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Se c’è una cosa che noi sardi siamo bravi a fare – più delle seadas e molto meglio dei coltelli con il manico in corno – è il mestiere degli importatori.
Esportiamo pochissimo, quasi nulla di virtuoso. Prodotti raffinati negli stabilimenti Saras, su tutto. E poi armi verso l’Arabia Saudita. Lasciamo perdere, che è meglio.
Siamo i numeri uno nell’approvvigionarci di prodotti di consumo, pure extra alimentari, ma eccelliamo anche nel campo degli imprenditori. In attesa di importare la spazzatura da bruciare nei nostri nuovi e sovradimensionati inceneritori, ci accontentiamo di mettere ben volentieri il nostro sistema economico al servizio di chiunque passi da queste parti. Basta che sia ben vestito, bravo di favella e presentato dallo sponsor giusto.
Il copione è sempre lo stesso: in genere i samaritani in doppiopetto si presentano affranti per la condizione di difficoltà attraversata da questa povera Isola e dai suoi abitanti («eppure avete un sacco di potenzialità»), preoccupati del bene comune e disposti a farci la concessione di impiantare qua una nuova fabbrica capace, da sola, di risollevare i destini economici della colonia sottosviluppata.
La politica, solitamente, partecipa compiaciuta, stupita da tanta competenza sul funzionamento del mercato, sul ruolo delle imprese, sulla concorrenza, sull’efficienza e sul marketing. Disposta a credere – senza pensare ad alcun ritorno personale – al fatto che il benefattore di turno valorizzerà, come da stentorea promessa, le risorse locali. Se poi l’imprenditore ha bisogno di qualche suggerimento sulle aziende a cui sub appaltare, a prezzi stracciati, o di un elenco di persone da assumere («ma non stabilizziamole, che poi si abituano») perché negare questa carineria? La vita va così, vorrete mica bloccare il progresso della Sardegna?
Questa non è storia a lieto fine ma fatta da “prenditori”, che non ci hanno portato cultura di impresa ma processi produttivi mediocri, spesso inquinanti, che si sono rivelati scatole vuote, riducendo a un miraggio i sogni di uno sviluppo del sistema economico locale.
Dove c’è stata una legge tutta incentivi e permissivismo per l’imprenditore d’importazione, state certi che l’Isola è stata sfruttata. Una volta entrati in possesso dei soldi pubblici e assunti un po’ di salariati da illudere, tutto è finito, con le solite precostituite motivazioni: «La crisi dei mercati, la manodopera non qualificata, il costo dei trasporti, il mare da attraversare, il sistema creditizio inadeguato».
Quasi che queste condizioni, ataviche, da colonia, non fossero note in anticipo. E allora via: chiusura dei cancelli, licenziamenti di massa, tavoli al Ministero (mai che ne sia stato aperto uno per l’imprenditoria sarda) e in Regione, la mobilità, la cassa integrazione, le umilianti file dai ras politici territoriali a chiedere un pezzo di pane per la famiglia, barattando uno, cinque, dieci voti. È così che siamo pian piano passati dall’essere cittadini al diventare sudditi.
Espropriati della nostra terra, della nostra cultura, delle nostre tradizioni, della speranza di un futuro moderno in una Sardegna scarsamente antropizzata ma finita nelle ciniche grinfie di una classe imprenditoriale stracciona, coadiuvata da una politica che negli anni è via via peggiorata.
Tanto che oggi assistiamo a uno stanco rituale di amministrazione dell’esistente, a una bolsa staffetta legata a un’alternanza di maniera, in cui certi pseudo-indipendentisti vorrebbero farci credere che la sovranità della Sardegna è legata all’efficienza nell’asfaltare le strade, senza magari preoccuparsi di cosa c’è di velenoso dentro quel catrame che copiosamente posiamo con patetica esultanza sovranista.
Le cose muteranno solo quando la gente si renderà conto che non cambierà mai niente finché ci faremo strumento di un sistema malato, unicamente funzionale all’importazione di idee, di beni, di servizi, di imprenditori.
La Sardegna non può ridursi a un combinato disposto tra consumatori di cose prodotte da altri, manodopera di basso livello per intraprese che non generano effetti virtuosi per l’intero sistema economico locale. Tanto meno può essere concepita come gigantesca discarica di veleni industriali e scorie nucleari. Nel conto entrano anche le servitù militari, reclamate col solito ricatto degli stipendi.
Questo sistema non può reggere e niente potrà evolversi – e dunque migliorare – finché la politica resterà sorda al cambiamento, compattandosi in un gigantesco muro di gomma, perfettamente attrezzato a resistere nel difendere lo status quo. La sfida non è fare cose vecchie meglio di altri ma di farne di totalmente nuove.
lavorare la terra e obbligare i grandi magazzini ad esporre e vendere il 70% prodotti sardi, per esempio.
Ma no Pietro! Gli obblighi non funzionano: la storia è piena di disastri provocati da misure di questo tipo.
La risposta è sempre e unicamente quella:
-riduzione o azzeramento del carico fiscale e contributivo in capo alle piccole (incluse quelle individuali ) e medie imprese che producono nell’isola
-azzeramento del carico e dei costi burocratici per gli stessi soggetti (con la consulenza gratuita o meglio già pagata dell’esercito di dipendenti pubblici che abbiamo)
-collegamenti aerei e marittimi con il resto d’Europa seri, affidabili (si deve programmare per anni) e davvero competitivi
-investimenti in cultura, cultura e cultura delle nuove generazioni e di quelle già in età lavorativa che lavoro hanno e non hanno (dobbiamo fare esattamente l’opposto di quello che è stato fatto finora anche su questo capitolo).
-lotta ai prenditori eliminando presto i bandi spreca risorse e diffondi corruzione, cercando di attirare investimenti reali e di grande valore (perché le filiali europee delle grandi corporation stanno in prevalenza in Irlanda?) che spesso oltre al corporate tax basso, ricercano giovani di valore, leggi precise ma soprattutto certe, giustizia celere e dei bei contesti in cui inserirsi
-attiriamo i pensionati (inclusi i nostri valorosi emigrati): tasse basse, sistema sanitario moderno e avremo da loro tantissimo valore (incluse le conoscenze e esperienze che hanno maturati nella loro vita lavorativa).
Ma chi dice che la Sardegna non può farcela da sola?
Saluti
Ottima analisi delle soluzioni
ma non ricordi il vecchio adagio toscano?pina la legna e mandala in sardegna….dice tutto
E’ del 19/12/2016 ma potrebbe essere di oggi.
E quando proponi al politico di parlare di vere cose da fare, quando chiedi di discutere che so della Dir. UE 123/06 (Bolkestein), quando porti gente che non vuole solo votare bensì partecipare fattivamente… beh, in tal caso vieni sbattuto fuori dal partito senza troppi complimenti. Come fossi un mostro.
Credo ci sia bisogno di rifiutare i tribuni, che spacciandosi per i “nuovi indipendentisti” cerchino di ulteriormente frammentate la galassia indipendentista ! Evidenziando, per tornaconto personale, le poche cose che ci dividono anziché esaltare le molte che ci uniscono !
Chi, per esempio?
Non credo sia il caso di fare nomi. É per tutte quelle persone/ personaggi inquadrabili in quella categoria comportamentale.
La responsabilità di questo stato in cui la Sardegna staziona è da caricare alla classe politica che raramente riesce a partorire figure competenti che siano all’altezza di comprendere quanto possa essere criminale prendere la guida di una missione senza averne alcuna capacità. Il problema più grande però non è la gestione politica che può essere sostituita ma è la gestione burocratica che rimane abbarbicata alla torre del potere ed è capace di determinare quanto decide ritardando o bloccando i progetti di sviluppo che quelle poche imprese sarde e sane vogliono realizzare per creare ricchezza con la conseguente ricaduta positiva per un territorio che ne ha davvero bisogno.Dico ricchezza e intendo acquisizione di capacità professionali specifiche e cultura in generale che può può dare ad un popolo maggiori strumenti per scegliere e decidere.
La Sardegna ha In disponibilità ingenti risorse finanziarie che la UE ha destinato per concederlo in conto capitale ad aziende che abbiano idee e progetti di sviluppo o miglioramento ma questi soldi sono fermi o non riescono a raggiungere le aziende perché chi dovrebbe valutare questi progetti é inerme o si muove con una lentezza che non è tollerabile è così quei soldi rimangono fermi e le aziende che potrebbero migliorare il loro stato restano ferme ugualmente o come spesso accada tornano indietro.
Ritengo che le aziende non debbano fare affidamento sui soldi pubblici per il loro sviluppo, ma se questi soldi sono disponibili e posson dar loro maggior forza perché lasciarli stagnare mentre in tutti gli altri paesi europei destinatari delle stesse risorse si procede spediti per un progresso.
Spesso andiamo a cercare le colpe nei continentalii che li consideriamo colpevoli delle nostre sventure ma sarebbe meglio se analizzassimo nei quartieri generali di gestione della nostra isola presidiato da incompetenti,esaltati e pericolosi per la salute pubblica.
Sono venuta in Sardegna,la prima volta, nel 2001, proprio nei giorni delle Torri Gemelle.
Siamo stati a visitare la parte settentrionale dell’isola una decina di giorni.
Ci siamo confrontati con persone del luogo ed imprenditori del nord d’Italia che lì avevano attività turistiche.
Con enorme sorpresa abbiamo constatato che gli autoctoni svolgevano solo mansioni umili e spesso malamente.
Vorrà dire qualcosa se siete stati iniziati a emanciparvi da chi veniva dal continente e ora pretendete di saperla lunga parlando male di chi vi ha insegnato a lavorare?
Franceschina, le tue parole sono sciocchezza pura e non meritano risposta, ma è giusto che tu possa cominciare a capire….
Oh franceschina per me puoi anche ripartire, che no hai niente da insegnare qui in Sardegna tu fai parte di quei ” prenditori” che spno arrivati dal continente…fai una cosa …sparessi..
Ma poite faeddadese in italianu? Lu dia cherrere ischire..
Paolo, la maggioranza dei sardi ha un ego sovradimensionato e tu ne sei l’esempio. Fatti, fatti e non parole, finitela di dare la colpa a tizio o caio, i vostri politici sono la rappresentazione della vostra società
Potrebbe essere che tu abbia avuto un’esperienza negativa in Sardegna e quindi ti sei fatta un’idea tua che forse dovresti elaborare. Voglio dirti che la Sardegna ha tante anime ,la Sardegna non ha la demagogia di un popolo,ha tante culture ed un’unica terra,-unica – delimitata da un mare – che da molti anni è stato il suo nemico – che oggi è diventato lo spazio ideale per una moltitudine di turisti per farsi belli e per trovare il divertimento ad ogni costo in quella ricreazione del lavoro alienante che questo mondo propone. La Sardegna non ha bisogno di apprendere da quel modello che piace a te, la Sardegna ha bisogno di essere rispettata per quello che è e ha bisogno che i suoi abitanti prendano coscienza che si può realizzare un progetto di vita alternativo a quello che regna e cioè consumo e soldi.
Ho 71 anni, consumo e soldi non fanno parte della mia cultura; lavoro, dignità e orgoglio si. Le nostre tasse vanno a rifocillare il sud compresa la sardegna, questo sarebbe il tuo progetto alternativo? Leggi il post sotto, è un sardo che ha capito tante cose che molti di voi non vogliono capire.
Gentilissimo Direttore,
Io faccio parte di quei lavoratori sardi passati attraverso il mare della crisi.
Prima in cassa integrazione poi licenziato e posto in mobilità dopo 27 anni di lavoro.
Assieme a tanti miei colleghi ho condotto una lotta che aveva come obbiettivo la salvaguardia della Compagnia e dei posti di lavoro da essa offerti.
Mille persone sono rimaste vittime del
Più grande licenziamento di massa della Sardegna.
Ma questa alienazione, a detta del
management, era indispensabile per poter attirare un nuovo eventuale partner.
Oggi, dopo tre anni dalla vertenza, il nuovo partner è appena arrivato, è il Fondo Sovrano del Qatar il quale ha altri importanti investimenti nel nord est della Sardegna.
Eppure oltre ai 1000 licenziamenti, non si vedono benefici.
La Compagnia aerea che una volta identificava la Sardegna nei cieli europei, dal primo novembre non avrà più un aeroplano e travaserà tutto il personale sardo su una Compagnia controllata avente base operativa a Milano
Malpensa.
I lavoratori della Compagnia manifestando il loro dissenso, avevano previsto quanto poi è accaduto eppure il giornale che lei dirigeva a quel tempo, concedette scarsissima attenzione alla lotta intrapresa da diverse centinaia di dipendenti.
Lei scrive “Le cose muteranno solo quando la gente si renderà conto che non cambierà mai niente finché ci faremo strumento di un sistema malato, unicamente funzionale all’importazione di idee, di beni, di servizi, di imprenditori” ma io credo che la Sardegna cambierà quando il singolo cittadino vorrà realmente cambiare l’inconsiste sistema politico, l’imprenditore imparerà a fare impresa ovvero nulla cambierà se non troveremo la volontà di riformarci ed imparare a cogliere tutte le grandi opportunità di cui disponiamo.
Nella Compagnia avevo il ruolo di comandante e dei 27 anni nei quali ho lavorato, posso vantare una forte appartenenza a quell’importante icona identitaria della Sardegna oltre che una rispettosissima attenzione per il nostro utente. E fu proprio l’amore per il mio lavoro che mi portò a manifestare per 50 giorni su un Palo farò dell’aeroporto di Olbia senza mai scendere a terra, azione che fu causa di revoca delle mie funzioni di comando e di sospensione dal lavoro e, più tardi, di una condanna a trenta giorni di reclusione per occupazione di suolo pubblico poi tramutata in sanzione di 7.500€.
In quella vertenza, il
Misi la mia anima come i pastori sardi mettono hanno sempre messo la loro nelle loro proteste rimediando manganellate e condanne e tutto ciò avviene sotto gli occhi disinteressati della stragrande maggioranza dei cittadini sardi che voi o gli antropologi, ritengono un popolo identitario di millenaria cultura.
Un popolo che ancora oggi è incapace di riunirsi ed unirsi in un unico brand Sardegna, incapace di fare impresa e di farla in cooperazione, gente che ancora considera il mare un ostacolo anziché un ponte che la unisce al resto del mondo.
Tante altre isole hanno fatto della propria insularità, la principale economia, il Pil sardo del turismo è intorno al 7% ma nella quale bolle lo spirito separatistico senza avere le capacità per essere natzione.
La Sardegna cambierà quando i sardi sapranno sovvertire le proprie menti e sapranno guardate oltre l’orizzonte sul mare.