La matematica non è un’opinione.
Ma il sistema elettorale ha il suo peso. E proprio la questione “preferenze”, “liste”, “numero di candidati” sembra condizionare analisi e previsioni in vista delle Regionali di febbraio 2019. Infatti, secondo chi mastica politica e statistica elettorale, il Movimento Cinque Stelle non ha scampo: la sua corsa a conquistare, per la prima volta il governo di una Regione, è tremendamente in salita.
Ma sarà proprio così? Pur riconoscendo dignità alla tesi su esposta – e cioè che per il sistema elettorale vigente, sono favorite le coalizioni che possono schierare più liste e, di conseguenza, un maggior numero di candidati capaci di attirare voti di preferenza sui territori – non credo che la questione si possa liquidare in maniera così semplicistica.
Partiamo dai numeri, che non mentono mai. Alle Politiche del 4 marzo scorso, la lista del Movimento è stata capace di portare a casa – nell’Isola – 369,196 voti, pari al 42,48%. Il centrodestra si è fermato a 269.821 (31,04) e il centrosinistra a 153.514 (17,66%).
Pur tenendo conto che si tratta di un’elezione diversa, è lecito pensare che sia così facile – per il centrodestra – colmare un divario di centomila voti? Non parlo di centomila voti di preferenza al singolo candidato ma di centomila persone da convincere a cambiare simbolo (quello che seguirà il candidato a presidente, determinando la vittoria finale). Io non credo sarà così.
Mi si dice che – sempre a proposito di preferenze, scordando con troppa facilità che il sistema elettorale prevede il voto disgiunto tra presidente e singoli candidati – la votazione online sulla piattaforma Rosseau abbia prodotto una lista debolissima, con nessun candidato capace di apportare valore aggiunto, in termini di consensi personali. Ora, senza voler per questo mancare di rispetto a nessuno dei sedici eletti al Parlamento tra le file dei grillini, io non credo che a marzo 2018 i 369.196 si siano fatti troppo influenzare da nomi e cognomi. Alla stragrande maggioranza di loro è bastata la “certificazione”: “se sono stati candidati in quella lista si tratta di brave persone, nuove. E per questo io le voto”. Ho l’impressione – e il trend di consensi che l’attuale governo italiano continua ad avere – che a febbraio 2019 il ragionamento potrebbe essere non troppo diverso. Specie se i concorrenti per la vittoria – centrodestra e centrosinistra – e nel campo del voto “alternativo” – le varie formazioni indipendentiste – non saranno capaci di trasmettere un analogo segnale di rinnovamento.
La criticità che io vedo, nel campo del Movimento Cinque Stelle, è un’altra: fin qui non è chiaro quanto e in quali forme il gruppo dirigente isolano – e il candidato a governatore Mario Puddu in primis – riuscirà a ritagliarsi il margine di manovra (pur agendo nell’ambito che ha favorito il successo dei grillini) necessario per affrontare le questioni della Sardegna in maniera realmente autonoma e nuova.
Mi spiego meglio. Negli ultimi venticinque anni, giocoforza, le Giunte regionali sarde hanno attraversato – nel loro quinquennio di governo – due fasi: quando a Roma c’era un governo “amico”, si sono spesso uniformate a scelte che venivano assunte molto lontano dall’Isola, quasi sempre causa di scompensi per chi invece qua deve vivere e operare. Quando invece, in Italia, il governo era di segno opposto rispetto a quello in carica a Cagliari, si sono lasciate andare a un’opposizione sterile e di maniera, anch’essa prodiga di ben pochi risultati a favore dei cittadini.
Puddu e i parlamentari a Cinque Stelle hanno di fronte a sé un’occasione unica, per certi versi storica: espugnare, per la prima volta, un fortino regionale e dimostrare di poter davvero portare una ventata di cambiamento. Non solo etico (e ci mancherebbe che non ci fosse) ma anche realmente autodeterminato, in stretto collegamento con i propri amministrati e non in dipendenza dai vertici italiani.
Questa, a mio avviso, è la vera sfida. Segnali inequivocabili, in questa direzione, potrebbero portare la spinta decisiva in vista della volata finale. Il Movimento Cinque Stelle non parte battuto. E ha l’occasione, se anche non dovesse vincere, di condizionare – portandoli al rinnovamento e alle buone pratiche – anche gli avversari più agguerriti.
Staremo a vedere.
Nella legge elettorale vigente, la stessa utilizzata nel 2014, con l’aggiunta della doppia preferenza di genere, le troppe liste non erano state falcidiate dalla soglia di sbarramento?
Clamoroso il risultato della coalizione Sardegna Possibile e i suoi quasi 80mila voti. Raggruppava liste che non superavano la soglia di sbarramento.
Gentile Anthony, Lei scrive:
“Mi spiego meglio. Negli ultimi venticinque anni, giocoforza, le Giunte regionali sarde hanno attraversato – nel loro quinquennio di governo – due fasi: quando a Roma c’era un governo “amico”, si sono spesso uniformate a scelte che venivano assunte molto lontano dall’Isola, quasi sempre causa di scompensi per chi invece qua deve vivere e operare. Quando invece, in Italia, il governo era di segno opposto rispetto a quello in carica a Cagliari, si sono lasciate andare a un’opposizione sterile e di maniera, anch’essa prodiga di ben pochi risultati a favore dei cittadini.
La risposta, per quanto mi riguarda è piuttosto semplice.
Al di la del simbolo messo in campo, noi siamo Sardi, sardi che vivono la Sardegna, nessuno di noi ha la vocazione del servo