Da domani, finalmente, i sondaggi sull’esito del prossimo referendum costituzionale di inizio dicembre saranno vietati.

La campagna elettorale proseguirà in TV, nelle piazze, sui social, nelle assemblee. Queste ultime hanno rappresentato la novità più bella, rispetto al recente passato. Una parte del Paese – e di Sardegna – ha ritrovato la voglia di impegnarsi, di mobilitarsi, di informarsi e – vivaddio – di scontrarsi.

C’è, però, anche una consistente parte della società che rappresenta l’opposto della medaglia: non sa che si vota e, nel caso, per cosa. E molti di quelli che lo sanno non sono né interessati a votare, né si lasceranno convincere a farlo.

Se pensiamo che alle Regionali 2013, in Sardegna, quasi un elettore su due non ha votato, il quadro inizia a diventare nitido ed è possibile azzardare qualche previsione, pur senza inoltrarsi nella accidentata strada dei commenti sui sondaggi o, peggio (lo dico a futura memoria), sugli exit poll della notte del 4 dicembre.

Dicevo, in base allo “storico” e alle tendenze, nonostante la crescente mobilitazione degli “interessati” al voto, alla riforma e ai suoi effetti, è lecito prevedere che l’affluenza su base universale si attesterà tra il 45% e il 50%, mentre in Sardegna potrebbe non arrivare al 40.

Questo significa che, a prescindere dal successo del Sì o del No, nell’Isola la forbice a favore di chi è contrario alla riforma sarà più ampia.

Dunque, la partita di Renzi si gioca sul l’affluenza e sul paziente lavoro che, attraverso i suoi spot televisivi (pubblicità o interviste da Giletti o dalla D’Urso, pari sono), da settimane sta facendo sul popolo dei silenziosi, dei non schierati o ideologizzati: quegli elettori che, col maggioritario, da tempo decidono – spostandosi volta per volta, senza mai distanziarsi troppo dal “centro” – molti appuntamenti elettorali in Italia.

Va da sé che i sostenitori del No dovrebbero, in queste ultime due settimane, adottare contromisure in questo senso. Chi va alle assemblee ha già deciso come votare: il suo compito dovrebbe essere poi quello di parlare delle sue ragioni in famiglia, con gli amici, al lavoro, al bar.

Fin qui le previsioni politologiche e i consigli metodologici.

Confesso che – pur essendo civicamente schierato a favore del No e sperando fortemente che questa riforma pasticciata non venga approvata – sono molto più preoccupato dall’esistenza di un così ampio fronte di disinteressati, disimpegnati e non interessabili. Con percentuali amplissime tra giovani e giovanissimi, nelle periferie urbane e nei paesi più volte traditi, in cui l’eco della buona politica giunge vuoto e stanco.

C’è da preoccuparsi, perché per la reazione che occorre produrre in Sardegna per cercare un riscatto “possibile” servirebbe una gigantesca onda motivazionale, capace di coinvolgere e scuotere tutti.

Un’onda motivazionale capace di travolgere le delusioni, il mancato coinvolgimento, i tradimenti e le “distrazioni” imposte da un sistema che educa al disinteresse e alla delega.

C’è un gigantesco lavoro culturale da fare, riempiendosi le mani di terra e sudore, incontrando persone vere e condividendo con loro i problemi, le aspettative e le soluzioni.