Sono consapevole di tutto ciò che storicamente ha influito, nel bene e nel male, nella formazione della cultura dei sardi e perciò, quando è necessario, cerco di trovare sempre un attenuante al riemergere di molte intemperanze e contraddizioni che contraddistinguono, spesso, l’operato della mia gente.

Tuttavia mi trovo disorientato: talvolta ho l’impressione che il popolo a cui appartengo sia indecifrabile, misterioso, un fluido umano che risponde a sollecitazioni che esulano da ogni legge fisica o morale.

La dimostrazione di ciò è quanto mai palese in questo periodo di referendum in cui il coinvolgimento in Sardegna su come votare tra il “st” e il “no” è praticamente totale.
E mai possibile che nessuno consideri nessun altra alternativa?

Ma come è possibile che un popolo come il nostro che è massacrato, umiliato, tradito e i cui diritti sono continuamente calpestati dallo stato italiano, speri ancora di emanciparsi dallo stato di sudditanza in cui versa semplicemente esprimendo il proprio parere con un referendum che, comunque vada, l’esito sarà sempre una condanna all’infelicità per noi e i nostri figli?

Dare il “no” equivale ad avvallare tutto il compendio di normative e leggi che hanno reso la Sardegna una colonia; le stesse leggi che nei decenni hanno favorito la formazione di figure politiche losche e iniziative disastrose sull’economia, reciprocamente responsabili di avere causato lo sradicamento di circa 600.000 sardi dalla propria terra; altrettanto responsabili perché l’ isola fosse gravata del 60% della presenza demaniale militare dello stato occupante italiano e, perché nei poligoni militari, sparsi nei vari territori, si esplodessero l’82% delle bombe dell’esercito italiano e una quantità imprecisata di quelle della NATO.

Criminalmente colpevoli per il programma di sviluppo industriale dei vari piani di rinascita concepiti non per i suoi abitanti ma per l’apparato speculativo industriale del nord, il quale, come previsto, ha abbandonato l’isola dopo aver fatto terra bruciata dei territori dove ha operato.
Vogliamo parlare dello statuto autonomo della Sardegna sistematicamente demolito a colpi di sentenze della corte costituzionale? Un organismo di parte, responsabile di avere trasformato il nostro statuto in carta straccia con la compiacenza delle succursali dei partiti politici italiani operanti in Sardegna.

Mi domando se noi sardi ci rendiamo conto di tutto ciò che questo ha comportato in termini di uno sviluppo mancato in campo sociale ed economico e le innumerevoli sofferenze che negli anni ne sono derivate?

I rapporti con Roma stanno assumendo sempre di più, dal punto di vista politico, una brutta piega; una ferita forse insanabile si è aperta da tempo. I sardi sono sempre più coscienti che qualsiasi cambiamento significativo per la Sardegna attraverso i referendum, disegnati ad uso e consumo degli italiani, è da escludere.

Rappresentando, come è ben noto, la periferia dello stato d’oltre Tirreno, in Sardegna gli auspicati cambiamenti si riverserebbero in maniera labile, siano essi positivi o negativi, mantenendo di fatto tutti i caratteri della sua consolidata subalternità ad un entità, talvolta ostile altre volte distratta rispetto alle sue istanze.

Evidentemente la soluzione sta dove origina il problema e cioè, nella negazione dei diritti sulle nostre peculiarità all’interno del quadro legislativo italiano. L’economia, la lingua, la storia la cultura e la posizione geografica sono le caratteristiche che ci identificano: fattori essenziali per lo viluppo di qualsiasi società; includerli nel sistema legislativo italiano equivale a creare i presupposti per la nostra autodeterminazione, la quale si può raggiungere solo attraverso un “concordato “ preceduto dalla ridefinizione dei rapporti tra le due parti Sardegna e Italia.

Ma quando ci arriveremo se continueremo a fare confusione sui metodi e sugli obiettivi da raggiungere?

Puntare più in alto è uno dei motivi per cui è necessario astenersi nel prossimo referendum.

Rifiutarsi di votare sarebbe una forma di disobbedienza civile la cui efficacia è proporzionale al tasso di astensione. Attirerebbe l’attenzione molto più che la partecipazione ad un referendum inutile. Uno strumento potente che farebbe emergere i nostri problemi dal mare dell’indifferenza politica; sia nazionale (intesa come sarda ) che statale.

Insomma costringere l’Italia ad affrontare separatamente, a tutto campo, la “questione Sardegna” e dimostrare che i “metodi democratici farsa” sono fumo negli occhi per i sardi; dato che non coincidono con le esigenze di un popolo che per causa sua sta rischiando seriamente di scomparire.
In conclusione, noi sardi abbiamo la possibilità di usare la vetrina italiana del referendum per dimostrare che ci siamo, con tutti i nostri problemi, e non invece scomparire all’interno del contenitore elettorale che serve solo ai partiti italiani per includerci nel conteggio generale dei voti. Sta a noi decidere di sfruttare il “momento” per proseguire nella lotta verso il nostro riscatto oppure ricadere nell’anonimato con tutti i nostri problemi irrisolti.