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Come ogni inizio di anno, arrivano i dati sullo stato d’essere delle persone diciamo che si tira una linea e si legge se la vita delle persone è migliorata o peggiorata.
A leggere la condizione dei sardi, mi pare che le statistiche siano impietose: la Sardegna si posiziona nelle ultime posizioni rispetto ad altre regioni sullo stato della sanità, siamo la regione che somma le povertà assolute in continuo aumento, retrocediamo nella qualità delle nostre università agli ultimi posti e trovare uno studente extra Tirreno che venga ad iscriversi nei nostri atenei è pura speranza.
La cosa che sorprende sui dati universitari è che sembrerebbe che le nostre università sfornino laureati poco capaci, salvo sorprenderci quando scopriamo che emigrando, perché questa terra li esilia, si affermano come validissimi in tutti i campi.
Sta di fatto che i dati impietosi con i quali la Sardegna e il suo popolo convivono, hanno bisogno di una svolta profonda e di una classe politica in grado di avere una visione del futuro improntata al cambiamento.
Molti hanno sperato che l’esecutivo regionale, guidato da un Presidente Bocconiano, accompagnato da altri docenti universitari avrebbero potuto dare questa svolta, i fatti stanno smentendo quella speranza.
Magari non sarà tutta colpa loro, credo però che non si possano cambiare le cose e il futuro della nostra terra, in continuità con la linea politica di impronta nazionale.
Cosi come credo che, non saremo in grado di cambiare il corso dei fatti, se i sardi non assumeranno consapevolezza che per uscire dalla crisi secolare nella quale siamo piombati, c’è bisogno di una grande assunzione di coraggio delle responsabilità, per assumere in prima persona il peso del governo del cambiamento.
Questo ambizioso compito lo debbono assumere gli uomini e le donne che saranno in grado di cogliere il vento dell’autodeterminazione dei popoli che soffia ormai senza sosta nei paesi sviluppati, o si finirà dritti nelle mani di chi sapientemente soffia sul populismo, avente come sbocco solo l’autoritarismo dell’uomo solo al comando.
Indipendentisti, autonomisti e sovranisti dovranno rispondere a questo compito, sò bene che sono tutti in ordine sparso e che far notare questo ai tanti leader, è spesso motivo per essere guardati male, ma proviamo a chiederci cosa potrebbe accadere, se le varie anime indipendentiste convergessero su un progetto di governo alternativo comune, piuttosto che continuare la contestazione a vita, senza schiodare mai dal potere le classi che hanno impoverito il popolo sardo.
Il potere secolare ci ha voluto e continua a volerci in uno stato di sudditanza, dobbiamo appropriarci del sapere e con esso riconquistare le identità che vogliono cancellarci, hanno posto sotto assedio la scuola, l’università e la formazione, attraverso un processo di definaziarizzazione come metodo di governo, piegandolo al pensiero unico economicista.
Il potere ama l’ignoranza di massa, osserviamo la trasformazione che stanno portando avanti dell’identità Sarda, quella che per secoli ha visto il protagonismo dei piccoli paesi, delle zone montane e rurali, gli chiudono le scuole, eliminano i presidi sanitari, chiudono gli uffici postali senza che ci sia un sollevamento di popolo.
Il potere non vuole che le masse siano emancipate, il sapere è rivoluzionario, l’ignoranza è sudditanza.
Un progetto che metta alla base della rinascita di un popolo non può che passare dalla difesa della scuola, della università, della cultura solo cosi è possibile rovesciare il dominio esercitato sul popolo.
Se siamo sull’orlo del precipizio, se siamo succubi di una macelleria sociale imposta da una recessione al servizio della finanza, se la povertà aumenta e le famiglie sradicate dalla loro identità non è a causa di divinità avverse, ma solo a causa di classi di potere che ci vogliono ignoranti e succubi della loro avidità.
Sta a noi rovesciare questo disastro, il tempo davanti a noi dirà se vogliamo essere un popolo libero o continuare ad elemosinare le compiacenze dei potenti.
Gentile Giorgio Asuni,condivido le tue riflessioni e sono a favore del superamento della frammentazione dei movimenti che si ispirano all’autodeterminazione della Sardegna.
Questo fine appare determinante per evitare di disperdere risorse politiche e culturali che sono attive nella pratica del sardismo di denuncia e di movimento, come si è verificato in quest’ultimo decennio. Il rischio dell’essere separati nella fondazione di un Soggetto politico alto è la fuga in avanti rispetto al possibile ed il permanere sul piano del linguaggio vuoto di contenuti, che rimane astratto rispetto all’identità realizzabile. Il primo momento della scelta ideale consiste nel rifiuto e nella condanna dell’elettoralismo “fine a se stesso”, cioè quello che si manifesta con la caccia al voto per poi rendere la Sardegna dipendente dal Governo Centrale.
La giustificazione di questa riflessione sta nel fatto che in più occasioni l’elettoralismo dei partiti tradizionali, vuoto di idee e progetti realizzabili, ha creato l’illusione di partecipare ad una competizione che riesce a mutare, a risultati ottenuti, la realtà effettiva. Così non è stato in quanto è venuta a mancare una Soggettività alta, compatta, una militanza continua di denuncia della realtà soccombente della società sarda. Ed è per queste ragioni che l’elettoralismo fine a se stesso, senza una Progetto globale, privo di un modello economico da sostenere, rimane vuoto in quanto privo di prospettiva per il futuro dei sardi.
Fare sardismo con in superamento della frammentazione dei movimenti che si battono per l’autodeterminazione oggi vuol dire invertire la politica che si è separata in Sardegna dalla condizione reale degli individui, dalla gente comune, dagli artigiani e dagli imprenditori veri, quelli che operano nel mercato con le proprie forze e risorse. Significa anche allontanarsi da una visione della Sardegna come Isola-Città Mercato da mettere in vendita come un qualsiasi bene di consumo.
Il secondo momento consiste nel rinforzare la scelta a favore degli imprenditori veri che hanno difficoltà in Sardegna a crescere come soggetti positivi e restano condizionati dai nodi storici di una Sardegna isola, separata dal resto d’Europa, che cresce con lentezza e difficoltà, sempre condizionata in negativo dalla mancanza della continuità territoriale e dalle infrastrutture deficitarie, rispetto alle crescenti urgenze. A tutto ciò si è aggiunto l’isolamento delle aree interne con la morte lenta delle piccole comunità, sempre più coinvolte nella tendenza inarrestabile a perdere abitanti.
A questi piccoli mondi, a chi resiste e vive in queste piccole realtà, occorre dare una Prospettiva futura all’interno di un Progetto nuovo, con soggetti politici nuovi che in esso si riconoscono, con contenuti in grado di far uscire la politica del sardismo dalla sfera della lamentazione e proiettarlo con nuovi alleati, federati con un Patto di Progetto.Un saluto e ischina ritza. Vittorio Sella