Con l’ultimo rimpasto in giunta regionale, per l’assessorato della cultura, tutti avevamo sperato in un miglioramento.
E’ stato davvero così?
Gli anni precedenti infatti, quelli segnati dalla guida di Claudia Firino, sono stati terribili per la politica linguistica: il servizio lingua sarda è stato cancellato e accorpato all’editoria, questo stesso servizio è stato declassato, tagli feroci al bilancio, progetti importanti con collaborazioni internazionale chiusi ((ALIMUS, Bilinguismu creschet, Tradùere pro crèschere), gli uffici linguistici chiusi, blanditi e umiliati, i capitoli di bilancio liquidati solo per il 50%, il bando per il sardo a scuola mai adeguato a un insegnamento normale, la politica dello standard, base fondamentale di ogni politica linguistica, trattata come un morbo contagioso.
L’Osservatorio mai convocato, i Piani Triennali non approvati e tantomeno adempiuti, la conferenza regionale mai organizzata in 4 anni. La legge 26 di fatto abolita e la legge 482 “indirizzata” a fare cultura e studi inutili e non ufficialità, normalizzazione e prestigio della lingua. Tutto questo e poco più, se non occasioni perse, come il decreto di attuazione dello Statuto per la legge 482/99.
Intanto, negli ultimi mesi, la questione di una legge proposta da una sotto commissione del Consiglio Regionale ha di sicuro sviato l’attenzione dalle questioni concrete di politica linguistica e ci siamo persi un po’ di avvenimenti.
Il servizio editoria (che contiene ciò che resta delle competenze di lingua sarda) è di nuovo senza dirigente. La titolare incaricata nel 2014, se n’è andata in pensione. C’è un interim. Anche la direzione generale Beni Culturali e altre direzioni di servizio stanno per restare libere a causa di pensionamenti.
Di iniziative di promozione linguistica non se ne vedono, una forse. L’autonomia che il Dipartimento romano ha dato per la programmazione della 482 è stata utilizzata per progetti “culturali” e per utilizzare in parte gli sportelli linguistici al fine di fare una ricerca lessicografica e non per dare prestigio pubblico o diffondere la lingua. Una scelta auto colonizzante.
Gli uffici linguistici sono sempre meno e la loro comunicazione non è visibile. Le scuole sono senza guida e ispirazione: ognuno degli esperti o maestri prende il finanziamento e insegna un suo sardo personale. Una babele dialettale che rappresenta il sardo agli occhi della società come un’accozzaglia negativa di dialetti. Il rischio è che queste spese vengano stigmatizzate come sprechi.
Le opere didattiche e i cartoni animati promessi non si sono ancora visti. Nelle televisioni il sardo è quasi sparito. L’impatto di radio Rai regionale nella comunicazione pubblica, considerando anche che la metà delle trasmissioni in convenzione è in italiano, è discutibile. Del Contratto di Servizio annunciato da Roma, per ora ancora niente.
Le università proseguono sempre nella loro azione tradizionale.
Il correttore elettronico del sardo è andato fuori linea per mesi. Il sintetizzatore vocale non c’è più nei siti regionali. Produzione di testi in sardo non se ne rileva o se si rileva è poco visibile. Sostegno all’editoria identitaria nulla, anzi i bandi europei subiscono forti ritardi e le aziende specializzate rischiano il fallimento senza che nessuno sia sensibile al problema. Libri in sardo, infatti, non ne vengono pubblicati quasi più.
Sarebbe ora di occuparsene. La lingua sarda sembra abbandonata a se stessa. Non si sa quale è la linea, né quali sono i progetti. Non si sa nulla. Buona parte delle energie sono consumate nella disperata ricerca di un equilibrio nel Vietnam delle fazioni linguistiche anti standardizzazione. Per non scontentare nessuno, possibilmente, con una politica dal fiato molto corto.
In questo clima, dopo quasi 4 anni, si annuncia la prima Conferenza Regionale della Lingua Sarda a Nuoro, il 25 di novembre, affermando che può essere un’occasione per pianificare.
L’assessora Claudia Firino, il 29 aprile 2014, presentando per Sa Die de sa Sardigna il correttore elettronico del sardo a Oristano, fresca di nomina, aveva affermato di dover capire, studiare e approfondire la materia.
Mi sembra che a quasi quattro anni di distanza stiamo ancora studiando e pianificando.
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