Perché l’azienda Italia va così male? E perché l’apparato pubblico, pur essendo pletorico, è così improduttivo? E come mai le imprese non riescono a tirarsi fuori dal pantano? A queste tre domande è ancora più urgente rispondere in Sardegna.
Una terra in cui l’economia reale già deve fare i conti con il divario imposto dall’insularità e dall’assenza di un serio piano energetico, non può tollerare oltre un sistema burocratico che soffoca nella culla le nuove intraprese e mette i bastoni tra le ruote a quelle che faticosamente devono combattere con una crisi economico-finanziaria che arriva da lontano.
Eppure nessuno, badateci quando leggerete santini e programmi elettorali dei peones che si candidano per uno dei 60 scranni in Consiglio regionale, indirizza il suo sguardo all’oscuro male costituito dall’infernale sistema imperante, costituito da norme, codici, procedure, patti di salvaguardia. Un ginepraio inestricabile, che ingessa gli investimenti pubblici e mortifica gli sforzi di imprenditori e artigiani. Volete esempi concreti? Prendiamo il Piano Sulcis, che negli intendimenti di Governo e Regione avrebbe dovuto essere un laboratorio di buona politica. Un tentativo, cioé, di dare alternative concrete a un territorio costretto alla morte economica e sociale dalla fine dell’esperienza industriale.
Vedere, nel dettaglio, la qualità del lavoro della macchina burocratica è stato sconfortante. Un sistema in cui si è fatta largo la malapianta dei veti incrociati, il mancato coordinamento tra la miriade di uffici pubblici chiamati a fare la stessa cosa e a dare la stessa autorizzazione, e che spesso non parlano tra loro. Il risultato è che gran parte dei progetti diventa vecchia e inattuale non tanto perché la politica non ha saputo programmarli con efficacia, quanto perché non è riuscita a dotarsi di un braccio operativo efficiente. Sarà magari anche colpa del proliferare di enti inutili e di reclutamenti perfezionati con procedure quantomeno opinabili, ma la politica (che di enti inutili e assunzioni pilotate è la prima responsabile) potrebbe e dovrebbe mettere rimedio.
Volete qualche esempio a danno dei privati? Provate a entrare nel girone dantesco delle autorizzazioni edilizie, che ogni governo millanta di aver facilitato. Provate a far valere le vostre ragioni davanti a una commissione tributaria o a pretendere il rispetto di quella norma, quasi sempre inapplicata, secondo la quale un qualsiasi ufficio pubblico dovrebbe rispondere a una vostra istanza entro 30 giorni. Oppure provate a leggere un provvedimento fiscale. Lo Statuto del contribuente prevede che l’oggetto della disposizione debba essere contenuto già nel titolo, ma questo non accade mai.
La dittatura della burocrazia e della macchina pubblica inefficiente sarà scalfita dalla recente riforma varata dal Consiglio regionale? Esperti amministrativisti come Andrea Pubusa l’hanno stroncata sul nascere, notando che a stento mette in regola – o al passo – la nostra regione rispetto a provvedimenti che da altre parti sono regola da almeno vent’anni. Qualcuno dirà che è già qualcosa e noi abbiamo pochi titoli per opporci a questa visione.
Al massimo possiamo provare a ripetere che serve di più. Molto più coraggio e molta piú visione.
Già, serve molto di più, ma anche meno soldi pubblici da sperperare