Non sappiamo se Pigliaru ed Erriu – così come l’ultima Giunta di centrosinistra fece nel 2008 – abbiano deliberatamente deciso di cadere, sull’urbanistica, pochi mesi prima della scadenza naturale della legislatura.

Sappiamo, invece, che ogni mossa su quella materia sembra improntata all’autolesionismo che pare avere contrassegnato l’azione di un esecutivo che ha governato in aperto contrasto con la gran parte dei cittadini.

La nuova accelerazione – con le dichiarazioni surreali di Erriu, Soru, Solinas e compagnia sbagliante -, con la sostanziale chiusura al dialogo con vaste parti della società sarda, pare confermare un andazzo che non porterà niente di buono né a quel che resta del Pd, né alla Sardegna.

Il buon proposito di “governare il territorio” sembra dunque aver definitivamente lasciato spazio a uno strumento urbanistico che, in sostanza, con la motivazione di “allungare la stagione” e “aiutare le aziende turistiche” spiana – in concreto – la strada a una nuova maxi colata di cemento sulle coste della Sardegna.

La Regione sembra – fin qui – aver scelto la facile, e ingenua, via della comunicazione di “base”: parla alla pancia di muratori, progettisti e piccoli/medi imprenditori del settore edilizio e turistico, tacendo che il grosso delle deroghe, dei premi volumetrici, delle perequazioni e degli espropri di programmazione agli enti locali finirebbe per favorire sempre i soliti, pochissimi, noti.

Numeri alla mano, il comparto turistico sardo oggi non ha bisogno di nuovi posti letto, ma di virtuose politiche integrate per aumentare la percentuale di riempimento di quelli esistenti.

Non ha bisogno di nuovo cemento ma di marketing internazionale, trasporti (anche quelli interni) efficienti e a misura di turista, investimenti sui siti culturali da mettere in rete e su percorsi naturalistici riservati a una più ampia fascia di viaggiatori in cerca di esperienze.

Serve anche una manutenzione dell’esistente, un accordo ampio con le associazioni di categoria e gli ordini professionali per modernizzare il comparto delle costruzioni, indirizzandolo alle ristrutturazioni, all’efficientamento energetico, a una nuova cultura del bello, dell’armonico, del pulito. Le SPA e i centri congressi sono spesso solo il cavallo di Troia per accedere a nuove volumetrie e non fanno automaticamente rima con l’allungamento della stagione turistica.

I grossi hotel sulle coste, che pure sono tutti già dotati di centri benessere all’avanguardia, non aprono comunque prima di maggio e non chiudono mai dopo la fine di ottobre.

Qualcosa vorrà pur dire: e cioè che per allungare la stagione servono politiche ben più complesse e armoniche di una semplice autorizzazione edilizia.

La proposta di legge regionale ignora, ed esclude di fatto, uno sviluppo dell’economia Sarda nel settore dell’agroindustria.

Esclude la nascita, in futuro, di nuovi poli per l’allevamento di bovini da carne. Ignora il microcomparto enologico, non prevedendo la nascita di strutture al servizio delle cantine che stanno sorgendo come funghi – alcune in maniera virtuosa – in molte parti dell’Isola.

Cos’è una legge urbanistica, se non uno strumento tecnico al servizio di un’idea di governo?  Se la Giunta Pigliaru, come quella che l’ha preceduta, non ha un’idea su quella che deve essere la missione della Sardegna per i prossimi 20/25 anni, come può dotarsi di strumenti tecnici?

La legge urbanistica – come i piani energetici, commerciale, dei trasporti – deve essere al servizio di un progetto complessivo, basato su un’idea economica e sociale.

Prima di arrivare a questa “edilizia di precisione”, invitano le forze politiche a lavorare a un grande piano strategico che indichi una strada “possibile” per la Sardegna. Quale ruolo viene assegnato all’agricoltura, quale all’industria, quale ai servizi e quale al turismo?

Quali sono le Politiche per le infrastrutture, per l’inclusione sociale e per la lotta allo spopolamento: con quali risorse, in quali tempi e con quali strumenti si intende portarle avanti?

Un piano organico, come si fa nei Paesi civili, e non un disordinato bouquet di misure estemporanee, che sembrano rispondere più a interessi di pochi che non a un reale disegno di governo.