La sostenibilità è un concetto così disturbante e rivoluzionario che ci si esercita quotidianamente per distruggerlo o renderlo incomprensibile. Disturba perché non è frutto del post-positivismo, che crede ancora alla favola del mondo oggettivo, e dei modelli che vanno bene dappertutto; richiede invece un approccio sistemico in ogni sua applicazione e riconosce la pluralità degli attori in gioco in politica come in altri ambiti, per la ricerca di soluzioni per il bene comune.
È un concetto antitetico rispetto a chi invece è abituato alla semplificazione del pensiero, per chi ragiona col meccanismo lineare del problem-solving e vorrebbe un’unica soluzione per quel determinato problema.
Essendo di derivazione della scienza della complessità, la sostenibilità non è di facile né di immediata applicazione e al di là dei suoi principi universali, va adattata al contesto specifico. Come ogni strumento cognitivo, dipende da chi lo utilizza (ovvero da quanta competenza e dimestichezza ne abbia) e dall’uso che ne fa.
L’esercizio di distruzione e alterazione del concetto si evince, ad esempio, attraverso la diffusione di orrendi ossimori quali “chimica verde”, “termovalorizzatore”, che con essa non hanno nulla da spartire.
La sostenibilità è un principio guida dell’autogoverno perché è parte integrante della visione politica che lo sorregge: per esempio, vogliamo il modello esogeno della petrolchimica traslato in distese di termodinamico sulle nostre terre fertili (insostenibilità economica, sociale e ambientale)? Vogliamo alimentare la cultura del clientelismo e il protrarsi dell’iniquità nell’accesso ai diritti e alle risorse (l’insostenibilità etica e culturale)?
Se l’autogoverno è un processo di riappropriazione del diritto di scelta di un popolo, questo processo ha necessità di sorreggersi a dei pilastri che ne scardinino non solo i meccanismi di relazione di dipendenza con un’entità politica sovraordinata, ma anche nella costruzione del proprio percorso a tutto tondo. I campi di applicazione sono tanti: la sostenibilità ambientale, economica e sociale va perseguita nella pianificazione della gestione delle risorse territoriali, per fare in modo che i Sardi abbiano un futuro; va perseguita nell’istruzione e nelle varie espressioni culturali, perché l’autogoverno non può trovare terreno fertile nell’omologazione a modelli esogeni; va applicata nell’economia, perché la creazione di valore non è disgiunta dalla creazione di benessere per le persone e il loro territorio.
Il compito coraggioso che spetta a coloro che agiscono per l’autodeterminazione dei Sardi non è quello di negare o di affossare la sostenibilità, pur in presenza di chiare contraffazioni del termine e di tentativi di far passare strumentalmente qualsiasi nefandezza sotto la sua egida, ma quello di renderla comprensibile e realizzabile.
*Sardegna Possibile
Gentile Rita Cannas,
Non si può rendere realizzabile la sostenibilità se non si affossa il sistema che la impedisce.
In questo dibattito, per altro molto interessante e avvincente magistralmente promosso (o causato) da Vito Biolchini, emerge un concetto molto importante che non deve essere messo da parte: Sostenibilità e Autodeterminazione non sono divisibili, sono la sintesi. Sono concetti complementari che non possono fare a meno l’una dell’altra.
Tambene si lu aiamus potidu faghere, ma oje so sardos non solu non podent detzidere supra sa sustenibilidade ma non podent mancu seperare sa marca de de sos luminos pro allughere su fogu.
beato chi ci capisce qualcosa
Non mi è chiaro cosa voglia dire l’intera questione e meno che meno l’articolo.
Cun salude, KK