È da ieri che ho di fronte agli occhi il video del mafioso arrestato e del vicino di casa che, sotto gli occhi dell’agente di Polizia, bacia quelle mani strette fra le manette.

È una immagine che fa male, che offende, che indigna. Specie nel Paese della retorica, in cui le celebrazioni per i martiri laici Falcone, Borsellino, Chinnici, Ciaccio Montalto, Livatino rischiano di diventare un vuoto rituale.

Le immagini di quel bacio, di quella sottomissione, di quell’ostentazione di fedeltà fanno male, offendono e indignano ma raccontano meglio di un trattato di sociologia – con l’immediatezza del cazzotto allo stomaco – quali sono, ancora oggi, i meccanismi che regolano la nostra vita sociale.

Il baciatore di mani forse sporche di sangue, forse di soldi sporchi, racconta, in quindici secondi di teatrale sequenza, l’arci-italiano che ha bisogno di un santo a cui votarsi per sperare di uscire dalla sua condizione di insoddisfazione, di paura, di dipendenza, di solitudine, di povertà anzitutto di valori.

Da quanti baciatori di mani dall’incerta igiene morale siamo quotidianamente circondati? E quanto spesso anche noi, ci piace dire “inconsapevolmente”, siamo protagonisti di questo schema mentale?

Sappiate che ho visto più mani “sporche” baciate a Cagliari, in nove anni, di quante ne avessi notato a Tresnuraghes nei precedenti trentacinque.

Nella nostra società è oramai un riflesso condizionato. Tutti sanno che certi personaggi – ancorché incensurati – utilizzano il potere in maniera deviata, per tornaconto personale e nella logica di “banda”. Eppure ci prostriamo, costretti a pietire un posto di lavoro, un’autorizzazione, una raccomandazione per saltare le liste d’attesa o una fila in un ufficio pubblico, un po’ di visibilità o di considerazione.

Il sistema, così, si autoalimenta. Scompaiono progressivamente i diritti e aumentano i notabilati. Le mani da baciare si allungano verso di noi, senza che ci si premuri più di cercare di poggiare almeno le nostre labbra sul lembo di pelle meno contaminato.

L’immagine del povero succube che bacia la mano al mafioso in manette ci fa male, ci offende e ci indigna.

Ma non ci invita anche a interrogarci sul sistema in cui tutti siamo finiti? E non ci provoca la voglia di reagire e dire che le cose devono e possono cambiare?

Cambiano solo se ognuno di noi prova a cambiarle, liberandosi dalla schiavitù del potente di turno da ossequiare e attraverso il quale scendere a patti con la nostra coscienza e la nostra dignità.