Il referendum è ormai in archivio, con tutto quel che ne consegue.

Ci rimangono, assieme alla felicità per lo scampato pericolo, una serie di danni collaterali inevitabili: le rivendicazioni di quelli che credono di aver vinto loro (proprio solo loro), le dietrologie dei complottisti (ne è pieno sia tra le fila dei vincitori che tra quelle dei perdenti) e degli analfabeti politici, i disfattismi dei pessimisti (sinceri o interessati), le malignità di quelli che avevano o hanno un disegno per il futuro immediato ma non hanno la forza per praticarlo senza provare a tagliare le gambe a chi invece, avendolo, sembra godere di un certo seguito.

E, poi, naturalmente, ci sono le conseguenze normali e fisiologiche: la crisi politica alla Regione, che nei fatti da mesi, è inevitabilmente scoppiata dopo la fragorosa bocciatura dello scellerato patto Renzi-Pigliaru: hai voglia di dire che si votava per il referendum. Era così in tutta Italia. Ma se il dato nazionale del No è il 60% mentre in Sardegna si è arrivati al 73% io qualche domandina su quel che i sardi pensano del presidente della Regione me la farei.

Siccome non possiamo incidere sulla crisi politica in atto, che il Pd ha deciso di risolvere con un mero rimpasto e nessun cambiamento delle politiche fin qui messe in campo, io credo che sia necessario praticare il campo della concretezza e lanciare una serie di proposte da portare all’attenzione anzitutto del fronte delle opposizioni in Consiglio regionale, allargando poi il campo al ben più vasto mondo delle opposizioni presenti nella società sarda.

Oserei dire che sarebbe il caso di parlare con tutti i 600 mila e passa che hanno detto No al referendum, a Pigliaru e a Renzi.

Partendo dai Pubusa, dall’Anpi, dal comitato “BallacaNo”, dai comitati civici e da quelli dei movimenti identitari, arrivando fino ai giovani di Forza Italia, anch’essi coinvolti a pieno titolo nella battaglia democratica delle ultime settimane.

Le questioni sulle quali vorrei ragionare sono tre: Province, legge elettorale, riscrittura dello Statuto.

Province

Il risultato del referendum mette in sicurezza la sopravvivenza degli enti territoriali previsti dalla Costituzione e messi a rischio da una campagna populista che non ha prodotto risparmi ma la “distrazione” di circa 5 miliardi di euro – su base italiana – dal sistema dei territori a favore del bilancio dello Stato.

Le Province non sono state abolite ma è stato abolito solo il diritto dei cittadini a eleggerne gli amministratori. E, con esso e con la distrazione dei fondi, sono state fortemente ridimensionate le capacità di intervenire sulla gestione del patrimonio edilizio scolastico e sulla manutenzione dell’immenso patrimonio stradale e viario che a quegli enti faceva capo.

Quando ci dicevano (e ci dicono e ci diranno) che “le Province costano e sono una fonte di spreco” si dimenticano di dirci che le cifre snocciolate a sostegno di questa tesi riguardano solo in minima parte quelle destinate alla rappresentanza politica e democratica ma sono invece riferite alla montagna di competenze che erano e sono assegnate a quegli enti.

Dove voglio arrivare? Al fatto che la legge regionale sarda – resa intoccabile dal risultato del referendum – affianca alla Città metropolitana di Cagliari, altre quattro Province: sud Sardegna, Oristano, Nuoro e Sassari. Assegna loro delle funzioni e indica degli obiettivi.

Ma prevede modalità di elezione che sono plasticamente contrarie al risultato politico del referendum e all’aria che tira: i presidenti e gli amministratori provinciali, infatti, non saranno votati dai cittadini ma scelti tra gli amministratori comunali. Un po’ lo stesso principio che si voleva introdurre per l’abortito Senato delle Autonomie. Espropriare, cioè, i cittadini dalla possibilità di scegliere loro chi deve amministrare e con quali finalità.

Io credo che sia necessario discutere di questo, valutando la possibilità di chiedere al Consiglio regionale di esplorare una qualche forma di deroga autonomista alla sciagurata legge Delrio.

Non so quali possano essere i margini di manovra ma parlarne dimostrerebbe che la classe politica non è sorda su segnali che arrivano dalla società.

Legge elettorale

Non credo che il tema della revisione dell’obbrobrio partorito nella scorsa legislatura da Pdl e Pd sia più rinviabile.

Il Consiglio regionale ha il dovere di calendarizzare, nell’immediato, la discussione su una nuova legge elettorale che sia realmente rappresentativa di tutte le istanze della società sarda (compresa la rappresentanza di genere), che favorisca la rappresentanza dei territori svantaggiati e che non torni indietro rispetto alle esigenze di governabilità.

Il dibattito non può essere ulteriormente procrastinato e non potrà essere autoreferenziale: i cittadini hanno già mandato diversi segnali in questo senso e non perdonerebbero ulteriori scelte di “casta”.

Ci pensino i nostri governanti e ci pensino i consiglieri di opposizione. E pensiamoci tutti noi, che potremo e dovremo esercitare la giusta pressione democratica anche su questo fronte.

Statuto della Regione Autonoma

Sollecitata da alcune formazioni indipendentiste e identitarie, è tornata d’attualità la proposta di riscrittura dello Statuto. Attesa da decenni, rinviata, posticipata, accantonata, sarebbe necessaria per dare nuovo slancio all’Autonomia. Una Autonomia moderna, matura, adulta, sinergica con l’Europa e le altre regioni del Mediterraneo.

Se si volesse, si potrebbe fare.

La soluzione migliore sarebbe la nomina di un’Assemblea ad hoc. Se avessimo un presidente della Regione coraggioso e capace di rilanciare la sua azione politica e la sua stessa immagine l’iniziativa potrebbe arrivare direttamente da lui e dalla sua maggioranza.

La società sarda può contare su risorse immense nel campo culturale, giuridico, imprenditoriale, accademico. Sarebbe l’occasione per rimetterla in moto, coinvolgerla, impegnarla.

Un ottimo presidente di questa Assemblea, sullo slancio del grande impegno per il No al referendum, potrebbe essere Andrea Pubusa.

Non ho molte speranze sul fatto che Pigliaru e la sua maggioranza prendano in considerazione queste tre suggestioni e questi tre ragionamenti. Non mi hanno mai ascoltato in tre anni, figurarsi se inizieranno oggi. Ma era comunque doveroso provarci, nella speranza che almeno tra gli oppositori qualcuno disposto a ragionare su questo ci sia.

 

“Ho molte cose ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare, e a c… tutto il resto” (F. Guccini)