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++ la versione in lingua sarda è in fase di aggiornamento ++
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Vittorio Sechi says:
Carlo Poddi says:
condivido l’impostazione trattata fin qui al 1000 per mille…
Piantiamo questo seme, curiamo i germogli e le piantine con amore e pazienza, avremmo un raccolto rigoglioso ed abbondante… Fortza Paris!
Piantiamo questo seme, curiamo i germogli e le piantine con amore e pazienza, avremmo un raccolto rigoglioso ed abbondante… Fortza Paris!
Anthony, splendido articolo che condivido.Te lo chiedo ancora,che idea ti sei fatto della Zona Franca Integrale,ci aiuterebbe ad ottenere l’indipendenza. ( scusa l’invasione di campo). A Gigi- Le piante sono grandi e rigogliose, sono pronte a dare i loro frutti adesso.Abbiamo già pronto un raccolto rigoglioso e abbondante, il raccolto è pronto, ma la pazienza è finita, si ha bisogno di una svolta ora con urgenza. Una volta liberi in casa nostra, avremmo tutto il tempo di curare con amore e pazienza il nostro giardino Shardana. Fortza Paris.
Sinceramente e senza voler fare uno sgarbo a qualcuno, ma a me la questione sull’indipendenza della Sardegna non ha mai convinto. In primo luogo se penso al fabbisogno di materie prime, non vedo come una piccola isola del Mediterraneo con appena un milione, o poco più, di abitanti sia in grado di poter trattare un prezzo favorevole; non vedo una classe politica sarda veramente capace di governare in una condizione di autodeterminazione ed infine, parlo da europeista convinti, mi chiedo perché parlare di autodeterminazione in un momento storico in cui l’evoluzione va verso una maggiore unione, maggior integrazione, fra stati.
Permettetemi una provocazione: ma perchè il processo di europeizzazione spaventa così tanto? Perché tutto questo nazionalismo dilagante?
Io cercherei di completare l’attuazione dello Stato sardo per poter dire che siamo veramente una regione autonoma, ma questo processo dovrebbe ulteriormente evolversi verso una maggior coesione di stati e di popoli europei.
Il nazionalismo ha tante facce: c’è il nazionalismo italiano che annichilisce e tiene separata dal mondo la nostra nazione, o il nazionalismo “europeo” tedesco che usa la UE per trarre vantaggio a scapito delle altre nazioni dell’Unione, poi c’è il nazionalismo delle nazioni che subiscono politiche e scelte economiche e sociali contrari ai propri interessi e finalizzati agli interessi di un’altra nazione, un nazionalismo di liberazione, non di oppressione: questo è il nazionalismo sardo. Il nazionalismo sardo potrà riunirci al mondo e all’Europa come soggetto che sceglie per sé, il nazionalismo italiano ci tiene segregati e ci fa subire politiche per noi controproducenti. Il nazionalismo italiano è separatista, quello sardo si vuole aprire al mondo. Accusare di nazionalismo negativo gli indipendentisti sardi è come accusare uno schiavo che si voglia liberare di essere egoista.
Questi concetti, che derivano dallo studio della nostra storia passata e recente, e anche presente, agli indipendentisti appaiono acquisiti, non lo sono però per tanti sardi, complice una scuola che non insegna la nostra storia, non il passato ma, spesso, neanche il presente.
Belle note Raffaele! I miei complimenti per la chiarezza e soprattutto i concetti che esprimi (assolutamente fondamentali e da esplicitare sistematicamente).
Saluti
Bellissimo commento.
Ti rivolto la domanda: ma perché si fatica così tanto a immaginare una Sardegna indipendente e europea? Chi l’ha mai detto che indipendenza=isolazionismo? Perché una Sardegna indipendente non potrebbe comunicare con l’Europa da stato membro alla pari di cipro e Malta (da prendere come esempio anche per la questione materie prime) e col resto del mondo come uno stato sovrano?
Buongiorno Anthony
Mi piacerebbe che in un prossimo articolo sviluppassi il concetto che l’indipendenza passi attraverso l’attuazione completa dell’autonomia. Almeno credo che tu dica questo quando affermi: “Un passo decisivo verso l’autodeterminazione che deve guidarci a un’indipendenza che non sarà “separazione” anticostituzionale ma la giusta evoluzione di un processo storico inevitabile passa per la piena attuazione dell’Autonomia.”
Personalmente vedo questo percorso piuttosto tortuoso, un po’ come dire che per liberarci completamente dalle catene dovremmo prima mettere catene più leggere.
Trovo invece assolutamente importante il concetto che l’unità dei sardi passi attraverso la compattazione degli interessi dei vari settori della società sarda, che in maniera organica facciano gli interessi della nazione, interessi che spesso i partiti indipendentisti non riescono ad incanalare. Questo mi pare un buon punto di partenza per il futuro.
È lodevole l’impegno assunto nei confronti della comunità concernente la campagna di approfondimento avviata da qualche mese da Anthony Muroni, personaggio più credibile dei vari sacerdoti dell’indipendentismo presenti sull’isola e inadatti a qualsiasi ruolo diverso da quello del recitare messa.
Se si vuole acquisire un vero consenso non basta fare recriminazioni di ordine linguistico e cultura ma occorrerà affrontare le difficili tematiche in campo economico e istituzionale, sempre soprassedute dai religiosi sacerdoti dell’indipendentismo.
Se la nostra comunità fin’ora non ha dato credito all’indipendentismo non lo ha fatto perché non crede nell’autodeterminazione, ma perché non ha mai potuto vedere uno straccio di piano economico e istituzionale presentato da chi pretende di essere votato a “scatola chiusa”.
Non è più sufficiente parlare in astratto dell’ambiente e del rapporto con l’Europa per pretendere di poter aggregare il consenso intorno ad un progetto indipendentista, ma occorrerà spiegare come potranno i sardi utilizzare il territorio per se stessi e quali saranno i restringimenti futuri, Europa compresa, perché la partita si giocherà tutta qua.
Spero di avere risposte chiare ed esaustiva o quantomeno da ridiscutere insieme, per non cadere nella trappola partitica tradizionale in cui il ruolo dei politici è soli quello di acquisire privilegi personali e clientelari.
Insomma, la palla passa a chi ha un progetto da proporre: che lo spieghi esattamente, senza timore, perché le parole non dette possono diventare più pericolose di quelle errate.
Il consenso non lo si può ricercare esclusivamente tra i romantici e i rivoluzionari, ma nel mondo dell’imprenditoria e tra i giovani, visto che per i primi le speranze si sono ridotte al lumicino mentre per i secondi sono praticamente sparite.
Io credo che il tuo ruolo di diplomatico, possa consentire di trovare in tempi ragionevoli attraverso un manifesto condiviso, il comune denominatore per una proposta politica credibile al nostro popolo. Dove integrare, allargare, coinvolgere le masse negli obiettivi da raggiungere sia la fondamenta di ciò che si saprà trasmettere come visione futura. Io ds sempre sostengo inoltre, che ci si debba occupare maggiormente di politica estera. Non è pensabile ad esempio, che la Sardegna subisca i danni derivanti dagli embarghi voluti da USA, BRUXELLES E ROMA. Senza che noi non abbiamo una posizione in merito a tutto questo. Siamo un popolo, abbiamo una nazione; allora diciamo la nostra anche in politica estera e il mondo si accorgerà di noi. Al pari del sapersi esprimere in Inglese, ci proietta negli scenari dove le decisioni per noi le hanno prese esclusivamente negli uffici romani.
Mi piace quanto hai detto, non ho più l’età per scendere in campo al vostro fianco ma sicuramente io ci sarò
Leggo molta retorica e pochissimi fatti (a dispetto di quel che faceva presagire il titolo). Nel concreto che si fa? Che tipo di organizzazione dello stato si persegue? Quali percorsi nel campo dell’economia si possono intraprendere? Che tipo di relazione si vorrà avere con lo stato italiano una volta indipendenti?
Mi sembra che nell’indipendentismo ci si è purtroppo limitati a dire le solite belle ma ormai vuote parole riguardo ad una rinascita culturale. Non basta.
L’attento intervento di Andria mi ha convinto di non essere il solo a pensarla allo stesso modo, e a completare il ragionamento iniziato precedentemente.
Innanzitutto non capisco a cosa si riferisca il concetto di consumismo per la nostra società: forse la si voglia più morigerata, magari accontentandosi di quello che si ha, evitando l’ostentazione o alla competizione?
Non vorrei che, alla fine, il modello auspicato debba essere quello di stampo socialista, in cui tutti devono tenere un profilo più basso, magari per non irritare chi non ha ambizioni o chi voglia nasconderci l’intolleranza nei confronti dello sviluppo e del possibile arricchimento che invece qualcuno potrebbe raggiungere in una società più aperta e competitiva?
L’altro dubbio che mi assale è quello relativo al continuo citare l’ecosistema, quasi diventato l’arma con cui sfidare la politica italiana.
Non vorrei che tutto ciò nascondesse la volontà di blindare il nostro ecosistema a tal punto da privare noi stessi dal suo uso costruttivo, perché ciò significherebbe volerci chiudere in una enorme RISERVA INDIANA in cui impoverirci lentamente e vivere in un economia di sussistenza.
Sí, occorrerà dare risposte, sono tanti i dubbi che ci assalgono, specie quando, promuovendo la nuova (e necessaria) linea politica, intorno allo spendibile A. Muroni, si vedoni tanti indipendentisti-ambientalisti di stampo socialista…
Approfondire please…