Stiamo tutti seguendo ciò che accade in Catalogna. Ma, come se si trattasse di una cartina al tornasole del sentire profondo e della mentalità, la gente si è divisa in due.
Io mi ritrovo fra coloro che, pur preoccupati, guardano con grande speranza questo tentativo coraggioso, perché credo che il sistema dei vecchi Stati-nazione sia superato, che abbia perfino bloccato il processo di unione europea, e dunque che sia il responsabile (conservatore) più importante del caos mondiale, pericolosissimo, che viviamo.
Ma c’è gente che ha paura. La mia idea è che nel nostro senso comune la stessa idea di cambiamento sia evaporata, portata via dal vento. Chi fa parte delle generazioni che non hanno vissuto il periodo dei grandi movimenti degli anni ’60 e ’70 (ma anche molti altri) sembra che abbiano timore e osservino ogni mutamento che non sia un’evoluzione regolata legalmente come impossibile, solo pericoloso, o una pazzia.
È corrente in questi ambienti il giudizio di pazzia per i leader catalani. Questa antropologia di paurosi è diffusissima nell’ambiente del PD, perfino fra i “giovani”. Non riescono a sganciarsi da ragionamenti solo legalisti. Sono lontani mille miglia dall’idea che una legge può essere ingiusta, o superata, o inattuale.
Pensano tutti che una Costituzione antiquata e monarchica equivalga alla volontà popolare e alla libertà di esprimerla.
È gente paurosa cresciuta in una Sardegna in cui si è persa l’abitudine di essere liberi. Tutto spinge a nascondersi, a nascondere le proprie idee, all’interno di un sistema in cui il bruttissimo e vecchio detto sardo lassa su mundu comente dd’as connotu domina, accompagnato da un invito costante alla furberia, al non esporsi con le proprie idee e i propri orientamenti. È difficile per chi ha sempre detto di sì a genitori, ai padroni, ai capi, anche se odiati, pensare – solo pensare – che per una volta si possa dire di no, si possa essere persone libere. Per vivere meglio, per stimarsi.
La situazione catalana li mette in una situazione difficile da interpretare. Perché “Catalogna è Sardegna”, una situazione diversa ma fondata sullo stesso problema fondamentale che esiste anche in Sardegna. Il diritto delle nazioni senza Stato ad autodeterminarsi come credono. In generale, la possibilità di essere uomini o donne adulte, libere, responsabili della loro stessa vita. E di esserlo come un “noi” più ancora che un “io”.
L’isteria che provoca questa situazione in queste persone – che hanno investito tutta la loro vita nella subalternità e nell’intrigo – è certo uno spettacolo, ma merita rispetto. Io lo interpreto come il risultato di una situazione generale che ha fatto penetrare l’asservimento fin dentro le menti. Un discorso depressivo e triste che ci ha ripetuto un’infinità di volte che “non era possibile”, che bisognava piegare la schiena per raggiungere un piccolo stipendio, a una modesta posizione utile per crescere famiglie e vite.
Li capisco e gli voglio bene, e credo che sia sana una situazione che li confronti con questa contraddizione rispetto alla quale l’unica risposta conosciuta era la birretta o la distrazione.
Occorre però dire che la loro posizione non ha senso, è come una religione, e non ha fondamento.
Da sempre la storia muta ogni giorno, e il mondo che conosciamo è uno dei tanti mondi possibili. Lo Stato-nazione è in particolare già morto, o almeno sta marcendo rapidamente. I confini di un tempo non possono più fermare niente, né idee, né merci, né persone. Qualsiasi attività odierna si sviluppa con sistemi e infrastrutture che nascono, passano e spariscono in luoghi estranei e sconosciuti.
Con la crescita della coscienza, dell’istruzione, dei diritti più nessuno accetta le identità unitari promosse storicamente da queste costruzioni artificiali: soprattutto le nazioni senza stato, a iniziare da quelle, come la Catalogna, la Scozia, il Paese Basco, ecc., in cui esiste una società civile matura.
Un altro aspetto che spaesa questi timidi e paurosi è il fatto che in Catalogna come attore politico vi sia nuovamente il popolo. Per troppo tempo costoro hanno pensato che la politica fosse una cosa da… politici. Quindi, intrighi, strategie, “leggi immortali” della politica che non si capisce mai bene quali siano, e a chi riguardino. L’ingresso del popolo nel gioco politico li disorienta.
E questo è il punto più importante, nella terra di Gramsci. Un uomo che ci ha insegnato che una forza politica moderna deve confrontarsi con l’egemonia, cioè col consenso sociale e culturale organizzato. Una cosa che in Catalogna hanno compreso da molto tempo. Ma in questo… la Sardegna non è la Catalogna per nulla.
incommentabile …………… poveri sardi.
Pensavo fosse una persona di intelletto più onesto e critico. Peccato.
Posto in questo modo ed in questi termini, sempre parlando in astratto, il discorso può tranquillamente essere ribaltato per attribuire lo sgradevole ruolo di timorosi, timidi, asserviti, paciosi ed oziosi bevitori di birra al bar a chi, invece di sognare spazi liberi, aperti, privi di steccati e confini sempre più angusti, che desidera ed. immagina un’esistenza all’interno di spazi aperti e che faccia delle diversità un’opportunità, corre al riparo dei muri e della contrazione degli spazi.
Non solo non è più il tempo per i vecchi stati nazional, così come li conosciamo, ma davvero è scaduto pure quello dell’infinitesimo, del granducato, della res pubblica pro domo mea.
Fra l’altro, in tema di supino assenso agli imperativvi di genitori, insegnanti, governanti vari, mi si darà atto che, in un ambito istituzionale più angusto, e perciò stesso maggiormente controllabile, è più facile rilvare comportamenti di acquiescennza acritica, se non altro perché i comportamenti sono più facilmente direzionabili e censurabili.
Insomma, credo che i catalani abbiano le loro ragioni, che potrebbero non essere le mie. Ed essendo in discussione il futuro della loro terra, che non rappresenta il cuore e il basamento della mia formazione culturale, non posso far altro che osservare lo sviluppo degli eventi auspicando che non degenerino fino al punto di mettere a repentaglio ed in subordine il bene più prezioso per quella comunità, che è la sicurezza e la possibilità di proseguire un’esistenza priva di guerre.
Non credo ci sia bisogno di attribuire coloriture fosche e pavide a chi serba per il futuro dei propri figli altri sogni.
a V. Sechi. Dunque non si dovrebbe lasciare libero lo spazio davanti a noi. Lo spazio è gia tutto disegnato e noi, i nostri figli, quelli che ci sono e quelli che verranno lo dovranno solo percorrere secondo i “percorsi” già indicati (da altri). Dunque altri scelgono (hanno già scelto) per noi e per quelli che vengono dopo di noi. Tutto è già deciso! Non mi pare questo il senso di libertà o semplicemente del libero arbitrio che ognuno di noi ha “imparato” a conoscere. Quello che c’è è lo stampo, tu non puoi e soprattutto non devi nè modificarlo, nè cambiarlo. Devi vivere come già stabilito, stop! Questo modo di vedere mi appare “arretrato” e soprattutto “violento”. Non ci sto. Benché non voglia ottenere l’apertura “violentando” a mia volta coloro che non la pensano come me.
Con la fuga del vigliacco, codardo, incompetente e impostore Puigdemont è stato ucciso l’indipendentismo catalano e a caduta quello sardo, che era morto di suo.
Purtroppo chi non ha il coraggio di lottare per le proprie idee non vale nulla, specie se non vuole prendersi le proprie responsabilità.
In Sardegna è arrivato il tempo di girare pagina e iniziare a pensare seriamente al Federalismo senza far finta di voler fare salti nel buio sapendo di non averne i mezzi.
Ripensare la politica sarda prima di farsi male è un dovere per chi crede che le cose possano cambiare davvero.
Segundhu Roberto Seri s’Itàlia cheret su federalismu!… (at a èssere su matessi chi cheret s’Ispagna!) Campacavallo, tocat puru a èssere sérios!