Spesso c’è così tanta confusione, nel bombardamento di informazioni al quale siamo sottoposti, che si fa fatica ad ascoltarsi e comprendersi. Se ci aggiungiamo i pregiudizi basati su assunti spesso distorti e la naturale tendenza della società contemporanea all’approfondire (niente o quasi) le questioni che esulano dai passatempi, dalle evasioni, dai problemi quotidiani, il quadro è fatto.
Può accadere che una ferma presa di posizione sulla progressiva eliminazione delle servitù militari venga scambiata per avversione o voglia di soppressione di qualsiasi cosa sia riferibile alle stellette. Con reazioni a volte spropositate, spesso dettate dalla paura di perdere lo status quo. Che sarà pure poco e a volte umiliante, ma spesso garantisce la sopravvivenza ed evita di dover pensare troppo a come costruirsi un domani diverso.
«Sono cambiamenti solo se spaventano», cantano i Subsonica, interpretando i tormenti di un tempo in cui ci si lamenta del malcostume della politica e delle classi dirigenti, dei privilegi di pochi che fanno contraltare alle ansie di molti, dell’ingiustizia sociale e della impermeabilità della politica. Tutti si lamentano ma, in pratica, pochi mostrano di voler cambiare le cose, prendendo strade nuove, piene di rischi ma forse foriere delle poche speranze di rinnovamento possibili.
Lo stesso atteggiamento di confusione si è registrato sull’esito del referendum di un paio di anni fa per l’indipendenza della Scozia, al quale non pochi sardi hanno guardato – forse con un pizzico di superficialità – come modello di ispirazione ed emulazione.
È invece chiaro che la realtà scozzese – dove i concetti di indipendenza economica e identità culturale sono patrimonio comune da decenni – ha poco da spartire con la Sardegna. È bastato ascoltare le dichiarazioni post voto del fronte del sì e del fronte del no per rendersi conto della maturità di vincitori e sconfitti e dall’assenza di ogni accenno di violenza verbale. Chi ha vinto è nazionalista quanto chi ha perso, ma preferisce esserlo sotto l’egida dell’Europa. Forse ora, dopo la Brexit, ci riproveranno.
Da quelle parti le sfide dell’identità, della consapevolezza di essere un popolo, della lingua, dell’autonomia, della tutela del territorio e dell’autogoverno sono state vinte da tempo. La Sardegna quel cammino lo ha appena iniziato e deve continuare a percorrerlo tutti i giorni, partendo dalle piccole cose. Per questo il dibattito sull’indipendenza dall’Italia, al giorno d’oggi, è prematuro. Più attuale è quello sull’indipendebza dai centri di potere italiani, dalle lobby, dalle decisioni sulla Sardegna prese lontano dalla Sardegna.
Sarebbe suicida sarebbe chiedere un referendum sardo, senza prima aver seminato con pazienza i germi della cultura e dell’identità, senza aver chiarito che queste consapevolezze servono anche a recuperare dignità e forza contrattuale con uno Stato che oggi all’Isola concede nemmeno un decimo di quei poteri che Londra “devolve” alla Scozia e tenta, anzi, di tornare indietro persino sull’autonomia.
E senza, soprattutto, essersi chiesti se l’indipendenza serve davvero o è invece lo spauracchio da agitare per far vivere meglio non tanto le generazioni contemporanee quanto i sardi che verranno.
Se non affronteremo questi problemi, se non ci interrogheremo con serietà, se questo dibattito non diventerà massificato ma resterà circoscritto alle élite culturali o a piccoli gruppi politici, siamo condannati a una sconfitta che porterà la Sardegna che oggi conosciamo a una progressiva estinzione e a una progressiva estirpazione delle sue radici culturali, sociali ed economiche.
Tempo cinquant’anni e rischiamo di diventare una enorme piattaforma metanifera, puntellata di pannelli fotovoltaici e pale eoliche, con il deposito unico nazionale delle scorie nucleari e le industrie che nessuno vuole sul resto del territorio italiano. C’è la concreta possibilità che nessun sardo, tra mezzo secolo, sappia più fare il formaggio, piantare e curare una vigna, condurre un oliveto o una piantagione di carciofi. Del resto la produzione di pomodori pelati – antica ricchezza del Campidano – è stata già spazzata via da una decina d’anni, senza che nessuno abbia provato a battere ciglio.
Tempo cinquant’anni e, con questo andazzo, rischiamo di diventare un non luogo, senza storia né identità. Converrà fermarsi e parlarne, isolandoci dalla confusione che porta a non ascoltarci a vicenda.
…”sulla progressiva eliminazione delle servitù militari ” gli esempi negativi sulla dismissione delle Servitù Militari a Cagliari e sotto gli occhi di tutti; se no c’è un processo partecipato sulla “riconversione” si possono vedere miglia di metri quadri di terreni e di metri cubi di Fabbricati abbandonati con uno spreco di soldi pubblici, quindi anche miei, senza aver creato un solo posto di lavoro…
Riguardo alle basi militari Orgosolo è stata lungimirante, allora si erano difesi gli interessi dei pastori, ora in anche grazie alla lotta di Pratobello Orgosolo è diventato un riferimento dal punto di vista turistico
Cerchiamo di lavorarci allora, ed un quotidiano/periodico sull’argomento gestito da te non sarebbe mica una brutta idea…
dopo aver letto questo articolo mi è venuta in mente una cosa che riguarda la mia esperienza in Scozia.
In due anni passati in terra scozzese non ho mai sentito uno scozzese dire ” come facciamo senza gli inglesi? “.
In Sardegna è all’ordine del giorno sentire sardi che dicono che senza l’Italia non possiamo farcela, sardi che non si sforzano di studiare la propria storia, sardi che non vogliono sbloccare quella coscienza imperniata di assistenzialismo doppiogiochista italiano, sardi che si dimenticano quali grandi personaggi e artisti sono nati in questa terra.
Noi siamo un popolo creativo, con dei piccoli passi nella stessa direzione potremmo fare grandi cose.
Sono pienamente d’accordo con lei.
Serve un gigantesco lavoro culturale.
Parlare di indipendentismo secondo me non è controproducente, anzi…i risultati si vedono ….40 anni fa parlare di autodeterminazione era una autentica eresia.. se manifestavi contro le basi militari e/o le basi industriali, se parlavi di colonialismo, di limba sarda nelle scuole, eri un terrorista o un pazzo sognatore…adesso invece se ne parla già da tempo, in ambito politico, sui media e attualmente su internet, come una alternativa possibile. …il lavoro è ancora molto lungo purtroppo i sardi ancora si accontentano di ben poco a causa della secolare storia fatta di vessazioni e di sfruttamento..ancora basta qualche promessa del politico italiano e/o indigeno e poche briciole sotto il tavolo…ma un vento di indignazione e di orgoglio si sta sviluppando…sta a tutti noi farlo diventare, finalmente, tempesta!
“La Sardegna quel cammino lo ha appena iniziato e deve continuare a percorrerlo tutti i giorni, partendo dalle piccole cose. Per questo il dibattito sull’indipendenza, al giorno d’oggi, è lunare e controproducente.’
“…siamo condannati a una sconfitta che porterà la Sardegna che oggi conosciamo a una progressiva estinzione e a una progressiva estirpazione delle sue radici culturali, sociali ed economiche.”
Murony ma dove vivi? T’ingrassi di paroloni ma dimostri di conoscere veramente poco il tessuto sociale sardo e indipendentista, probabilmente pensi di far parte di quel gruppo d’intellettuali che potrebbero dare una svolta al futuro della nostra isola, ma ad oggi con queste parole fai solo danni. Se non hai una chiara idea, facci una cortesia, taci! A si biri…
Accetto tutte le critiche. Ma difficile capire a cosa sono rivolte, se lei decontestualizza un passaggio che è invece molto chiaro, inserito nel l’ampio ragionamento.
Quindi lei può decontestualizzare mentre io no… lei prende (come tanti altri giornalisti) dei fatti e li strumentalizza a suo piacimento, a volte anche ragionevolmente (per dovere di cronaca) ma scrivere dei passaggi come quelli che ho riportato su dimostrano appunto che utilizza il movimento indipendentista facendo di tutta l’erba un fascio…c è gente seria che lavora per il bene della Sardegna e crede in ciò che fa, dovrebbe averne rispetto. Saluti
E va bene! A innantis! 😉
Ron Davies, allora segretario di stato per il Galles, definì l’indipendenza un processo, più che un unico evento circoscritto nel tempo. Appurato che non si stia ragionando della seconda eventualità, fintantoché le principali agenzie politiche in Sardegna saranno purtroppo le segreterie locali di partiti italiani che del loro operato rispondono a Roma piuttosto che ai sardi, e gli stessi partiti sardi (autonomisti, “sovranisti” e indipendentisti) disposti a rivendicare una nuova forza contrattuale con lo stato centrale permarranno nella loro debolezza strutturale per svariate ragioni, non ultima la frammentarietà ma non solo (alle ultime elezioni regionali insieme hanno ottenuto infatti un buon risultato, ma ciò non implica necessariamente che tale consistenza di voti si riproponga nella consistenza di un unico partito), anche il “processo” (di per se lungo e faticoso) volto a riacquistare nuovi strumenti di autogoverno nell’ottica dell’ “evento” risulterà in fase di stasi. La realtà scozzese è differente rispetto a quella sarda, laddove la prima pertocca un “nazionalismo civico” imperniato sulle istituzioni locali, la seconda uno di tipo culturale peraltro caratterizzato da dinamiche di subalternità e dall’alienazione plurisecolare dell’eterno suddito sardo nei confronti delle istituzioni locali, aventi spesso e volentieri il proprio baricentro spostato ora in continente iberico, ora in quello italiano. Forse potrebbe essere questo sentimento di sfiducia generale il motivo per cui, nonostante i più volte rivelati sentimenti autonomisti e indipendentisti, il cleavage centro-periferia in Sardegna stenta a trovare un proprio consolidato canale istituzionale attraverso un movimento ben strutturato, a differenza di altre realtà europee (in Corsica, per esempio, le formazioni nazionaliste erano fondamentalmente solo Femu a Corsica e Corsica Libera, distinte sotto il profilo programmatico e politico: si paragoni ciò all’abbastanza confusionaria situazione sarda), ma riesce a prendere maggiormente corpo in sfere di relazioni auto-organizzate della società civile che del potere non fanno oggetto di conquista, svolgendo piuttosto una funzione di stimolo e pressione nei confronti degli organismi rappresentativi (si pensi a varie agende politiche sardiste, con le quali anche gli attori politici unionisti sono costretti a confrontarsi: si pensi alle servitù militari, al referendum sardo sul nucleare, al nostro posto in Europa, etc.). Cun amistade.
Trovo rischioso mettere insieme in un ragionamento sostanzialmente condivisibile “pannelli fotovoltaici e pale eoliche” con scorie nucleari” e “industrie che nessun altro vuole”. Le prime sono un dovere civile e tutto il pianeta dovrebbe prendere decisioni politiche nella direzione delle energie alternative, sulle seconde tutti devono fare la loro parte, sardi, scozzesi e tutte le nazioni che beneficiano dei vantaggi delle industrie che nessuno vuole. E trovo argomentativamente discutibile anche indurre a considerare una conseguenza di questo, ciò che segue nel testo:
“C’è la concreta possibilità che nessun sardo, tra mezzo secolo, sappia più fare il formaggio, piantare e curare una vigna, condurre un oliveto o una piantagione di carciofi. Del resto la produzione di pomodori pelati – antica ricchezza del Campidano – è stata già spazzata via da una decina d’anni, senza che nessuno abbia provato a battere ciglio.”
Il caso che viene portato ad esempio mi risulta sia accaduto a prescindere dalle innovazioni in ambito di energia. Non è che se uno non ha un braccio allora è meglio tagliare anche l’altro. Si può incoraggiare la produzione agro-alimentare che è un bene enorme per il nostro territorio regionale (e più in generale per tutta Italia) e l’adozione di energia solare per la produzione di energia elettrica.
Questa riflessione la invio con nessun intento polemico, ma perché condivido le varie preoccupazioni esposte e la necessità di trovare soluzioni.
Grazie per il prezioso contributo.
La questione energia è complessa: io sono per un programma che porti alle emissioni zero e credo che la Sardegna possa – naturalmente – rappresentare un esempio nel mondo in proposito.
La mia ferma contrarietà – e quella di più di una Procura antimafia in Italia – alla speculazione sull’eolico è legata alle modalità con le quali in questo Paese si è normata la materia.
Il sistema degli incentivi ha portato a un proliferare spesso improduttivo degli impianti, senza che ai cittadini sia arrivato alcun effetto positivo da questo sostanzioso investimento finanziario, a forte impatto paesaggistico nell’immediato e ambientale (le torri hanno una vita di 20/25 anni e poi andranno “smaltite”) in futuro.
Se ne potrà riparlare. Coniugando energia pulita, etica e interesse pubblico.
Mettiamo le carte in tavola. La questione indipendenza è lunare? Bene, diamola per assodata. Alternative? Una: restare sotto l’ombrello italico. Ovvero, di uno stato nel quale siamo rappresentati da SUOI proconsoli, che seguono ed eseguono puntualmente ciò che viene deciso a Roma, non a Cagliari.
Dirai, colpa nostra che li votiamo. Verissimo. E colpa doppia perché non siamo in grado di esprimere una forza politica, e/o un movimento che coalizza risorse di idee diverse, da presentare all’elettorato sardo. Ma facciamo un gioco di fantasia, poniamo il caso che questo ipotetico movimento ci sia. E ottenga il cento per cento dei voti: il paradosso è necessario.
Ora, quali sarebbero le possibilità di una Regione governata da un movimento al cento per cento etnico o comunque di carattere fortemente locale, con altrettanta rappresentatività nel parlamento italiano? Zero. Per quanto possano essere interessanti numeri compatti e pieni di buona volontà, sarebbero loro contro tutti gli altri, nettamente in maggioranza. Vorrebbe dire perdere sempre ogni qualvolta dovesse capitare un voto necessario ai nostri interessi in contrapposizione ai loro interessi. Pessimista? Vista la famigerata clausola di supremazia nazionale, credo di poter dire che la loro visione della faccenda sia fin troppo chiara.
Chi decide cosa si fa in Sardegna? Lo stato italiano. Decide per le basi militari come per i piani industriali, decide per i trasporti come per il controllo del territorio. Decide di mandare nelle carceri locali tanti baronetti al 41 bis e nessun organo istituzionale sardo si può opporre.
Spero che nessuno sia così ingenuo da credere che “una Sardegna compatta e decisa riuscirebbe a farsi ascoltare da Roma…”. Pia illusione. Il solo sistema per decidere in casa propria, è decidere in casa propria. Con gli strumenti ovvii e naturali di chi può permettersi di decidere in casa propria.
Il compito al quale nessun sardo si dovrebbe sottrarre, è di immaginare una vera alternativa che si ponga due ordini di problemi: cosa serve veramente alla Sardegna e come fare per ottenerlo. Decenni, o secoli, di assoluta dipendenza da altri ci hanno insegnato soltanto a essere incapaci di pensarci senza vincoli con altri. E ad avere paura di un futuro senza l’Italia come senza Bruxelles o altro. Simon Mossa le cose le aveva viste con largo anticipo. Noi siamo ancora in ritardo.
Bisogna partire da pressuppostireali. Per anni si sono sentiti gli indipendentisti fare discrosi romantici, parlare di ideologie, di fantasie. La Sardegna è in una situazione socio-economica drammatica, non servono politici che non hanno contatto con la situazioen reale. Il mondo sta cambiando, si stanno preparando sfide difficilissime e la sardegna per decenni ha puntato tutto sull’assistenzialismo. ci vuole una svolta readicale fatta da gente che capisce le difficiltna e la concretezza necessaria.
Dipendenza. Dipendenza dall”Italia che dipende da Bruxelles , da Berlino, dagli USA, da accordi internazionali, finanziari, monetari, da lobbies, da multinazionali… Mostri, tentacoli che non hanno nemmeno più identità umana… U M A N I T A’.. Queste forme di potere non governano col buon senso del buon padre o della buona madre di famiglia! Ci tolgono diritti sanciti dalla Costituzione, ci imboniscono con l’informazione compiacente e ci svendono facendo accordi disumani e presentandoci il conto dei danni provocati dalla loro amministrazione, incapacità, corruzione L’Italia intera è in svendita, milioni di nuovi poveri, giovani, meno giovani… A chi giova la svendita dei nostri beni e diritti?
Una Sardegna unita sarebbe un grande esempio di cambiamento per l’Italia intera ed è proprio quello che non si vuole; ci dividono con “il gioco delle bandierine” di una politica che non difende veramente i nostri interessi , ci dividono dicendoci quello che non è possibile , che non è ragionevole, utile. E allora ci mettiamo a discutere sul come e perdiamo il filo…
Se invece riuscissimo ad immaginare insieme una strada senza ideologie dove prima di tutto ci fosse lo stare tutti uniti e vicini “dal basso”? Stare vicino alle persone, alle famiglie, a chi eroicamente difende un posto di lavoro, una piccola impresa..
Le persone veramente libere combattono a mani nude, con i propri limiti, complimenti a tutti noi che eroicamente siamo qui a dedicarci al sogno di un domani migliore. Uniamoci. Unire significa cambiare, unire tutti significa cambiare tutto. Unire la Sardegna è cambiare l’Italia. (Divide et impera)
Mi viene lo sconforto leggendovi perché se parlate, cioè ,scrivete di cose che capite meglio di me , in questo tono .Come posso mai permetermi una speranza di Sardegna più coraggisa e unita ,perche possa prendere consapevolezza che uniti potremo veramente librrarci dai lacci che ci stritolano.
Per parlare di indennità di un popolo ,bisogna avere una lingua ,una indennità e una storia condivisa .ora vi chiedo onestamente ,quali di queste cose sono patrimonio comune dei sardi? .usciamo da una visione non reale.in un post ho letto che tra una generazione perderemmo fette importanti di capacità produttiva,nel settore agropastorale.benedovremmo chiederci a cosa sono serviti i migliori (tanti,troppi) di euro elargiti serenamente da mamma regione.non si può finanziare attività a vuoto ,senza un perché.se quei soldi o parte di essi andavano a premiare la ricchezza prodotta forse adesso avremmo settori di eccellenze non poveri disperati
Personalmente credo che la maggioranza dei sardi sia consapevole della “diversità” della nostra cultura , il problema reale è scrollarsi di dosso il ” pocos, locos e desunidos” che ci portiamo dietro ormai da troppo tempo !. come fare? L’indipendentismo sardo, nelle persone che ci hanno provato non ha portato grandi risultati a parte qualche eccezione su alcuni temi, forse bisognerebbe istituire un gruppo di menti locali con particolari dotti sui vari argomenti e ragionare sul da farsi concretamente nei vari passaggi , per definire un programma di autogestione politica,finanziaria,e culturale , e portarlo a conoscenza per creare un “mega dibattito” che convinca il popolo sardo che da soli possiamo farcela.!…
Facile da dire molto difficile da fare………Da dove iniziamo?
L’Isola nei millenni è sempre stata abitata da un popolo coeso, un luogo vasto che contiene moltissime tracce delle passate culture, i siti ipogei, i nuraghi, le tombe dei giganti e i pozzi sacri che hanno caratterizzato i luoghi abitati e venerati da tutto il popolo sardo in diverse epoche; i reperti che ammiriamo nei musei ci fanno capire che l’utilità e le forme degli utensili erano sempre impreziositi da segni e ornamenti che ancora ci uniscono in un passato comune e condiviso nelle pratiche costruttive e artistiche, i bronzetti sono così accurati da chiederci come mai non abbiano rappresentato tutti i Giganti di Monte Prana. Se ora di colpo sparissimo, per una guerra simulata un po’ eccessiva, per un disastro nucleare provocato dai depositi male progettati e peggio costruiti, per una meteorite, per un maremoto, per le epidemie o per le mitiche scie chimiche … cosa rimarrebbe della nostra era, quali saranno le tracce socio ecconomiche e culturali del popolo sardo del nostro tempo? Nel futuro, il nuovo popolo sardo troverà i resti del terzo millennio d.C., la scarsa cultura unitaria, caratterizzata per lo più da case malsane, diranno che fummo incapaci di progettare senza tenere conto degli eventi naturali: il sole, il suolo, l’acqua e l’energia; immobili costruiti con materiali per lo più importati e molto più costosi di ciò che avrebbero potuto utilizzare con i prodotti del luogo; verificheranno che utilizzavano macchine e utensili non sardi, usavano combustibili importati, perché incapaci di gestire l’energia naturale abbondante ma non utilizzabile dai sardi che ai quei tempi erano sicuramente disuniti perché in alcuni luoghi ritroveranno edifici ecocompatibili a zero consumo energetico. Furono incapaci di autodeterminare le scelte energetiche per la mancanza di una visione oltre il contingente; i futuri ricercatori andranno a visitare i siti industriali che furono improduttivi e abbandonati ad un degrado inesorabile prima della scomparsa di un popolo che si dimostrerà di essere stato colto ed in possesso di competenze e conoscenze tecniche avanzate ed in alcuni casi, per circa 60 anni, dai resti trovati si potrà ritenere che fu addirittura detentore e promotore di nuovi processi industriali, come lo fu anche per il settore minerario e metallifero, che i ricercatori si chiederanno come mai nonostante la cultura e le competenze non fecero le opportune bonifiche ma si limitarono ad abbandonare quei siti per aggredirne altri prima destinati alla produzione alimentare per poi trasformali in zone commerciali colme di prodotti che arrivavano da tutte le parti del mondo o in zone di trasformazione energetica troppo lontane dagli utilizzatori. Gli analisti del futuro avranno e disposizione banche dati su server in altre parti del mondo e studieranno i nostri comportamenti e la nostra economia cercando di capire come mai un intero popolo vivesse in ristrettezza economica pur avendo a disposizione moltissime richezze naturali che facevano sfruttare ad altri; troveranno linee di collegamenti interni non adatte agli spostamenti più celeri ed economici di uomini e cose; troveranno i resti di magnifiche residenze progettate e costruite da genti provenienti da altri continenti e quindi si dimostrerà che il popolo sardo era orgoglioso della passata identità ma inclusivo e molto generoso nei confronti di chi arrivava in Sardegna per piccoli periodi e poi ripartiva più ricco di prima. Gli storici del futuro scriveranno che la Sardegna fu sempre abitata fin dai tempi della preistoria con diversi periodi di splendore e di esclusiva bellezza e unicità mel mondo, ma che tra il secondo e il terzo millennio si è uniformata globalizzandosi alle più brutte pratiche costruttive e alle pessime strutture sociali che l’uomo potesse realizzare.
vivo in sardegna da 39 anni dopo aver abbandonato le ipersviluppate aree del ricco basso varesotto…. vivo di apicoltura nel sarrabus dove ho con la mia famiglia un azienda agricola…….sinceramente tutto questo disastro social -politico della sardegna io non lo vedo…….i paesi disastrati sono quelli che si sono tanto sviluppati da rendere per tanti motivi il loro territorio invivibile…..la sardegna è un paradiso……..abbiamo mari e monti……provate ad andare al nord a fare per lavorare un ora di coda al mattino e una alla sera…..oppure a vivere in un area chiamata il triangolo della morte……(milano como varese)…perchè ha il record diei tumori in italia….oppure vicino a Malpensa-airport……con un jet ogni tre minuti……….UNA COSA SOLA NON VA BENE…..GLI INCENDI……….il resto si può mettere a posto…….
Bravo Giuseppe Pelosi, hai fatto vedere che c’è di peggio della Sardegna, molto peggio. I Sardi sono incontentabili, non guardano al molto che hanno, sono egoisti, invidiosi, livorosi. Gli incendi? Sono loro che li provocano,si emancipassero e fossero meno medievali, sarebbe un gran passo verso la civiltà.
Signor MURONI, potrei anche condividere il suo pensiero sull’indipendenza e autonomia. Ma lei esordisce con il suo cavallo di battaglia sulle basi militari. Sarebbe più opportuno lei direbbe che non è il suo ruolo, un dibattito serio e costruttivo da parte di chi pensa a chiudere senza neanche aver pensato ad alternativa, magari anche semiseria, invece zero. Il problema è uno..è già accaduto come lei dice, con i pomodori e il grano, adessadesso il deserto ed un economia sarda oramai schiava delle importazioni. Non ci faccia vedere tutto negativo, perché non lo è. Anzi lei avrà certo conoscenze politiche che potrebbero attivarsi seriamente per migliorare questa situazione sociale, economica e politica in cui versa la nostra Isola, ma che ahimè loro hanno creato. Saluto