Il 29 novembre prossimo ricorre il 169° anniversario della Fusione Perfetta della Sardegna con gli stati sabaudi di terraferma; mentre il 4 dicembre successivo, se malauguratamente vincesse il Si, potremmo assistere alla Fusione Finale dell’Isola con lo Stato italiano.
Ebbene, io ritrovo in queste due “Fusioni” – mutatis mutandis – curiose e sorprendenti analogie.
1. Le modalità.
SI è scritto che siano stati i Sardi stessi a rinunciare al Parlamento. Si tratta di una grossa balla: a chiedere la Fusione il 29 novembre 1749, con la rinuncia quindi all’indipendenza nazionale, che aragonesi e spagnoli avevano secolarmente rispettato (Girolamo Sotgiu), furono singoli membri degli Stamenti di Cagliari e di Sassari, senza alcuna delega e rappresentatività né stamentaria né, tanto meno, popolare.
Il Parlamento neppure si riunì. Tanto che Sergio Salvi, lo scrittore e storico fiorentino gran conoscitore di “cose sarde” ha parlato di “rapina giuridica”.
Potremmo parlare, per analogia, di rapina giuridica, o comunque di illegittimità, anche a proposito della approvazione della Riforma costituzionale, ad opera di una maggioranza parlamentare e governativa costituitasi in virtù di un “premio di maggioranza” bocciato dalla Corte costituzionale e dalla stessa dichiarato “incostituzionale”.
2. I soggetti sostenitori.
I più interessati alla Fusione del 1847 sono la nobiltà ex feudale, i ceti mercantili la borghesia impiegatizia e la borghesia intellettuale, studenti, letterati, uomini delle professioni.
Per la ex nobiltà feudale, la conservazione delle vecchie istituzioni non aveva alcun interesse perché la possibilità di conservare un peso politico era ormai data soltanto dalle posizioni da conquistare nelle istituzioni militari e civili del regno sabaudo e dalla conservazione di una forza economica fondata non più tanto sul possesso della terra, quanto delle cartelle del debito pubblico, e «le cedole di Sardegna – come scrive lo storico piemontese Baudi di Vesme – colla riunione delle due finanze [avrebbero acquistato] il dieci e più per cento di valore commerciale, ed il capitale che dava cinque lire di entrata, e [che si vendeva ] a lire 108 sarebbe immediatamente salito alle 120 e più».
Per la borghesia imprenditoriale e in particolare per i commercianti, l’unione col Piemonte significava allargamento del mercato, tanto più che uno dei progetti intorno ai quali lavorava la diplomazia piemontese, era quello di un’unione doganale con gli altri Stati della penisola.
Per la borghesia intellettuale, che aveva trovato rifugio negli impieghi dello Stato e che vivevano nell’angoscia di non vedersi più pagare gli stipendi come già era accaduto o di vederseli pagare in carta moneta che aveva «in commercio un valore reale assai minore di quello nominale», la rinuncia alle istituzioni del Regnum Sardiniae voleva dire perciò certezza dello stipendio, un probabile aumento del reddito – perché più alte erano le remunerazioni della burocrazia piemontese – e anche una possibilità di accedere ai gradi più elevati dell’amministrazione dello Stato.
Quanto agli studenti, agli uomini delle professioni, ai letterati, che furono coloro che più visibilmente si trovarono alla testa delle manifestazioni, su di essi agivano fortemente le idee liberali che circolavano nella penisola.
Si tratta – come ognuno può avvedersi – di soggetti esclusivamente urbani che daranno vita, a Cagliari e a Sassari nel 1877, a una serie di manifestazioni pro Fusione.
E la campagna? Segnatamente i contadini? Assenti o, addirittura contrari. Tanto che Giovanni Siotto Pintor scrive che nei giorni delle dimostrazioni “Moltissimi contadini di Teulada traevano a Cagliari credendo a una rivolta” per sostenerla e rafforzarla e che “cinquecento armati del vicino paese di Selargius stavano pronti a venire al primo avviso” e che “v’erano uomini di Aritzo, d’Orgosolo, di Fonni mandati per sapere se [c’era] mestieri d’aiuto nel qual caso [sarebbero venuti] otto centinaia di uomini armati”. Per la sarda rigenerazione dell’Angioy e una nuova cacciata dei Piemontesi, una nuova dì de s’acciappa e non per la Fusione.
E i sostenitori della Riforma costituzionale e, dunque della possibile nuova Fusione? Sono la Confindustria, Marchionne, le banche, la tecnocrazia europea, i grandi giornali italiani e non solo. Noto analogie anche su questo versante:o no?
3. Gli obiettivi (sperati e supposti)
La speranza era quella che all’interno della lega doganale italiana fosse favorita la libertà commerciale, sia nelle esportazioni che nelle importazioni, senza pagare dogana. Si sperava inoltre in una maggiore libertà di stampa, nella limitazione del potere ecclesiastico e di polizia. E in una serie di riforme ispirate al liberalismo che si diffondeva in Italia come in Europa.
E gli obiettivi della Riforma costituzionale di Renzi? Parlo di quelli annunciati, supposti e promessi, naturalmente. Eccoli: uno Stato più leggero,con meno burocrazia e meno costi; processi legislativi più rapidi; semplificazione del rapporto fra Stato e Regioni con l’eliminazione delle cosiddette “competenze concorrenti”, e, addirittura, maggiore partecipazione dei cittadini.
4. La realtà
La realtà, dopo la Fusione del ‘47, fu ben altra, rispetto alle magnifiche e progressive sorti annunciate e sperate: aggravamento fiscale e maggiore repressione: lo stato d’assedio che, subito la Fusione, divenne sistema di governo prima con Alberto la Marmora (1849) poi con il generale Durando (1852): alla faccia del liberalismo e dell’attenuazione della repressione!
Fu esteso anche ai sardi il servizio militare obbligatorio. Furono assegnate allo Stato le risorse del sottosuolo e dunque le miniere: il provvedimento legislativo (8 settembre del 1948) andava incontro agli appetiti dei capitalisti italiani ed europei, cui le miniere stesse verranno date in concessione per farne un lucente business.
Gli stessi sostenitori della Fusione, subito dopo, ad iniziare da Giovanni Siotto-Pintor, parlarono di follia collettiva. E, riconoscendo l’errore: Errammo tutti, ebbe a dire lo stesso Siotto Pintor. Mentre Gianbattista Tuveri scrisse che dopo la fusione “La Sardegna era diventata una fattoria del Piemonte, misera e affamata di un governo senza cuore e senza cervello”.
E la realtà dopo l’eventuale malaugurata vittoria del Sì?
A mio parere, se vincesse il Si, l’elemento più funesto per noi Sardi sarà l’applicazione di questa normativa: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
Con questo, la Regione sarda, di fatto sarà sostanzialmente espropriata delle sue competenze e poteri, peraltro anemici ed esili. E così, senza discussioni e confronti, lo Stato, a prescindere dalla volontà della Sardegna e delle sue comunità, potrà decidere, ad libitum, di continuare a mantenere il nostro territorio occupato dalle Basi militari (anzi, potrà persino aumentarle!); trivellare, sventrare e devastare la nostra terra e il nostro mare; allocare il deposito unico nazionale delle scorie nucleari e l’aliga di mezzo mondo nella nostra Isola.
Si dirà: le Regioni speciali sono escluse dalla Riforma Costituzionale (almeno dal capo IV). E’ vero. Ma se vince il Si, con quale forza la Regione sarda si presenterà per discutere sulla “revisione” dello Statuto, prevista dall’art.39, comma 12? Con forza zero. Il Governo infatti obietterà: ma cosa volete? Il popolo ha deciso.
A mo’ di conclusione
Di qui la necessità che i sardi, in modo unitario e compatto, votino No, Tutto bene, allora, perché in questo modo difenderemo la Costituzione più bella del mondo? No. La Costituzione italiana ha senz’altro molti pregi, occorre però denunciare che in molti degli aspetti più positivi (es. art, 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…), semplicemente, non è stata attuata. Ma c’è di più: la sua “bontà” è gravemente inficiata da quell’illiberale, antidemocratico e liberticida articolo 5 riguardante la :“repubblica una e indivisibile”.
E il diritto dei popoli all’Autodeterminazione, previsto e garantito da tutte le leggi e convenzioni internazionali? Carta straccia. La Costituzione fa strame di questo diritto: non solo ledendolo e impedendolo, ma criminalizzando la stessa idea indipendentista.
Il popolo sardo, grazie alla sua storia e lingua, e alla sua precisa identità nazionale, ha diritto all’indipendenza. E dunque, a ragione, può rivendicare la Riforma dello Stato in senso federale, con la rottura e la disarticolazione dello stato unitario italiano, per dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui ciascuno possa anche rivendicare, magari attraverso un referendum, la secessione.
La controriforma di Renzi va nella direzione opposta: deprivandoci persino della limitata e debole Autonomia di cui è dotato lo Statuto sardo. Mi sorprende che qualche indipendentista non lo abbia capito e proponga il “Non voto”.
Complimenti, al suo confronto i contorsionisti del Cirque du Soleil sono artritici. Ne approfitto per un quesito su una questione ancora piu’ importante: secondo lei, Eleonora d’Arborea avrebbe fatto campagna per il si’ o per il no?
Quindi a suo parere, per analogia e coerenza, un’ipotetica costituzione di un’ipotetica Sardegna indipendente dovrebbe allo stesso modo lasciare la finestra aperta a possibili secessioni. O per meglio dire, non dovrebbe mai richiamare l’unita’ e l’indivisibilita’ della Sardegna ma permettere, scrivendolo nero su bianco, ad Alghero con la sua storia o alla Gallura ad esempio, di aspirare a una separazione. Giusto? Non mi si dica che qui il discorso non si applica perche’ i diritti di autodeterminazione sono universali. Io ho qualche perplessita’ su tutto questo.
Indiscutibile analisi storica di Francesco Casula. Ma ragionando su strategie di calcolo del SI e NO al referendum e sulla conseguenza futura dell’esito.
(Mi sorprende che qualche indipendentista non lo abbia capito e proponga il “Non voto).
1) Se il principio di liberazione ha un senso per il popolo (DICO POPOLO) Sardo non c’è non esiste ragione andare a votare da cittadino italiano.
2) Se per un Indipendentista sa Sardigna sua Natzione è una colonia sotto il giogo di roma, allo spoglio del referendum sa bene che vinca SI vinca NO la situazione non cambia, colonia seus e colonia abbarraus.
3) IL referendum, siamo di fronte a una responsabilità legata alla scelta che vincola il futuro di qui gli Indipendentisti devono fare i conti.
4) Partendo dal punto di vista che tutti i Sardi vogliono bene alla loro terra è un dato di fatto. Ma non tutti i Sardi sono indipendentisti e tantissimi si sentono italiani.
5) IL Sardo che si sente italiano, e fuori do ogni dubbio che andrà a votare un Si o un NO. Gli interessati al SI si presume siano dipendenti statali (sopratutto militari e truppe di occupazione residenti in Sardegna) per mantenersi il privilegio della busta paga a tempo indeterminato. Percentuale probabilmente altissima per il SI considerando che molti dei sostenitori del NO per ragione di immagine, dentro l’urna a voto segreto diventa un NO per puro interesse personale.
6) Ammesso e concesso che il voto dei Sardi, vinca il NO, il calcolo diventa nullo sull’esito di percentuale italiana.
7) Se la fusione perfetta del 1847 fu un vincolo scelto da tre persone, questo referendum costituzionale del 04/12/2016, qualsiasi verdetto esca dalle urne della Sardegna, diventerà una scelta da cittadini italiani che peserà per sempre sulla testa di tutti i Sardi. Una scelta che costringerà il popolo Sardo se ancora esiste a essere sottomessi alle servitù, ai vincoli e la RAGIONE dello Stato italiano. Non fattevi illusioni, questo referendum non è chiesto dai Sardi è voluto d’all’italia per la sua RAGIONE di STATO e non per favorire un popolo COLONIZZATO.
8) L’ASTENSIONE, serve almeno il 50+1% dei Sardi non presentarsi alle urne italiane, pur sapendo che siamo una colonia, che il non voto non viene riconosciuto come verdetto dallo stato invasore italiano. L’ASTENSIONE sarà comunque un chiaro segnale di AUTODETERMINATZIONE di popolo Sardo. L’ASTENSIONE è un arma, un verdetto che l’italia dovrà eternamente fare i conti e tenerlo presente.
9) IL 04/12/2016 no andes scegli l’ASTENSIONE PROsuBENIdeTOTTU so Sardos e de sa Sardigna = Sardigna NO ESTE italia A FORA s’italia dae sa Sardigna. Noi non siamo italiani non siamo mai stati e mai lo saremo. Si ses Sardu, andande a votare su referendum costituzionale italianu de su 04/12/2016 ses CUNDENNANDE su populu Sardu, fitzo e nepodes tuos a sa SOTOMISSIONE PERPETUA a s’italia.
10) Ogni uno di noi risponde alla propria coscienza che consegnerà alla storia del popolo Sardo se riuscirà a sopravvivere, o pure lo studieranno i futuri cittadini italiani che nasceranno in Sardegna regione insulare italiana. Un VERO Indipendentista; Mescamente si ti reputas Indipendentista, tenes obbligu morale dde DISCONNOSKERE s’italia. Andande a votare ses diventande COMPLICE, ses unu COLLABORATZIONISTA, ses ponende una frima ki CUNDENNA pro sempere su populu Sardu. Carissimu Francesco, eco pro ite unu Indipendentista PROsuBENIdeTOTTU so Sardos e de sa Sardigna non podede e non depede andare a votare unu referendum costituzionale italianu.
Parto da esprimere stima per il Prof. Casula. La sua analisi è molto dettagliata, ma, mi lascia perplesso. Perché dovremo votare questo referendum se i partiti italiani non s’impegnano a dare quella riforma federalista seria che consenta alla Sardegna di affrontare il voto con un briciolo di dignità? D’altronde, la partecipazione al voto c’è sempre stata e i risultati hanno casomai rafforzato la “fusione” perché partecipando siamo parte dello stato. Nessuno degli schieramenti ha speso una parola sulla nostra specificità e la Sardegna è Italia anche per il fronte del NO. Ritengo esista un solo modo perché i sardi possano votare dignitosamente a questo referendum, che nella riforma della costituzione, che ormai è certo si farà, se non ora, a breve, si preveda il riconoscimento della specificità sarda con impegni seri, profondi e certi.
Grazie per i riferimenti storici, ritengo siano fondamentali per analizzare al meglio i futuri scenari per il Si e per il No alla condivisione di una Legge di Revisione Costituzionale e la succube accettazione di scelte altrui per chi non andrà a votare.
Dalla Fusione degli Statamenti del Regno Sardo con la Corte del Ducato Sabaudo per fonderli in un’unico Regno Sardo Piemontese, alcuni referenti del Popolo Sardo, i porta voce delle istanze liberali di Cagliari e Sassari, portarono il Popolo Sardo alla perdita del proprio autogoverno ed identità regionale decisa dai pochi rinnovatori, non contenti e non capaci di elaborare loro stessi una migliore Politica di autogoverno, che allora decisero per un’intero popolo, per lo sfruttamento delle proprie risorse, minerarie, agricole e forestali, da parte di altri che non fossero sardi; per l’imposizione, il controllo e la gestione delle tasse sempre più esose per un popolo già stremato dalle precedenti opressioni; per l’obbligo al servizio militare che segnerà la morte di tantissimi sardi per occupare terre lontane dalla Sardegna; per l’incremento del controllo poliziesco e militare che porterà all’eccidio dei minatori di Bugerru che protestavano per il duro lavoro dei turni massacranti e le paghe misere per trasportare il carbone e i minerali in altre terre lontane che si arricchivano per lo sfruttamento delle risorse e dei lavoratori sardi. Con il prossimo SI, vi sarà la perdita di un’autonomia che i legislatori sardi non sono in grado di gestire, ora come allora; le Istituzioni Legislative Nazionali chiederanno ai due rappresentanti degli Enti Locali Regionali Sardi di decidere per tutto il Popolo e il territorio Sardo, ora come allora; gli attuali e i futuri Governanti Nazionali decideranno sulle risorse e sulle destinazioni di vasti territori della Sardegna, ora come allora. Il Popolo Sardo era pronto a prendere le armi per difendere la propria autonomia ma i due governanti sardi non argomentarono le scelte di Fusione Sardo-Sabauda con tutti gli altri governanti Sardi, due per tutti, ora come allora. Quando i Parlamentari Sardi provarono a perorare le proposte sarde per migliorare la vita del Popolo Sardo non vennero ascoltati, ho paura che sarà ripetuto nel futuro ciò che fu allora; il Popolo Sardo voleva intervenire anche e sopratutto con le armi contro gli usurpatori della propria autonomia, oggi non è come allora, le mie armi sono il Voto, è un mio potere cosciente e voterò NO alla sottomissione della Regione Autonoma Sarda, che è Regione d’Europa per Accordi sovranazionali e per Costituzione Italiana. Chiederò maggiore preparazione e coscienza e chi si presenterà alle prossime elezioni siano esse Amministrative o Politiche.
Le analogia riguardanti de due “fusioni” come le definisce il prof. Casula possono essere considerate curiose e sorprendenti ma sicuramente non sono ipotetiche. Succede frequentemente che le menti illuminate in qualsiasi periodo storico si incarichino di prendere decisioni che riguardano il popolo tutto di cui credono di incarnare la coscienza. Penso però che questo non sia sempre vero perché incarnare il sentimento del popolo significa conoscerlo prima profondamente per interpretarne lo spirito. E’ evidente, come dice il prof. Casula, che nel caso della legge di modifica della Costituzione della Repubblica ci sia stata l’approvazione, che viene proposta al vaglio del referendum, da parte di contemporanee menti illuminate facenti parte di un Parlamento peraltro screditato dalla stessa Corte Costituzionale. Il no alle domande del quesito referendario sicuramente non modificherà le insufficienze dell’attuale Carta ma sicuramente porrò un problema di rappresentanza alla cosiddetta classe di menti illuminate. Poi, se i cittadini prenderanno coscienza delle proprie virtù e delle proprie capacità troveranno il modo per riscrivere la Carta nei punti carenti diritto all’autodeterminazione compreso.