(Per leggere l’articolo in italiano cliccare sulla bandierina in alto e selezionare il tricolore)
++ la versione in lingua sarda è in fase di elaborazione ++
(Per leggere l’articolo in italiano cliccare sulla bandierina in alto e selezionare il tricolore)
++ la versione in lingua sarda è in fase di elaborazione ++
Carlo Poddi says:
Giampaolo Pisu says:
Intellettuali coloro che marginalizzato la lingua sarda? Persone che si atteggiano da intellettuali, ma non certo intellettuali.
L’intellettuale mira a risvegliare le menti, prende posizioni scomode e minoritarie perché giuste e meritevoli.
Colui il quale pensa che per elevarsi dal popolo sia necessario sgravarsi della lingua del popolo stesso, e non invece badare alla sostanza del discorso che esprime, è un finto intellettuale. È un mitomane della propria capacità cognitiva. È un simulatore del proprio quoziente intellettivo. Quindi non chiamamoli intellettuali, al limite pseudo-intellettuali.
È ora che gli intellettuali veri escano allo scoperto, smascherino senza pietà questi individui autocelebrativi e asserviti al conformismo imposto da fuori, e si crei quella “elite culturale” che funga da guida vera per il popolo.
Ci vorrà tempo prima che il popolo si abiti al fatto che non basta parlare italiano per potersi considerare intellettuale (la sindrome del medico di paese, del maresciallo dei carabinieri e del parroco che parlano italiano e non sardo, è dura da estirpare) ma alla lunga la sostanza avrà il sopravvento sull’apparenza.
Anche perché il sardo alla fine si stanca degli atteggiamenti da “poberos e balciados”. Orsú, intellettuali sardi “veri”, pesade sa conca. E fate sistema…
Che sconforto! Ancora ad invocare gli intellettuali o sedicenti.
La nostra lingua (come scrive giustamente l’autore di questo articolo) precede non solo l’italiano che oggi ci insegnano a scuola, ma evidentemente anche il latino di parecchi secoli!
Questa lingua così antica è sopravvissuta nei millenni, ma dall’inizio del ‘900 un attacco mortale le è stato mosso proprio con il supporto di quegli stessi intellettuali (sedicenti) banderuola (a seconda del vento-regime): il regime fascista prima e successivamente la sinistra giacobina che (dopo la caduta del primo) ha iniziato il suo dominio incontrastato della scuola, università e sistema educativo in genere. Sono proprio loro quelli che dileggiavano e punivano a scuola chi parlava in lingua sarda, prescrivevano ai nostri padri e nonni di non parlare il sardo in casa ai figli, che hanno vietato le funzioni religiose in sardo, oltre a bandirlo da qualsiasi altro ufficio pubblico.
Non abbiamo bisogno di intellettuali o sedicenti per capire questo, né politicamente contano alcunché essendo più peso che valore e facendo allontanare molto più che attrarre. Ma certo, loro racconteranno che gli vengono i brividi quando sentono certi discorsi in un bar ….. e che brividi a sentire certi discorsi delle persone comuni!
Saluti
Apartheid… niente di meno ! I Sardi devono parlare in famiglia, in paese, in città, ovunque e scrivere (se ne hanno la voglia) in SARDO. Se non lo sanno, meglio che l’imparano con i loro figli senza perdere tempo. Chi scriva e ha voglia di essere pubblicato si confronterà col mondo del edizione. Non per quello ciò che scriva piacerà, normale. Grazie amico virtuale Devias di paragonare Bilbao a Gavoi ! La nostra paza (paggia come direbbe un Olianese crescerà 😉). Una domanda perversa : Esista oggi pubblicata nel 2017 una Letteratura Sarda in lingua Sarda di qualità ? A Gavoi la nostra associazione ha fatto le sue scelte di programma. Può essere migliorata. Da 14 anni dei nostri soci fondatori si pongono il problema di inserire scrittori che scrivano in Sardi. Mi pongo il problema anche io… n.b. a Gavoi non ci sono “Premi”! Non mi risulta neanche libri publicati a conto d’autore…
Evviva Casula, evviva Devias, evviva Muroni, evviva il Festival di Gavoi !
Bravo Devias. Il sarcasmo peloso di alcuni commentatori ha infastidito anche noi.L’intervento che più ci ha sorpreso è stato quello della scrittrice sarda Michela Murgia.
Con un suo post su facebook la scrittrice sarda polemizza con chi vorrebbe definire “letteratura sarda” soltanto quella scritta in sardo, e scrive: «Se qualcuno dicesse che Antine Nivola non è uno scultore sardo perché invece del biancone di Orosei ha usato il marmo di Carrara gli rideremmo in faccia. Se qualcuno insinuasse che Fabio Aru non è un ciclista sardo perché la sua bicicletta è fatta in Canada e non a San Gavino, tutti penseremmo che è un’idiozia». (https://www.facebook.com/kelleddamurgia/posts/10211674658796361).
Nessuno però afferma, né potrebbe farlo, che Michela Murgia non sia una scrittrice sarda. Si discute piuttosto se sia giusto o meno classificare come “letteratura sarda” non soltanto i libri scritti in sardo, ma anche i libri scritti dagli scrittori sardi in italiano. Considerando quindi la lingua con la quale i libri sono scritti e non il sangue più o meno puro, più o meno sardo che scorre nei polsi di chi scrive. Non si pretende quindi, come Murgia lascia intendere ai suoi lettori, di assegnare delle “patenti di sardità” agli scrittori sardi. Pertanto, quella operata da Murgia risulta essere una “reductio ad Hitlerum” (https://it.wikipedia.org/wiki/Reductio_ad_Hitlerum), confermata successivamente dalla scrittrice in un commento al suo post, in cui afferma che i suoi critici «applicherebbe(ro) uno ius sanguinis alla letteratura».
Anziché paragonare gli scrittori ai ciclisti e agli scultori, anziché considerare, ancorché implicitamente, come dei razzisti o, nel migliore dei casi, come folcloristici coloro i quali non sono d’accordo nel definire come “letteratura sarda” la letteratura scritta in italiano dagli scrittori sardi, Michela Murgia farebbe meglio a cercare di proporre delle analogie tra gli scrittori sardi e gli scrittori di altre nazioni senza stato, oppure tra gli scrittori sardi e quelli dei tanti paesi post-coloniali.
Anche lo slogan di un altro scrittore sardo, Marcello Fois: “non è che non ti invito perché scrivi in sardo, ma perché scrivi male”, ripreso da Murgia e altri, appare ingiusto, quasi violento, se non accompagnato da una riflessione sull’assenza del sardo dalla scuola italiana in Sardegna, sull’esclusione del sardo dallo spazio pubblico, sulla discriminazione subita dai sardoparlanti. Se Fois, Murgia e gli altri scrittori sardi, infatti, scrivono così bene in italiano è perché lo hanno appreso, obbligatoriamente, a scuola. E chi volesse scrivere altrettanto bene, ma in sardo? La risposta dei nostri scrittori è semplice quanto angosciante: vi rinunci, oppure continui a scrivere male.
I soliti discorsi ideologici. Cominciando dall’ideologia ‘lingua sarda’. La quale ancora non si è capito cosa sia effettivamente. E’ una delle varianti canonizzate dagli esperti in materia? Cioè, il logudorese o il campidanese. Lasciando ovviamente fuori il sassarese, il gallurese, catalano e tabarchino, i parlanti dei quali, si presume, non facciano parte della cultura sarda. Oppure la lingua sarda è una lingua astratta da ricondurre nella sua esternazione pratica in una delle varianti di cui sopra oppure in una variante della variante? Ma siamo ancora nel vago, perché chiarire uno di questi punti non porta ad un assoluto nulla. La verità è che la lingua sarda non è mai stata una lingua scritta. Neanche da chi, comunque scolarizzato, ne faceva un uso quotidiano. Lo è stata lingua scritta, secoli e secoli orsono, quando non esisteva nessuna lingua concorrente. Ergo l’italiano non esisteva ancora oppure gli spagnoli non erano ancora da queste parti. In questi decenni di scolarizzazione generalizzata, si è letto e si è scritto sempre in italiano. Anche la famose cartoline spedite a casa ai genitori, con cui si comunicava oralmente sempre e comunque in sardo. Arrivando quindi al punto, chi leggerebbe un’opera letteraria in sardo? E comunque, questa opera sarebbe uniformemente comprensibile alla generalità dei sardi?
Sempre sul pezzo Pier Franco. Grande
Sa chistione no est Gavoi, sa chistione est si a sos intelletuales sardos, lis interessat sa limba sarda o nono. Su problema est si sos intelletuales sardos, e sos chi lis ponent fatu a sa tzega, sentint o nono su dovere morale de contribuire a sarbare sa limba nostra, chi est fintzas s’issoro. Sa basìlica de Sacàrgia o de Santu Giuanne de Sinis non sunt tzertu sas prus bellas e magestuosas crèsias de su mundu, non possedint òperas de arte universales, ma sunt sas nostras. Si si arruinant, no ant a rapresentare una pèrdida manna pro su patrimòniu artìsticu mundiale, ma ant a rapresentare una ferta importante pro sa Sardigna. Gasi est pro sa limba, su patrimòniu immateriale prus importante chi tenimus; si iscumparit pagos si nd’ant a abigiare, su dannu no at a èssere mannu, ma at a èssere comente chi fartet un’isteddu in su chelu. Cada unu de nois devet defensare su patrimòniu nostru, e sos intelletuales cun prus impignu e atza.
Sa limba servit a cumprennere e a si achere a cumprennere, no est un’arma, no est una carta d’identidade, est solu unu mediu de comunicazione. Si mi cherjo acher a cumprenner bene dae unu sardu li aeddho in sardu, si est italianu li aeddho in italianu… si est inglesu in inglesu. B’est sa limba de sos affares, de s’iscentzia, de sa poesia. B’est sa limba de su coro, de sos sentimentos prufundos ed est sa limba de babbos nostros, su sardu, su sardu de viddha nostra, no un’ateru sardu. Ma si no noll’han imparada, sa limba de su coro est sa chi connoschimus de prus. Devimus seperare a canta zente cherimus faeddhare e ausare sa limba prus adatta e no est sempere su sardu, si sos chi deven ascurtare no lu cumprennene. Amamus sa limba nostra comente amamus sas raichinas, ma no amemas solu sa limba nostra, si custu servit a nos isolare imbetzes de nos allargare. Donzi cosa tenet sa casella sua e s’una no est inimica de s’atera. No si podet ragionare chene accusare, chene odiare, chene ischire ite veramente cherimus e cherimus narrere?
In Sardegna non è solo la lingua ad essere oggetto di marginalizzazione, anche il nostro cibo. Ricordo quando è venuto il presidente cinese Xi in visita in Sardegna, il
noto chef del Forte Village voleva preparare un primo piatto tipico della cucina sarda, malloreddus, ma l’ex presidente del Consiglio Renzi impose i paccheri di Gragnano.
Tornando al sardo,
lingua =potere. L’italiano è la lingua dominante. In Sardegna persiste la volontà , nonostante la legge sul bilinguismo,
di non usare o non far usare il sardo, spesso,per disprezzarlo, definito ‘dialetto’. Il problema è politico. Ci vuole una giunta regionale, un presidente, che mette fine a questa inerzia legislativa. Italiano e sardo devono essere sullo stesso piano giuridico e culturale.
Inoltre, propongo, come avviene in Alto Adige, la conoscenza obbligatoria della lingua sarda, scritta e orale,
per poter lavorare nella pubblica amministrazione della Sardegna.
Mi permetto di intervenire nel dibattito non tanto per aggiungere qualcosa in merito alla questione della lingua, per me fondante, ma per fornire un elemento di comprensione in più delle dinamiche che poi muovono festival come quello di Gavoi.
Qualche anno fa mi capitò di essere presente ad uno degli incontri del mattino, di quelli molto accaldati per intenderci e notai con meraviglia mista ad una sorta di sottilissimo orrore che le persone presenti fra il pubblico e nel palco bevevano acqua della nestlè. Immediatamente mi rivolsi ad uno degli organizzatori chiedendo come mai non avessero scelto di distribuire l’acqua del paese, evitando così l’uso della plastica, o se non fosse stato il caso di dar da bere acqua, si imbottigliata, ma almeno sarda. Inoltre chiesi se l’organizzazione fosse bene a conoscenza di cosa aveva fatto la multinazionale in Africa in passato, quando, costrinse le madri a usare il latte in polvere per allattare i propri bambini. l’interpellato mi rispose che non era quello il momento di discutere della cosa. Con grande dispiacere, non sono più tornato a Gavoi
il sardo è sempre quello che incendia il terreno del fratello o non va al festival di Gavoi perché nato a Macomer..
litighiamo e ci ammazziamo tra noi per la lingua, vento, cottura della pasta, fuoco, mare o amore.
Italiani dell’altrove: completamente d’accordo. Sono stupita dalle parole della Murgia e sì che lei, sulle metafore, dovrebbe andare forte!! Paragonare un elemento inanimato come una pietra o una bicicletta a una lingua viva, o meglio, vivacchiante, mi sembra assurdo. E dire che ad Augias aveva risposto piccata quando aveva messo in dubbio il “titolo” di lingua del sardo. Il sardo scritto esiste, è esistito ma, come ha detto giustamente il signore di Gavoi, non crea letteratura vendibile. Perché non c’è letteratura sarda contemporanea, si chiede “l’ingenuo” Fois. ILe case editrici sono aziende e devono vendere, si presenta uno scrittore in “limba”, con un libro che va capito, editato e poi messo in vendita. Chi vuole rischiare? Meglio ogni tanto fare una capatina in Sardegna, per sciacquare i panni nel Tirso e dare una patina di etnicita’ per i lettori oltre Tirreno. Come aveva capito il compianto Angioni, ci siamo ridotti a questo: a un ajo, a un eja folkloristici, per compiacere l’istranzu. Che dire: mettiamoci una pietra sopra che sia di Orosei, Carrara o nuragica.
congratulazioni francesco! hai superato te stesso avviando un processo che ci ha parmesso di vedere la spocchia della murgia. siamo al punto da doverle spiegare che per letteratura sarda si intendono scritti ( o tramandati oralmente i in sardo ( in qualunque delle sue varianti ) e non semplicemente scritti in altre lingue da persone nate o che vivono in sardegna. ! per gavoi come per sagre analoghe vale l’osservazione che se vogliono contribuire alla diffusione del parlare sardo ( in qualunque delle sue varianti ) farebbero bene a valorizzare quello che eiste in sardo e chiedere agli autori sardi che intendono partecipare, anche con opere in italiano, di partecipare ai dibattiti usando la loro lingua madre. ma vogliono questo ? murgia, però, con i suoi esempi ha il merito di avere, certo involontariamente , aperto la riflessione sulla distinzione fra cultura e lingua, vi può, infatti, essere un autore di cultura sarda e sardofono che scrive in italiano, ma così facendo non partecipa della letteratura sarda ma della cultura sarda, ( forse sarebbe meglio dire sardo-italica ). Probabilmente aru fa parte della cultura sarda, qualunque bici usi e a qualunque società sportiva appartenga e anche se fa dichiarazioni in italiano alla stampa. Ben più complesso il discorso su nivola che murgia riduce all’uso degli strumenti usati. Gli anni passati negli usa non sono stati poca cosa nella formazione della sua cultura. forse qui siamo in presenza di uno di quei casi in cui l’artista fa sintesi e diviene portatore di una cultura che va oltre il punto di partenza. forse in questo caso l’interpretazione deve rifarsi a ciò che nivola sente di essere e in quale cultura e società ha voluto collocare il proprio messaggio.