Mentre in molti pensano alla Regionali 2019, io sono da tempo convinto che l’appuntamento decisivo per una mini rivoluzione politica in Sardegna sia quello delle elezioni politiche 2018.
Tutti dicono che in questo momento esistono praterie per creare qualcosa di nuovo, capace di intercettare – in maniera costruttiva – la disaffezione e lo sdegno dei cittadini nei confronti dei partiti tradizionali. E tutti dicono – tanto da notare un certo riposizionamento di Pd e Fi in chiave autonomista – che è rilevabile a occhio nudo una certa crescita del sentimento sardista e identitario.
Ancora: tutti dicono che è però difficile pensare a un successo elettorale di un terzo (o quarto) polo in chiave isolana, a causa dei soliti problemi. La legge elettorale (regionale), la frammentazione, la competizione tra piccoli leader, la tendenza di un elettorato ancora non maturo a rifugiarsi nel cosiddetto “voto utile” (che inganno!) o, peggio ancora, nel voto clientelare.
Tutti processi che hanno – fisiologicamente – alla base non solo l’ideologia o l’idealità ma un buon tasso di convenienza e utilitarismo. Del personale politico e degli elettori stessi.
Bene. Alle elezioni politiche 2018, a causa di alcune congiunzioni astrali, c’è la possibilità concreta di attuare una mini rivoluzione ideale, senza perdere di vista la concretezza, la necessità di non sprecare il voto e la competizione – costruttiva e non distruttiva – tra le diverse declinazioni di proposte sarde, sardiste, autonomiste e indipendentiste.
Andiamo con ordine, esaminando una a una la criticità che hanno fin qui fatto dire a molti che lo spazio per una proposta con cuore e anima in Sardegna non è ancora del tutto praticabile.
Il punto di partenza è la legge elettorale. Tanto ostile è la diavoleria messa su da Pd e Fi nel 2013 (imperniata su un bipolarismo che vive di rendita), che ha lasciato senza rappresentanza nelle istituzioni circa 150 mila sardi, tanto incredibilmente “amica” è quella che regolerà – a meno di improbabili riforme dell’ultimo secondo – l’elezione degli otto senatori sardi.
Per la Camera alta è in vigore il cosiddetto “Consultellum”, la legge elettorale frutto della modifica da parte della Corte Costituzionale della legge elettorale approvata dal governo Berlusconi nel 2005, il famoso “Porcellum”.
Si tratta di una legge proporzionale, senza alcuna forma di premio di maggioranza, che consente di fare alleanze e coalizioni: diverse liste possono presentarsi insieme con i propri simboli sulla scheda.
Per eleggere senatori, le liste devono ottenere almeno l’8 per cento dei voti. Le coalizioni devono ottenere almeno il 20 per cento dei voti e i partiti che ne fanno parte almeno il 3 per cento.
I voti vengono contati a livello regionale e non sono sommati a livello nazionale e tutti i senatori vengono eletti tramite preferenze.
Se si considera che alle Regionali 2014 – quando ancora il sentimento “identitario” non era percepito come oggi – le varie forze extra italiane (alcune candidate in maniera autonoma, altre alleate con Pd o Fi) hanno incassato oltre 190 mila voti (quasi il 30% del totale), i freddi numeri dimostrano che esiste una potenzialità tale da far competere questo fronte per l’elezione non solo di uno ma forse di ben due senatori.
Cosa significa questo? Che ai poli imperniati su Pd e FI, e al M5S, resterebbero solo sei posti. Con tutte le conseguenze, rivoluzionarie, del caso. E con un sicuro terremoto, capace di condizionare il quadro delle successive Regionali.
Calma, però. C’è da rispondere a un sacco di contestazioni preventive: i leader indipendentisti e sardisti non si metteranno mai d’accordo; come si fa a conciliare Pili con Maninchedda, i sardisti con gli eredi di Sardegna Possibile. Poi due più due non fa quattro e via “pibincando”.
Ora, non che fin qua queste obiezioni non siano state fondate. E non che – soprattutto – non sia difficile pensare a una piattaforma di governo comune (dunque, una proposta vincente per le Regionali) fra tutta la galassia identitaria. Ma qua stiamo parlando di altro.
Parliamo di tecnica e di rappresentanza. Di protesta da incanalare senza sprecare i voti e di competizione alla luce del sole.
Andiamo, ancora una volta, con ordine.
Se è vero che anche in Sardegna è cresciuto il sentimento di delusione verso Pd e Fi e non sembra aver attecchito, in alcuna forma, il M5Stelle, esiste uno spazio per i movimenti identitari? I risultati del 2014 e i sondaggi dicono di sì.
Esiste uno strumento tecnico che consente di non “sprecare” il voto dato a questi movimenti? Sì: è la legge elettorale per il Senato.
Esistono controindicazioni “programmatiche e ideologiche” rispetto alla formazione di una coalizione “tecnica” tra partiti e movimenti della galassia indipendentista? No, non ne esistono. Perché si compete non per governare l’Italia né la Regione autonoma, ma per cercare di dare alla Sardegna una rappresentanza in Parlamento slegata dai grandi poli, con tutto ciò che ne conseguirà. Sarà sufficiente presentarsi dentro la medesima coalizione – pur ognuno col proprio simbolo, la propria identità e le proprie convinzioni – per non “sprecare” il voto.
Sì, ma chi ci dice che non inizino subito discorsi del tipo: “Ma perché io, di Unidos, dovrei contribuire a far eleggere uno del Partito dei Sardi? O perché io, di Liberu, dovrei far eleggere uno del PsdAz?”.
Questo sentimento autolesionista va contro la logica. Perché si potrebbe rispondere: “E perché, non coalizzandoti, dovresti far invece eleggere uno del Pd o di Fi? Cosa ci guadagneresti e cosa ci guadagnerebbe la Sardegna?”.
Ma non solo. Il sistema delle preferenze non “blocca” il consenso o la previsione della rappresentanza. Si tratterebbe – in sostanza – di primarie interne alla coalizione: le preferenze metterebbero in concorrenza tra loro le diverse idee di indipendentismo, di autonomismo e di autodeterminazione. A quel punto, chi può dire se i più votati saranno del PsdAz, del PDS, di Unidos, di un’aggregazione con sentimenti ancora più indipendentiste o singole personalità indipendenti? La sfida si presenterebbe come affascinante, con la possibilità – grazie alla competizione, in positivo – di far crescere ancora di più il campo della coalizione.
Potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione. Se premiato dai numeri, l’esperimento costituirebbe anche il lancio ideale in vista delle Regionali 2019.
Non pensarci – e non iniziare a organizzarsi – sarebbe un delitto.
APELLU A SU POPULU SARDU;
Si Mauro Pili est in eternas campagnas eletorales bat ateros ki.
SEMUS RAPRESENTAOS DAE ASCAROSARDOS KI PRO KENTU POSTOS DDE TRABALLU IN SARDIGNA S IANA PONNERE IN DISCUSSIONE PRO PONNERE UNU DEPOSITU DDE
>SCORIE NUCLEARI<,
CUNDENNANDE SU POPULU SARDU A UNU PERICULU DDE VIDA PERENNE.
SAPPIATELO CHE;
Marco Meloni deputato PD
D'altronde, stiamo parlando di investimenti importanti,
con ricadute occupazionali di lungo termine
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10211814946560342&set=a.10201220097975749.1073741835.1570085004&type=3&theater
Incredibilmente, nel 2014, nonostante chiara legge elettorale, la coalizione identitaria Sardegna Possibile stupidamente sciupò occasione
Avevano letto le regole per partecipare?
Rischioso. La comunicazione delle tv italiane non lasceranno alternativa alle voci fuori dal coro, alimentando il pericolo Berlusconi o il pericolo renzi.
Se va male, e le probabilità sono altissime, l’anno successivo ci sarà terra bruciata
O Ivan, chi non risika non rosika!
Oh Stefano, è da valutare bene, non ho detto di no, ma se si parte, sai già che le tv martelleranno ossessivamente per mantenere il duopolio politico. Per gli altri il silenzio assordante, se non Facebook… nel caso sono pronto a far suonare il mio tamburo da Facebook
Geo fatzo sèmpere sa méngius ipótesi possíbbile in cust’idea de nosi mòvere in sa dipendhéntzia de sa Sardigna andhandho a su Parlamentu italianu a pedire su chi nosi serbit e tocat.
Cale ipótesi? Chi is Sardos, totus, is “pocos” chi seus, no siaus prus ne locos e ne male unios. Miràculu de verificare in s’àteru mundhu. Ma miràculu.
Realtade “nuova di zecca”, naschia nontesta candho fustis dormios? Como totus ischeus bene is contos e afàrios nostos, s’istória nosta e no s’ignoràntzia laureada chi nosi at postu in conca s’iscola italiana? Finalmente seus sanaos de sa maladia e bregúngia de noso etotu po nosi pàrrere e bòllere italianos po èssere civiles? (salvu su ‘orgoglio’ apicau a medàglia in piturras). Sanaos de sa irresponsabbilidade e cumportamentu de totu is dipendhéntzias chi ant coltivau totu is istitutziones púbblicas e privadas e totu is partios e sindhacaos demogràticos e fascistas? No prus “Sardi venales” po bisóngiu e vilesa, ma cumbintos chi su bene tuo est fintzes su meu indivisíbbile e tandho dhu depo bòllere che a su meu etotu e dhu podeus fàere solu si seus faendho fortza paris totus unios?
Poneus totus unios. No a unu “leader” miraculàrgiu ma a un’iscopu: su bene de sa Sardigna. Totu sa Sardigna a una boghe. Is Sardos in su Parlamentu italianu totus a unu, únicu partiu, sentza giare ascurtu e ne pedire is gràtzias a is amigos po peruna simpatia e ne torracontu o carriera personale.
Ma fatu dh’ais su contu de cantos funt e podent èssere is Sardos in su Parlamentu italianu po ischire cantu podent contare?
S’assu de bastos o “di picche” iat a contare de prus. No est una beridade lapalissiana. Est meda de prus: est matemàtica. Cun su pesu de sa cusciéntzia falsa de is Sardos, a diferéntzia de is Sud Tirolesos chi ischint chie funt e ite bolent, candho noso pareus istràngios in domo nosta etotu!
Si pentzo a s’atividade de is senadores e deputaos sardos in su Parlamentu italianu fatzo sèmpere sa méngius ipótesi: no chi andhent a passigiare e po giustificare cun sa preséntzia s’istipéndhiu chi dhis giaent, ma a trebballare, a fàere totu s’atividade de sa funtzione chi tenent.
Ma ite logu e tempus dhue in su Parlamentu italianu at po su chi de assolutamente necessàriu bisòngiat a sa Sardigna? A fàere “interrogazioni” chi serbint solu a nàrrere chi dhas ant fatas?
O no portaus ne ogos e ne memória po dhu tènnere presente? No credeus a is ogos nostos etotu? Fatzo un’esémpiu de is chi ndhe podent prènnere unu líbberu? Est de su 1948 chi is Sardistas presentaiant a dónnia legisladura sa proposta de lei po sa zona franca e candho no dhue aiat unu sardista dh’at presentada calecunu demogristianu o calecunu cumonista. Ma no est mai mancu lómpia in Cummissione.
E no seus faendho perunu contu de sa normalidade de sa dipendhéntzia! Su chi podeus fàere méngius noso, o depeus fàere noso, dhu depeus giúghere de una riunione a s’àtera, giogandho a ping pong fintzes a candho is cosas funt in cangrena e sentza fàere etotu, e bastat a no ischire ite depeus o podeus fàere po dhu dèpere cuntratare e istare aifatu de su Guvernu e de is funtzionàrios suos sentza ndhe fàere fine.
Mi dimandho cale tempus podet tènnere su Parlamentu italianu po una popolatzione chi no est mancu su mesu de una citade manna italiana e no contat mancu cantu una citade cun su mesu de abbitantes: su Parlamentu e Guvernu italianu tenent de guvernare s’Itàlia, no millione e mesu de macos che cuadhu portaos in busciaca che cosa immentigada si no candho ndhe tenent bisóngiu s’Itàlia a dolu mannu nostu.
Sa realtade est chi a is divisiones de una normale demogratzia si aciunghent a pesu mortu totu is divisiones chi nosi proent de su domíniu angenu.
Ca de ‘miràculu’ políticu perunu no ndh’aus connotu. De ‘rivolutzione’ no ndhe aus fatu ne colletiva e ne personale. Noso seus ancora abbabballocaos. Seus in su grofu de sa política venale. De ideale dhu’est solu su “successo” personale “a tutti i costi”.
E si a contare no est a contare e àere podere in terra nosta ma in su Parlamentu italianu, boleus pònnere chi totu is partios italianos contant automaticamente de prus e dhis apereus in logu nostu no istradas ma autostradas ca tenent su pesu chi in cussu Parlamentu no podeus tènnere noso mancu totus unios, e deasi is Sardos etotu bient prus profetosu (“per la Sardegna”) a si candhidare cun cudhos sentza fàere àteru contu si no cussu de is votos?
Noso aifatu de s’Itàlia de unidade no ndh’aus a connòschere mai, ne meda e mancu pagu, ca s’unidade de is Sardos tenet su sensu de nos’iscabbúllere de unu domíniu e no de insístere: is Sardos seus automaticamente e matematicamente dividios e disunios (e a tírria puru) solu po custu mecanismu chi diventat po torracontu o prospetiva personale (e ingannu de s’eletore) ca tenet sa fortza sua in sa dipendhéntzia de is cuadhos fortes de is partios italianos, tenet sa fortza in su pònnere s’isperàntzia nosta fora de noso.
In cussa prospetiva seus solu coltivandho sa dipendhéntzia e sa irresponsabbilidade colletiva e personale, sighindho a abbruxare s’isperàntzia de is Sardos fuliandhodha in su Parlamentu de Roma: sa funtzione de abbruxadores bolet lassada a is dipendhentistas chi coltivant sa fune chi nos’impicat a s’Itàlia.
E timo meda chi de unidade in cussa prospetiva no si ndhe fatzat mancu de is chi funt de ideas «sardiste, autonomiste e indipendentiste» o de «sentimento sardista e identitario» e mancu solu «indipendentiste».
Penso che questa sia una opportunità irripetibile per il popolo sardo . Mai come oggi la Sardegna ha preso coscienza della inadeguatezza della classe politica dirigente . Mai come oggi i partiti indipendentisti ed identitari stanno eliminando i paletti che impedivano una coalizione unitaria. Questa generazione non può permettersi di perdere questa occasione irripetibile, a meno che non voglia passare per la generazione più vigliacca è inadeguata che questa terra abbia generato. Questa deve essere una rivoluzione del popolo sardo è non dei suoi leader. Se qualcuno di essi non sarà capace di uscire dal proprio orticello , niente di meglio per far vedere al popolo chi è al servizio di esso o al servizio del tornaconto personale. Il fatto che la competizione possa essere di fatto letta come primarie per le regionali ancora meglio; tanto tempo risparmiato ai tavoli dei leader nelle stanze di palazzo; per quanto riguarda la legge elettorale sarda , tranquilli, non andremmo alle elezioni con l attuale. Flavio cabitza
Per quanto l’idea di un movimento politico di autodeterminazione mi possa attrarre, il solo pensiero di vedere le solite 4 facce litigare per una poltrona senza disporre di un progetto e di un consenso mi fa rabbrividire.
L’orgoglio e il pregiudizio sono i sentimenti negativi che caratterizzano gli indipendentisti perché non accettano l’idea di essere inconsistenti e privi di un progetto, per questo saranno destinati alla sofferenza eterna.
Se l’economia è lo strumento per ridurre la scarsità di risorse, la società è il luogo in cui è possibile la cooperazione per migliorare l’economia, la politica deve avere il fine di ridurre i conflitti dovuti alla cooperazione, gli indipendentisti in tutto questo non hanno un ruolo, visto che sono i primi a creare dei conflitti, i primi a non cooperare all’interno della nostra società e non sono capaci di pensare ad alcun progetto economico?
Non so cosa credere di più fattibile se l’idea di una coalizione indipendentista o la teoria che il Centro del Mondo possa essere a Sorgono (…), perché entrambe le idee hanno dei fattori in comune, come la presunzione e l’arroganza di indurci a credere di essere la verità rilevata, invece sono solo degli INGANNATORI.
Senza un progetto federale l’indipendentismo è morto in partenza, perché la nostra salvezza sarà uno Stato federale e non la semplice alleanza di comodo…
De ite federatzione ses chistionendhe, Roberto Seri?
Questa è un’idea. Non è detto che si riveli vincente ma, il tentativo va fatto. Non riesco a capire chi continua a guardare il dito invece della luna. Affermare un’idea di unità traccia un solco preciso e netto: chi vuole stare fuori è contro se stesso, contro i sardi e contro la Sardegna.
La proposta di Anthony mi sembra assolutamente condivisibile e difatti la condivido. Ciò non di meno, invito tutti a non valutarla solo per se stessa ma a confrontarla con le alternative possibili. Se non riusciamo a percorrere, sino in fondo, la strada che si sta cercando di tracciare mi pare che non ci resti molto tra cui orientarsi per cui la scelta indicata, oltre che corretta, mi sembra l’unica praticabile per il bene ultimo della Sardegna e del suo popolo.
L’indipendentismo è un mondo di individualisti che non amano essere contraddetti e condividere le funzioni con altri, specie per i leader indipendentisti con una carica a vita come il Papa, basti ricordare che alcuni di loro comandano da più di un ventennio, e hanno costretto altri a uscire.
Tutti i movimenti indipendentisti sono nati dalla scissione di altri, che non hanno fatto altro che generare uno stillicidio di forze e a delegittimare il mondo indipendentista come divisivo, fazioso e ininfluente.
L’indipendentismo, come tutta la partitocrazia, non ha mai tenuto conto delle diversità della nostra isola: nord, centro e sud, costa occidentale, costa orientale, mare, pianura e montagna, città grandi, città medie e piccoli paesi, settore agricolo, industriale, turistico e pubblico e così via, concentrandosi invece in tutto ciò che andava contro lo Stato e il suo sistema, imitandone però l’organizzazione e il fine politico, una poltrona da cui ricevere privilegi.
Il limite del sistema democratico è questo, credere che il potere possa esistere solo dalla maggioranza numerica e non dagli interessi delle singole comunità.
Se si parte dalla maggioranza democratica l’indipendentismo perde due volte, nel primo caso perché il suo consenso è minimale, nel secondo caso non prende in considerazione gli interessi in gioco.
Il federalismo è stato il mezzo con cui possono prosperare le grandi democrazie, come quella svizzera e americana, pur con alcune differenze, sono il mezzo politico con cui è possibile rispettare gli interessi delle parti in gioco.
L’ideologia tende a proporsi come alternativa perché vorrebbe imporre un sistema con cui si possono evitare i conflitti sociali, ad esempio il socialismo credeva che renderci tutti uguali avrebbe risolto il problema, non facendo altro che creare più conflitti, non a caso le ultime dittature hanno prevalentemente un’ispirazione socialista.
Il federalismo è uno strumento da usare sulla nostra isola e fuori da essa, perché il Cagliari centrismo ci sta distruggendo sempre più e costringendo a sottostare allo statalismo.
L’unica possibilità per uscire da questo sistema perverso non è l’indipendenza, specie perché sono i sardi a non volerla, ma ridurre le ingerenze dello Stato italiano.
Non siamo i soli in questa Repubblica delle banane a volerlo, il perché non abbiamo portato avanti questo progetto non l’ho mai capito, considerando che parte del nord Italia e pezzi del Sud sono pronti a uscire da un sistema romano centrico.
Sarebbe sufficiente studiarsi il sistema adottato dalla città di Londra per comprendere la sua efficienza, visto che è un grande agglomerato federale di tipo medievale, con 32 distretti e ognuno con il suo sindaco. Quello che noi conosciamo come sindaco di Londra altro non è che il responsabile della Grande Londra, un’istituzione superiore che controlla solo 4 poteri.
Il sindaco di Londra è controllato da una Commissione di 25 membri, il 60% eletti con il sistema maggioritario e il 40% con il proporzionale dai resti, ha il potere di bocciare il bilancio del Sindaco.
Quello che voglio dirvi è di cambiare schemi mentali, perché la partitocrazia ha i giorni contati e il nostro popolo aspetta che qualcuno sappia amministrare per la stragrande maggioranza e non per il 51% dei voti…
Roberto Seri, tue chi as ziradu su mundhu (a cantu paret) ischis it’est su federalismu e as cumpresu chi, pro istare a sos esémpios chi as fatu, USA e Isvítzera no cherent e ne mai ant chérfidu s’indipendhéntzia (si podet cumprèndhere, ca no ischiant e ne ischint ite ndhe fàghere!!!). Ma carchi pàzine de istória lézida mai l’as?
Ma chenza la fàghere prus longa pro cumprèndhere ite b’at in sa ‘lógica’ tua e in su ‘minestrone’ tou, de ite federalismu ses faedhendhe? De cussu de Londra? De comunas, tzitades, bidhas e bighinados e fintzas buteghedhas de una carrela? Ti paret chi a s’Itàlia l’interessat su federalismu e cun cale “Repubblica delle banane”? Ue l’as bida sa Repúbblica?
Grazie, la risposta conferma il grande progetto indentitario e quanto questo tenga in considerazione gli interessi della nostra isola, e presto avremo il nostro eletto con cui festeggiare senza minestrone…
Direttore, il suo sforzo è certamente apprezzabile, ma sa bene che – ora come ora – non ci sono le condizioni per imbastire un’unione falsa. Lo dimostrano i numeri impietosi da Lei riportati (un seggio, due se va di lusso), un apparato mediatico avverso e straripante, la consapevolezza che nel parlamento italiano si proceda a blocchi.
Occorrerebbe invece rilanciare la questione di una rappresentanza certa e congrua della Sardegna presso il Parlamento Europeo; sanare le ferite causate da anni di scontri, incomprensioni, atti politici sconcertanti compiuti da chi si dichiara per l’autodeterminazione del popolo sardo; procacciarsi – in modo onesto e trasparente – i fondi necessari ad affrontare la duplice sfida del 2019: fare la differenza a casa nostra, per una Nazione che cominci a farsi sentire in Europa e nel Mediterraneo. In sostanza, passare da una Sardegna possibile a una Sardegna inevitabile.
Condivido la proposta di Antony per vari motivi. Ritengo sia doveroso per chi si propone per governare la Sardegna, in termini autonomistici, se non anche con intenti indipendentistici, cominciare, finalmente!, a ragionare su un possibile programma condiviso dai movimenti identitari. Poi, per le candidature, il sistema più efficace, così come dice Antony, potrebbe essere quello delle primarie.
A patto che ai senatori eletto vadano tre dico 3 mila euro netti più le spese e il resto in un fondo comune per sostenere la causa.
Anthony condivido totalmente quanto hai scritto. Proviamo a dare una svolta….proviamoci, accidenti ! Quanti fiumi di parole…
Anthony, Flavio, Luigi, Gianni e… pruscatotu cudhus chi diaderus istimant is Sardus e sa Sardigna e isperant e bolint fai calincunu passu cuncretu e firmu in su sensu de unu cambiamentu assolutamenti necessàriu e urgenti: s’idea, sa necessidadi e prospetiva de s’unidadi no et un’idea de oi, ma de sempri e sempri si nd’at chistionau (e fintzas de sa ‘limpiesa’, onestadi e cumpeténtzia de is chi si proponint).
Dèu apu bófiu narri semplicementi una pariga de cosas (a su postu de andai a simpatias e a fortza “mi piace”, “non mi piace” o cosas aici): a) is Sardus (totus, no isceti cussu de ideas e sentidus, po semplificai, ‘sardistas’) depeus isciri bèni cali est su ‘giogu’ de s’Itàlia e cali depit èssiri su ‘giogu’ nostu, assinuncas teneus isceti sentidus bonus ma no iscieus ita fai, aundi ponni is manus; b) cunsiderai e tenni distintas is duas prospetivas, cussa de s’indipendéntzia e cussa de sa dipendéntzia, assinuncas seus isceti murighendi e “tutto fa brodo”.
Sa prospetiva de sa dipendéntzia si portat a si sighiri a impicai a s’Itàlia, a isperdi avatu de s’Itàlia e a totu su chi si ghetant de ingunis e po no ndi fai contu tocat a no connòsciri un’arriga de s’istória, no isceti de is tempus passaus, ma pruscatotu de is tempus de is Savoia-Piemontesus e peus meda apustis. Custa prospetiva fait nasci isceti divisionis.
Custa prospetiva andat iscarrigada a is dipendentistas. Chini istimat is Sardus e sa Sardigna dhis depit isceti negai calisiat votu e fai àteru.
Custa prospetiva at dividiu, ispimpirallau is Sardus, s’at iscallau, s’at postu a iscórriu e a tírria po ‘ideologias’ e torracontus de ‘butega’ (e meda prus personalis), e de unidadi, s’unidadi assolutamenti necessària a is Sardus, unidadi natzionali e no isceti de “schieramento” o coalitzione de partidus, no nd’eus a biri mai.
Is Sardus totus e no isceti cussu de sentidus ‘sardistas’ dha depeus escludi una borta po sempri. Fuliai. Est àliga e ingannu. Est pistamentu de abba. Pérdia de tempus. Afariedhus personalis.
Sa prospetiva chi depeus coltivai, cosa chi ‘cumprendeus’ unu pagu totu cussus de ideas e sentidus ‘sardistas’, est cussa de sa libbertadi/responsabbilidadi, e coltivai totu su chi serbit. In custa prospetiva andat bèni sa proposta de Anthony, e depeus una bona borta cumprendi puru chi no s’improvisat ni un’annu e ni dus annus innanti de calincuna votatzioni: est cosa chi depeus coltivai dónnia santa dí! (po cussu immàginu is dificoltadis: po ndi narri una, cussa de “vita tua mors mea” de totus cudhus chi ant fatu unu mínimu de fortza organizada).
Ma sa proposta de Anthony o “Sardos” tenit custa ‘visioni’? E si s’annu chi benit eus a tenni votatzionis italianas e votatzionis po sa Regioni, dhui pentzaus ita e cantu personali iat a serbiri po acudi a tot’is duas (comenti est in sa proposta de Anthony)?
E in s’àteru interventu – cun solu prospetiva necessària – apu nau calincuna cosa de su chi tocat a fai, e no cumpilai unu ‘programma’ aundi no ammancat nudha ma no iscieus mancu nosu ita est su “sine qua non” chi tocat a istabbiliri.
La proposta di Muroni ha degli elementi di valore e pure una via praticabile per assicurare alla Sardegna nel Parlamento una rappresentanza identitaria e quindi una voce attenta e sensibile alle istanze isolane. Un valore nella formula, almeno in astratto. Perché poi, nella realtà delle vicende politiche, prima di rendere l’opera foriera di frutti vanno superati alcuni limiti e vizi d’origine. Dico questo senza preconcetti, ma sulla base della valutazione di momenti e fatti politici della classe dirigente isolana, più o meno lontani, o più o meno vicini. I rappresentanti di fede sardista sono stati più volte eletti alla Camera e al Senato. Da Lussu a Mastino, agli ultimi Melis e Columbu. Del primo si ricordano l’impegno e la determinazione soprattutto nel passaggio dell’approvazione dello Statuto, nel 1947, che l’ex capitano della Brigata Sassari avrebbe voluto più forte, caratterizzato da poteri e prerogative ancora maggiori rispetto a quelle ottenute in seno all’Assemblea costituente. Il momento forse più alto nella rivendicazione identitaria. Altri hanno impegnato entusiasmi ed energie, soprattutto negli anni più difficili dopo la ricostruzione bellica, per via del malessere legato a povertà e banditismo, ma non di più di altri parlamentari, del PCI, della Dc che rappresentavano le istanze della Sardegna. L’essere sardisti del Psd’Az non è stato un elemento discriminante proprio perché in diversi casi quello spirito era diffuso e condiviso. Un fatto che porta oggi a poter dire, per quanta riguarda divise e simboli, che non è il partito che fa il politico attento e interessato, e anche lungimirante, semmai la qualità e la rettitudine dell’uomo che ci rappresenta nelle istituzioni. La conferma di ciò potrebbe essere verificata anche nel fatto che la caduta di tono nelle assemblee elettive non ha salvato alcun partito o alcuna ideologia, compresi i soggetti dei partiti con i segni sardisti stampati sulla bandiera.
Si dirà che oggi si è in presenza di una vera galassia autonomista, indipendentista, sovranista e che gli esiti sarebbero diversi. Altra considerazione: c’è da parte di alcuni esponenti maggior convinzione e forza ideale. Cosa possibile, anche se onestà e fattibilità delle scelte devono sempre passare l’esame delle prove concrete. Certo, non si deve neppure giudicare in anticipo, o con pregiudizio. Prove da fare, a parte, piuttosto non consentono una fiducia larga alcune circostanze: il fatto che la presenza di più sigle sia per alcuni casi frutto di divisioni e lacerazioni dentro ai partiti storici e in particolare del Psd’Az. Il fatto che alcuni esponenti siano arrivati all’indipendentismo e sovranismo dopo la militanza convinta in forze politiche che perseguono scelte e soluzioni diverse riguardo all’assetto istituzionale di nazioni e regioni. Il cambio di bandiera (come il passaggio da un club a un altro nello sport) ci potrebbe anche stare, ma alla fine quali degli interessi proclamati lungo gli anni varranno di più? La risposta più che in formule politiche o elettorali è contenuta nell’integrità morale dell’individuo. Il polo sardista, autonomista, sovranista, ecc., vale e varrà nella misura dei buoni propositi e della qualità delle persone che gli danno gambe. Tanto che si può essere portatori di quei valori anche con la militanza in altre formazioni, come dimostrato in decenni ormai lontani. Non è determinante neppure se la scelta per l’assetto istituzionale della Regione cada su una piuttosto che sulle altre soluzioni in campo. Forse sarebbe sufficiente un’autonomia più forte. Poi però da praticare, più di quanto non sia stato fatto nei 70 anni dallo Statuto.
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