Va fatto uno sforzo nella comprensione sul significato di “indipendentismo”. Oggi, l’errore che si fa, è di non considerarlo come il semplice desiderio di libertà di un popolo dal giogo cui è sottoposto, ma piuttosto un “accessorio” complementare per il raggiungimento di conquiste sociali immediate.
Certamente emancipazione sociale e liberazione sono due concetti che vanno di pari passo ma i tempi d’azione sono diversi e come tali vanno rispettati : l’uno non può precedere impropriamente l’altro senza subirne le conseguenze.
Immaginate, durante la seconda guerra mondiale, i partigiani di diversa estrazione sociale, etnica, ideologica ecc.. che invece di combattere per abbattere il fascismo si fossero messi a discutere tra loro sulla rispettiva visione della futura Italia libera. Le diversità sarebbero affiorate con il rischio di compromettere la lotta, in un contesto storico che, invece, richiedeva unità.
Solo dopo, le divergenze ideologiche avevano ragione d’essere, quando, nel costituendo parlamento democratico, ad ognuno, venne data la possibilità di esprimersi liberamente.
Aldilà della sua capacità di proporsi come valida alternativa al sistema esistente, l’indipendentismo sardo soffre di un eccessiva ” caratterizzazione”, la quale viene percepita dai sardi, non come un valore ( contrariamente a quanto credono i capi bastone), ma piuttosto come una frammentazione improduttiva, che carica tutto l’ambiente di sospetti e sfiducia.
Si può obiettare che, tutto sommato, negli ultimi decenni, l’indipendentismo sia cresciuto pur considerando le sue molteplici eterogeneità, tuttavia la domanda è: quanto per suo merito e quanto, invece, per demerito dell’Italia che ci domina? E’ difficile da valutare.
Certamente la crescita è troppo modesta se la si vuole considerare nell’ottica che occorra fare in fretta se si vogliono contenere, almeno in parte, gli effetti del processo di omologazione culturale che sta portando alla desardizzazione del nostro popolo.
Ben vengano, allora, tutte quelle iniziative messe in campo ultimamente, mirate a promuovere il massimo coinvolgimento delle forze indipendentiste insieme a gruppi e persone concordi nel cementare, con un patto di non dissoluzione e non disgregazione, l’impegno di portare la nostra terra alla libertà.
Aldilà delle elaborazioni strategiche delle parti , della supremazia delle diverse ideologie, delle divergenze personali, delle antipatie, delle piccole vendette e ripicche , l’unico ideale che deve prevalere è l’unità: la sola cosa che in questo momento conti veramente.
L’articolo legge correttamente la situazione del nostro indipendentisti. È arr8vato il momento di unire le forze
La massima fase di espansione dell’indipendentismo si è conclusa – tragicamente – durante le ultime elezioni regionali. La tragedia è avvenuta per l’atavica litigiosità sarda, che non permette a gruppi locali di cooperare per costruire un qualcosa in comune.
Le divisioni non hanno fatto mai bene a nessuno, ancora meno a chi parte svantaggiato da secoli, che non a visto altro che il succedersi di èlite esclusive e predatorie, che hanno basato il loro successo su istituzioni politiche ed economiche di tipo estrattivo.
L’errore dell’indipendentismo è stato di costruire modelli legati al partito, imitando il sistema parassitario-partitocratico-burocratico italiano, che non apprezza le comunità e le attività economiche in cui le decisioni ricadono.
– Come possiamo credere nell’indipendentismo se i capi partito sono gli stessi da più di vent’anni?
– Come possiamo sperare che l’indipendentismo possa attrarre consensi se non è stato mai presentato un piano su come amministrare e sviluppare la Sardegna?
– Quali libertà ci possiamo aspettare da un indipendentismo che nega qualsiasi dialogo con chiunque non la pensi allo stesso modo?
Purtroppo l’indipendentismo è diventato lo “strumento” di VITA e di SOPRAVVIVENZA per pochi SCIAMANI, che RESISTONO ad ogni apertura e al dialogo, pur di comparire su qualche fondo pagina della carta stampata, considerati come una specie indigena selvatica in via di estinzione che come portatori di un nuovo pensiero socioeconomico e politico per i sardi. Non avendo strumenti di valutazione hanno preferito seguire la strada degli ambientalisti, poco interessati alle questioni economiche, preferendo lavori pubblici a responsabilità private.
Una cosa dev’essere chiara: se nel passato in molti avevano rivolto lo sguardo all’indipendentismo, non lo avevano fatto per i loro “sciamani”, ma con la speranza di partecipare alla costruzione di un paese nuovo, con leggi nuove, in cui la libertà di pensiero, le qualità personali e la produttività fossero considerate importanti e non date in ostaggio al conformismo del “politicamente corretto”, che impedisce qualsiasi sviluppo personale, per non sminuire chi ne è privo o non vuole competere.
Non è vero che l’indipendentismo potrà cresce quando si uniranno le troppe “forze” indipendentiste, perché queste non esistono se non nella testa dei loro “capibastone”, che pur di sopravvivere sono riusciti ad allontanare più persone di chiunque altro, a causa dell’intolleranza al dissenso, visto come un ostacolo che come un mezzo di confronto.
I sardi non staranno mai appresso a sciamani che considerano l’indipendentismo come un QUALCOSA DI PROPRIETA’, preferendo, a malincuore, tapparsi il naso e votare quello che considerano il meno peggio di stampo italiano.
Ricordo, a malincuore, la reazione del più inossidabile degli sciamani (…) ad un possibile vertice allrgato tra i più votati, tra gli indipendentisti, alle ultime regionali:
– [ASSOLUTAMENTE DA EVITARE, perché non hanno le capacità]…
A distanza di anni si parla ancora di convergenza e mai di sostanza.
Se la BASE indipendentista vuole crescere e lottare per l’indipendenza deve mettere da parte gli sciamani e tuffarsi in incontri con il più alto numero di partecipanti attivi, valutando progetti economici e istituzionali, da far conoscere alle nostre comunità.
La costruzione non può che essere su base federale, mentre la selezione deve essere fatta su confronti selettivi ed elettivi e non per cooptazione di sciamani.
Il confronto aperto sarà il solo strumento per crescere, tutto il resto si rivelerà un disastro.
Sono comunque possibilista…