Lo sapevamo tutti, che sarebbe finita così.

Troppo alto il rischio che la mobilitazione nata due anni fa in Sardegna rendesse impossibile il rilascio dei permessi regionali. Meglio virare su Roma e aspettare che le cose, anche a Cagliari, si normalizzassero.

E infatti dagli uffici governativi pare sia arrivato il tanto atteso via libera, l’ennesimo schiaffo all’autonomia della Sardegna.

Per i più distratti, parliamo del progetto della Flumini Mannu Ltd,una società con sede tra Londra e Macomer (città che notoriamente intrecciano i propri affari e i rimbalzi delle rispettive Borse), portatrice di interessi su 270 ettari di Sardegna, nei quali vorrebbe realizzare un mega impianto termodinamico.

Poco importa che la società anglo-marghinese non abbia la disponibilità di tutti i terreni interessati. Per dar corpo ai suoi piani, sfruttando finalmente la campagna in maniera produttiva (sic), è sufficiente espropriare i lotti agli attuali proprietari, dei “pelandroni” che fanno i pastori, i contadini e i boscaioli.

In questo momento dovremmo tutti identificarci con la famiglia Cualbu, finita nel mirino esclusivamente perché pretende di poter restare sulle proprie fertili terre.

Pensate che sia una nostra provocazione? Ancora per i più disattenti, occorre ricordare che queste posizioni sono state messe nero su bianco, insieme ad altre legate all’antieconomicità di allevamento e agricoltura.

Perché non ci piace il piano della Flumini Mannu Ltd, e non ci piace nemmeno il progetto gemello approvato dal Ministero interessato?

A farci saltare sulla sedia non sono le volgarità rivolte ai pastori, e ai sardi in genere, quanto il signific delle sprezzanti affermazioni sul futuro a cui l’Isola dovrebbe vocarsi: siccome pastorizia e agricoltura (per come sono oggi declinate) non rendono, occorre rassegnarsi a diventare un’immensa piattaforma da destinare a depositi di spazzatura varia, a inceneritori, a campi eolici e fotovoltaici, a trivellazioni e via servendo.

Questa è l’idea di Sardegna che alcuni tecnici (peraltro isolani) e altrettanti investitori (per ora nascosti dietro società anonime con sede all’estero) hanno avuto il coraggio di mettere nero su bianco.

Se ci pensiamo bene, considerati gli ultimi vent’anni di amministrazione regionale, questa è l’unica proposta realmente in piedi.

Chi ci ha governato (o ci governa) non ci dà un’alternativa e non ha mai seriamente imboccato la strada di un modello di sviluppo sul quale investire e al quale dare gambe.

Fallita l’esperienza dell’ultima Rimascita, quando i contributi a pioggia sono serviti a ingrassare capitalisti arrivati dal Nord, politici a caccia di preferenze e sindacalisti in cerca di tessere facili, sul campo sono rimaste solo le macerie: pastorizia ferma al dopoguerra, comparto agricolo di qualità affidato all’eroismo di pochi autodidatti, cimiteri industriali e paesaggio offeso.

Dopo aver prodotto tanti danni – forti del fatto che nessuno ne ha chiesto conto nel modo dovuto – molti di quei poteri oggi tornano all’assalto.

La politica sarda che fa? Nicchia, abbozza, collabora o cerca di mettere una pezza sotto la spinta di un’opinione pubblica che pian piano sembra ribellarsi. Ma non ci propone un’alternativa virtuosa, investimenti finalizzati a mettere a sistema dei distretti agricoli moderni, capaci di interagire con gli allevamenti e con il comparto turistico.

Un qualcosa che è connaturato alla nostra storia, alla nostra natura, alla nostra identità e pian piano è stato estirpato da campagne altamente diseducative.

Siamo infestati da servitù materiali e mentali: l’assalto della Flumini Mannu – che occorre respingere recisamente – è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo.

La complicità e le omissioni di certa politica sono evidenti. Tocca a tutti noi reagire per evitare che trionfi un modello di sottosviluppo che riduca quest’Isola a piattaforma per affari di altri. Se fallissimo si dovrebbe avere il coraggio di restituire allo Stato la condizione di Regione autonoma, sostituendo la dicitura con “Colonia della Repubblica”.