Se vogliamo dare una risposta oggettiva e meditata alla domanda referendaria, dobbiamo porci il problema di cosa in realtà sia la Costituzione.
Le propagande dell’una e dell’altra soluzione (per il sì o per il no) ci suggestionano con l’evocazione di valori, di lotte come quelle della resistenza, di grandi orizzonti ideali disegnati da una carta che giustamente assume connotazioni sacrali, essendo la legge fondamentale della Repubblica.
Però, in un momento così decisivo nella storia d’Italia, quando ogni elettore è chiamato ad esprimere la sua decisione su un tema così profondamente legato al destino dell’intera comunità nazionale, è necessario tornare alle origini stesse della Costituzione per comprenderne il senso e lo scopo.
La Costituzione rispose a questa domanda: in che modo la nuova Repubblica trasferisce la sovranità dal Re al Popolo?
Nello Statuto albertino, legge fondamentale sotto il periodo monarchico, tutti gli articoli dal due al 23 contengono la parola “Re” o al re si riferiscono; la Costituzione repubblicana invece, secondo la sua formulazione molto elegante, dedica al nuovo Sovrano il secondo comma del primo articolo: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Avremo allora nel testo della Carta la trattazione dei diritti e dei doveri di tutti cittadini, da una parte, e le modalità concrete e operative di esercizio costituzionale della sovranità popolare, dall’altra.
Due parti della Costituzione, due ambiti logici e tematici, contenutistici, nei quali si sviluppa il disegno costituzionale, la grande visione dei costituenti.
La prima parte non è in questo momento interessata dalla revisione costituzionale, cioè dai mutamenti previsti dalla stessa costituzione del 1946, ai sensi dell’articolo 138, che prevede le complesse procedure che presiedono alle modificazioni della carta, ultimo atto dei quali è proprio il referendum confermativo.
Il tema di questa grande revisione del testo costituzionale riguarda invece la seconda parte, cioè quella delle modalità concrete e operative di esercizio costituzionale della sovranità popolare, come abbiamo sopra accennato.
È proposto quindi all’approvazione un nuovo modello di esercizio della sovranità: cambia cioè il rapporto tra il popolo e le sue istituzioni.
Nella revisione vi sono:
L’ampliamento del suffragio universale, con il raggiungimento effettivo della previsione di eguaglianza tra gli elettori prevista dall’Art. 48:
“Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.”, grazie al quale tutti i cittadini maggiorenni eleggeranno il parlamento nella stessa misura (senza più l’eccezione del Senato, eletto ai sensi del testo del 1948, dai soli maggiori di venticinque anni);
L’istituzione di una nuova camera delle autonomie (Senato) di cento membri, che concorrerà al procedimento legislativo solo per determinate materie, restando la Camera dei deputati, eletta direttamente da tutti i cittadini maggiorenni, principale legislatore ordinario e fonte della legittimazione del Governo per mezzo del voto di fiducia;
L’accorciamento della distanza tra l’elettore e le istituzioni, con il superamento del modello napoleonico che prevedeva le province come ente intermedio tra comuni e regioni;
Il superamento del retaggio corporativo che veniva mantenuto con la vecchia istituzione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro;
La razionalizzazione delle funzioni tra Stato e Regioni ordinarie, con l’eliminazione dell’ambiguità della competenza concorrente che ha causato l’enorme, sproporzionato aumento del contenzioso davanti alla Corte costituzionale;
La protezione definitiva dello statuto speciale delle Regioni e delle Province autonome, non più modificabile in sede di revisione costituzionale senza l’intesa da parte delle Autonomie interessate.
Una revisione costituzionale che quindi tende a sviluppare i principi costituzionali attraverso l’ampliamento dei diritti dei cittadini contenuti nella prima parte del testo originario, consegnandoci un procedimento legislativo profondamente rinnovato e specializzato in modo inedito andando a avvicinare il modello italiano a quello dei principali paesi democratici del mondo.
Bella la favola dell’allargamento del suffragio universale: oggi a 18 anni si può votare alla Camera e a 25 anni al Senato. Con la riforma a 18 anni si potrà votare alla camera, mentre al Senato non si voterà più, ne a 18, ne a 25, ne a 99 anni! Però Deriu considera questo una conquista, appunto l’allargamento del suffragio universale. Bella anche la storia dell’avvicinamento tra cittadino e stato con l’eliminazione delle province. Peccato che Deriu proprio in Gallura nel 2013 – da Presidente della Provincia di Nuoro e esponente dell’Unione Province Sarde affermò che “noi serviamo per contrastare la crisi, la spesa politica pesa solo per il 2% del totale”, e ancora parlando di ambiti ottimali fece l’esempio di Abbanoa, troppo sovradimensionata, come a dire che c’è bisogno del tramite intermedio in ogni settore, politica regionale compresa. Nel 2012 tuonava contro i referendari dicendo che “l’abolizione delle province porterà al caos” e che “i territori hanno bisogno di rappresentanza”. Ricordo inoltre che Deriu ha lavorato tempo fa per la nascita della provincia tirrenica! Ora però propende invece a…”l’accorciamento della distanza tra elettore e istituzioni
Sì, il solito equivoco sul significato di Senato e la solita ipocrisia di chi non ha difeso la Costituzione mentre veniva calpestata vigente mentre ora la invoca quando viene cambiata secondo Costituzione.
Risposta fumosa tendente a sviare! Entri nel dettaglio piuttosto. Dove si allarga il suffragio universale se si voterà solo per una camera invece che due? Perché prima difendeva le province e la loro funzione e ora plaude all’abolizione? È solo un problema di procedura? E per l’innalzamento delle firme per le iniziative di legge popolare cosa ha da dire? È un importante opportunità di conoscere più persone mentre raccogliamo le firme? E sulla cristallizzazione dello statuto sardo, pena l’applicazione della clausola di supremazia cosa ha da dire? È un importante opportunità per stimolarci a impiegare meglio lo statuto di specialità che già abbiamo? Quanto è bella la lingua italiana, che permette tali acrobazie lessicali. Lei ne fa un ottimo uso, complimenti!
Da quel che ho letto le motivazioni del suo si sono un po flebili e anche molto superficiali nel trattare il vero succo di questa riforma. Ha giusto preso alcuni punti e li ha mitigati di buonismo,1) ha mascherato la perdita di una parte di sovranità popolare con il termine di ampliamento del suffragio universale, 2) ha nascosto con il il concetto di avvicinamento del popolo alle istituzioni la reale portata accentratrice di questa riforma. Riforma che toglierà potere alle istituzioni che da sempre hanno curato i territori, in primis le Province, e lei lo dovrebbe sapere benissimo, da sardo e da ex Presidente di Provincia, quali siano i disastri provocati dalle precedente riforma che con questa assumeranno valore ancor più significativo, basta guardare le condizioni delle nostre strade provinciali sarde. Toglierà potere alle Regioni, e questo si è dimenticato di dirlo, che non avranno più facoltà di opporsi alle imposizioni sul territorio del Governo centrale ( esempio scorie nucleari, vincoli paesaggistici etc etc.) se come proposto dalla riforma verranno caricati della parola “di interessa nazionale”.3) Non corrisponde al vero, e lei lo sà che il nuovo Senato sarà rappresentativo delle autonomie o lo sarà solo di nome, basta infatti leggere il nuovo art. 70 della Costituzione per capire quali siano i nuovi compiti ad esso affidati. Pochi ma tra essi ancor meno quelli che riguardano la gestione e la tutela di una regione. 4) il nuovo art.117 consegna di fatto il potere legislativo alla Comunità Europea che al pari della Camera avrà ampia facoltà e potere di proporre leggi da applicare nell’interesse e per il bene dell’Europa anche se a discapito dei cittadini italiani.5) Ha tralasciato il fatto, non irrilevante, che con la nuova riforma, nell’equilibrio e nell’esercizio dei poteri tra i vari organi di Governo viene sminuita se non cancellata l’importanza di un organo di garanzia, quale la Corte Costituzionale, Il Consiglio dei Ministri e la camera dei Deputati avranno poteri quasi illimitati nel decidere le sorti di questo popolo già martoriato. 6) Un politico esperto come lei avrebbe dovuto, per correttezza di cronaca, spiegare ai lettori gli effetti di questa riforma combinata con l’Italicum, cosa che si è guardato bene dal fare. A me , personalmente, piace ricordare che questa Costituzione la avevamo durante tutto il periodo del grande Boom Economico italiano, ed è grazie ai suoi principi che abbiamo avuto le più importanti conquiste come cittadini e come lavoratori. Questa Costituzione ci ha permesso grandi conquiste sociali con lo strumento del referendum : divorzio, aborto, acqua pubblica, finanziamento pubblico ai partiti, per citarne alcuni. Concludo chiedendole se secondo lei è giusto modificare 47 articoli della Costituzione con un riforma non condivisa, ma imposta da una forza politica di maggioranza relativa, e se crede che in questa modifica siano rispettati i valori tanto cari ai padri costituenti quali Einaudi, Iotti, Pertini etc etc. Non credo che mettere un uomo solo al comando sia la soluzione, basterebbe trovare politici capaci di applicare i valori e i dettami di questa nostra stupenda Costituzione.
Eccolo, lo gnomo della cartelletta! Quello vero.
Caro Roberto e Pietro, le vostre risposte, hanno confermato il mio giusto pensiero; un profondo grazie di cuore.
Po. Intendo Roberto Mette e Pietro Caval
Il vero intento della riforma é incrementare la cessione di sovranità dalla Stato italiano all’Europa, tolte le province italiane per dar luogo a quelle nuove europee, le attuali Regioni. Gli Stati sovrani diventano le nuove Regioni d’Europa, Bruxelles la nuova capitale e Roma capoluogo della Regione Italia.
Nella scelta di entrare in Europa ( ammesso che si tratti di scelta ) abbiamo accettato un percorso disgregante della cittadinanza italiana per quella europea, l’anticipo della moneta unica rispetto all’unità politico / amministrativa é servito a porci in una situazione di non ritorno, avendo tanto da perdere per la troppa strada fatta.
Perché non sarebbero eletti? Ammesso che fosse come dicono molti di voi, ELEGGEREMO NOI DEI CONSIGLIERI REGIONALI CHE SAPPIAMO POTREBBERO DIVENTARE ANCHE SENATORI.
Ma non è così, ecco perché:
Art. 57 della riforma:
“La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti,IN CONFORMITÀ ALLE SCELTE ESPRESSE DAGLI ELETTORI per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma.”
Molto diverso da quello che molti di voi stanno dicendo.
ELEGGEREMO NOI I SENATORI.