IL RUOLO DELL’INFORMAZIONE
“Immaginiamo un servizio trasmesso dall’ipotetica emittente “Teleapostolica” sulla comunità musulmana in Italia, che si soffermi sull’Imam e gli assidui frequentatori di una moschea. Intervistati singolarmente, rivendicano orgogliosi la propria fede, ma prendono le distanze da qualsiasi pratica terroristica. Successivamente una voce fuori campo incomincia a parlare del pericolo derivante dalla presenza, all’interno della vasta comunità islamica, di frange estremiste che solidarizzano con Bin Laden. I commenti e le immagini di distruzione e di morte riportano ai martiri della Jihad. E si alternano ai primi piani degli stessi intervistati intenti a pregare con in mano il corano, insieme ad inquadrature suggestive all’interno della moschea. La voce fuori campo ricorda le indagini della magistratura che hanno attribuito ad alcune moschee un ruolo chiave nella formazione di cellule terroristiche.
Ebbene, questo è un caso di violazione del requisito della continenza formale. La tecnica di montaggio induce il telespettatore a ritenere che gli intervistati abbiano appena espresso la loro contrarietà ad iniziative di matrice terroristica solo perché sollecitati da una fonte informativa. Quando, nel chiuso della loro moschea, al di fuori di un contesto pubblico, aderiscono alle posizioni più estremistiche”
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Questo è un caso di scuola, utilizzato – almeno ai miei tempi – per spiegare i principi deontologici del giornalismo, negli aspetti riguardanti la continenza formale.
Giornalismo è raccontare i fatti e cercare la verità storica. Ogni deviazione da questa strada maestra può al massimo essere inquadrata come “spettacolo legato all’informazione”.
Cosa voglio dire? Che il giornalista – e il buon giornalismo – non parte da una tesi preconcetta (esempio: Solinas è un ladro manovrato da Salvini e Briatore, che falsifica documenti e ordinanze pur di arrivare al suo scopo”) e poi va alla ricerca degli elementi che supportino questa sua tesi, scartando quelli contrari, tagliando e cucendo ciò che può essere utile, ignorando ciò che non lo è.
Il giornalista ha la responsabilità etica di informare e non può mai, deliberatamente, scegliere di deformare.
E la responsabilità si esercita – specie in un momento di crisi come questo – evitando di propalare informazioni palesemente non veritiere, destinate a generare confusione e a esasperare gli animi.
Gli esempi degli ultimi giorni si potrebbero sprecare, ma non sarebbe utile ora farli qua.
Un’ultima cosa.
Se un giornalista viene invitato a una conferenza stampa e gli viene impedito di fare domande, evidentemente siamo all’interno di un cortocircuito.
È nell’ordine delle cose che chi deve rispondere a domande, spero scomode e puntuali, cerchi di sottrarsi.
Non è nell’ordine delle cose che chi dovrebbe farle non se ne lamenti.
Ieri abbiamo assistito a una canea – sul tema – inscenata da politici, blogger, freelance e tifoserie varie, ma nessun organo di rappresentanza dei giornalisti ha fatto sentire la propria voce.
Non un direttore di testata, non il sindacato, non l’ordine professionale, non un organo di rappresentanza aziendale.
Delle due l’una: o non c’era niente di cui lamentarsi o è stato ritenuto opportuno non farlo.
In entrambi i casi, abbiamo un problema.
E noi giornalisti siamo parte del problema, più ampio, dell’assenza di bussole affidabili, in questo tempo difficile e malato.
La carenza di una stampa libera, causata soprattutto dalla propensione al servilismo più bieco da parte di moltissimi colleghi (sono iscritto alla categoria da 40 anni), è uno dei più seri problemi della democrazia italiana. Così come lo è il fatto che i quotidiani e le TV cosiddette “private” siano in mano non a editori – come nel resto del mondo civilizzato – ma a gruppi industriali che perseguono tutt’altri fini e che perciò si schierano sempre e comunque col Potere.
Vedere le maggiori reti televisive americane negare la parola a Trump quando sostiene che le elezioni erano truccate, per me è stato come un raggio di sole nella nebbia.