Quanti tra coloro che leggono ricordano un solo programma di informazione, un documentario o qualsiasi altra trasmissione in cui la Rai ha presentato in modo non denigratorio la questione della lingua, che è per l’isola un tema capitale? Mai, per ciò che mi riguarda.

Abbondano al contrario gli esempi inversi, in cui l’idioma nazionale del popolo sardo viene irriso ovvero ridotto al rango di dialetto (anche se non si capisce esattamente di quale lingua). L’ultimo episodio della lunghissima serie ha visto come protagonista qualche settimana fa Corrado Augias, che si è scagliato istericamente contro la co-conduttrice del programma di Raitre Quante Storie Michela Murgia, rea ai suoi occhi di aver osato paragonare la lingua sarda a quella catalana.

E ancora, quando mai il servizio pubblico radiotelevisivo si è degnato di dedicare alla festa di S.Efisio, che è oggettivamente una delle processioni religiose più belle e importanti per lo meno d’Europa, anche solo dieci secondi, in una qualsiasi delle edizioni nazionali dei suoi telegiornali negli ultimi decenni? Ve lo dico io: mai, anche in questo caso.

Ma lo stesso discorso può valere allorché si devono presentare gli indicatori socio-economici o quelli politici che descrivono platealmente un’isola nettamente distinta dall’ex Regno delle due Sicilie, al punto da far venir meno in un sol colpo l’altro luogo comune di una Sardegna lontana e spopolata appendice del Mezzogiorno italiano. In questo caso, le rare volte in cui il tema non può essere omesso se ne parla ma minimizzandolo quale frutto di una non ben specificata anomalia sarda.

Quasi sempre inoltre la Barbagia è presentata come regione intrinsecamente violenta e criminale e nello stesso tempo quasi sempre si omette di evidenziare l’altra faccia della medaglia, per cui proprio la provincia di Nùoro registra uno dei tassi di delittuosità più bassi d’Italia, come annualmente riportato da “il sole 24 ore”. Ovviamente questo è accaduto anche con il brutto servizio del giornalista del Tg1 Zucchini, chiamato dal direttore della testata Orfeo a raccontare i luoghi del giro d’Italia (già, peccato che Orgosolo fosse lontana decine di chilometri dal suo percorso).

La verità è che è impossibile per il giornalista o il presentatore, specie del servizio pubblico, scendere a patti da una parte con il diritto-dovere di informare in modo corretto e imparziale e dall’altro con la necessità di rompere l’insuperabile taboo dell’irriducubile non italianità della prima minoranza linguistica dello Stato per numero di parlanti. Il modo più semplice per risolvere l’aporia è evidentemente quello di ricorrere ai registri negativi, per cui si riconosce l‘alterità della Sardegna ma lo si fa solo e sistematicamente in chiave folklorica, cupa ovvero grottesca e questo comporta immancabilmente lo scivolare nei più frusti e francamente penosi luogo comuni. E’ evidente che di tutto questo la collettività nazionale sarda ha le scatole piene.

Sarà benvenuto il giorno in cui la Sardegna potrà essere presentata senza i filtri distorcenti del nazionalismo italico, ma onestamente è meglio non farsi troppe illusioni.

E se, come verosimilmente accadrà, lo schieramento identitario riuscirà a conquistare la maggioranza dei voti
alle prossime regionali, quando per Vespa e gli altri si tratterà di presentarne i risultati, ne sentiremo delle belle.