sulla quale fondare un nuovo equilibrio ed un nuovo strumento di influenza politica. Non penso con questo di affermare nulla di nuovo.
Nei capitoli centrali del suo libro Anthony Muroni fa emergere chiaro ed ancora molto attuale tutto il programma e oggi testamento politico di Mario Melis (la coscienza del Popolo Sardo, la centralità della Sardegna rispetto alle rotte del Mediterraneo, la ricerca di un sistema di sviluppo libero e non assistito, la promozione di un Europa dei popoli e non degli stati e dei partiti, l’esercizio di un ruolo internazionale a difesa ed in rappresentanza dei sardi e della Sardegna intesa come Stato, un manifesto politico vero e proprio, il richiamo alla consapevolezza, alla conoscenza delle proprie radici, alla gestione dell’autonomia in una prospettiva che esca dalla logica quotidiana, il richiamo quanto mai attuale al riequilibrio della bilancia commerciale con l’estero per creare finalmente ricchezza).
Il libro di Anthony Muroni, per il suo netto taglio giornalistico d’inchiesta, riesce pertanto a darci un quadro sufficiente a comprendere appieno la grandezza di una figura come quella di Mario Melis. Per quanto mi riguarda ringrazio Anthony Muroni perché ho trovato contenuti utili a rafforzare i miei intenti di difesa dei valori sardisti e chiudo riportando letteralmente alcune frasi che Mario Melis pronunciò in occasione di un congresso del Psd’Az:
“Abbiamo avvertito il tentativo di uccidere la Sardità….il tentativo di uccidere la nostra identità….la resistenza nasce dallo spirito di sopravvivenza, la resistenza esplode come fatto morale. La vecchia bandiera federalista trova mille mani, che la levano al cielo; ma il federalismo passa per vie obbligate. Il federalismo non si realizza se non tra eguali. E la via è l’indipendentismo….il nostro indipendentismo è funzionale costituendone base essenziale e irrinunciabile del federalismo: come posso mistificarlo con una forma larvata di separatismo che nel partito sardo non ha mai avuto nemmeno nelle sue più lontane origini, da Bellieni a Pilia, ai Lussu e i De Lisi e agli altri che hanno tracciato queste pagine gloriose di storia….rifiutiamo la subalternità. Questo sì. La subalternità che ci è stata imposta che non ci siamo ancora scrollati di dosso neppure con l’autonomismo, dimostrandosi inidoneo a risolvere i nostri problemi” (cit. pag 129).
Da oggi il nostro progetto Sardegna Stato Federale ne trae linfa e giovamento. Forza Paris!
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