I piccoli comuni si spopolano e molti di essi tendono a scomparire. Per reazione si tende troppo spesso a scaricare tutte le responsabilità sulla politica, in particolare su quella regionale, incapace secondo alcuni di trovare soluzioni e altresì svogliata nell’intervenire.
Io, volendo uscire dal coro, non mi rivolgo alla politica e al contrario mi chiedo: quanto stanno facendo i piccoli comuni per sopravvivere?
E in tal maniera vorrei interrogare sia i coraggiosi amministratori locali sia – e soprattutto – i cittadini dei piccoli comuni, senza necessariamente buttare la croce sulla politica.
I sistemi economici ottimali si conservano e crescono anche senza bisogno della politica. Per contro, sistemi economici imperfetti sono destinati a morire appunto per questa loro imperfezione, nonostante una politica attenta!
Il sistema economico ottimale è quello dove la ricchezza circola velocemente al suo interno (e quanto più possibile al suo interno!) e i flussi finanziari sono attratti quanto più in entrata e il meno possibile in uscita.
Tutto ciò in una comunità presuppone l’esistenza di una discreta coesione sociale, la consapevolezza dell’importanza vitale del servirsi di fornitori e produttori del luogo, lo stesso dicasi per la forza lavoro, che deve essere reclutata quanto più possibile sotto casa, e inoltre significa coltivare le proprie peculiarità come ricchezze suscettibili di attirare cash-flow dall’esterno.
Un paese dove non esistono individualismo estremo, odio, invidie, piccole faide personali, contrapposizioni per futili motivi, e invece c’è rispetto reciproco, spirito collaborativo e nessun tentativo di sopraffazione verso l’altro, con al contrario la tendenza alla valorizzazione delle caratterizzazioni storiche, linguistiche, tradizionali, enogastronomiche, in una visione di esse come prodotto di nicchia, si avvicina abbastanza al sistema economico ottimale.
Purtroppo tanti nostri paesini vedono al contrario contrapposizioni forti, odio e invidie verso il prossimo a noi più vicino, tutte cose che ovviamente si manifestano anche con scarse interazioni economiche tra i cittadini, che dunque si rivolgono all’esterno, generando deleteri flussi di cassa in uscita, e impedendo nel contempo la circolazione di ricchezza all’interno del sistema.
Situazione spesso accompagnata dal non coltivare le proprie peculiarità, spesso per ignavia o per stupidità, o ancora per una visione distorta della modernità, che significa non generare entrate dall’esterno e dunque il degrado verso un sistema economico fallimentare!
Non si tratta di mere valutazioni sociologiche dilettanti, alcuni anni fa le stesse relazioni economiche del Banco di Sardegna indicarono l’individualismo e l’invidia applicata ai sistemi economici una delle cause del sottosviluppo dell’isola!
Purtroppo spesso i sindaci dei piccoli centri, invece di puntare sul cambiamento da un sistema imperfetto e fallimentare a un sistema ottimale e che crei sviluppo, insistono con le sovvenzioni, l’assistenzialismo, il sostegno pubblico a “essere piccoli”, creando dei palliativi temporanei e incancrenendo il problema. Il peggio è che i cittadini solitamente vedono in tale posizione, l’unica via percorribile e conseguentemente sostengono e votano sindaci del genere!
E così i comuni vivacchiano passivamente, sperando di rallentare la discesa (invece di evitarla), cercando dunque disperatamente di allungare il più possibile la vita del proprio paese, considerato quindi già destinato a morire! La colpa è dunque della disattenta politica regionale? Anche, ma non principalmente!
La responsabilità è fondamentalmente del cittadino comune, che – incapace di fare sistema e di contribuire a creare un sistema economico ottimale – si rassegna alle piccole sovvenzioni e le pretende come panacea del proprio male!
Qualcuno potrebbe eccepire che non è creando 300 piccole autarchie o 300 piccoli sistemi chiusi che si crea un sistema Sardegna efficiente. Non si tratta ovviamente di autarchie o di sistemi chiusi.
I nostri piccoli paesini hanno già di per sé, per loro conformazione e localizzazione, delle bilance commerciali fortemente negative. Si comprende benissimo che al momento di acquistare un’autovettura, un macchinario di lavoro, prodotti iper-tecnologici, i cittadini dei piccoli centri devono necessariamente rivolgersi all’esterno, spesso addirittura fuori dall’isola, come è facilmente intuibile il fatto che al di sotto di un certo numero di abitanti (che io stimo attorno ai 2000) anche le più banali attività manifatturiere e le intraprese commerciali più semplici (abbigliamento, telefonia, e tutti i punti vendita al dettaglio in genere) comportano dei costi fissi che rendono non sostenibile l’iniziativa.
Non si tratta dunque di creare sistemi chiusi, bensì di ridurre il più possibile il segno meno della bilancia commerciale di ogni comunità.
Cambiamo dunque mentalità: un sistema economico funzionante è quello dove esiste collaborazione, mutuo soccorso, atteggiamento positivo verso gli altri, conservazione delle proprie peculiarità e trasformazione delle stesse ricchezze intangibili in plusvalore.
Dove non esiste odio, invidia, contrapposizione sterile e per banalità, cose che purtroppo si ripercuotono negativamente nelle interrelazioni economiche interne e nei flussi finanziari in uscita dal sistema.
I sindaci dei piccoli centri possono ovviamente sollecitare queste esternalità positive: innanzitutto promuovendo un atteggiamento positivo e propositivo ai propri cittadini, smorzando le tensioni e garantendo una politica di giustizia sociale che non metta uno contro l’altro i cittadini in assurde e spesso frequenti “guerre tra poveri”; inoltre si possono porre in essere strumenti atti a fidelizzare il cittadino-cliente verso gli acquisti in loco (centri commerciali naturali, sconti sulle imposte comunali e sui canoni per i servizi comunali per chi acquista da venditori e produttori locali, strumenti che permettano di avere sconti da Tizio se acquisti da Caio, etc) e si devono proporre iniziative anche estemporanee di valorizzazione delle proprie peculiarità che portino periodicamente dei discreti flussi finanziari in entrata.
Ma è fondamentale la mentalità del cittadino comune: se non si fa sistema, il sistema crolla! E la politica poco può fare, se non cambia la testa del singolo abitante!
Analisi che condivido in pieno. Sottoscrivo ogni singola frase. Aggiungo che chi volesse, da cittadino, far proprio questo modo di agire deve essere costante e tenace. Il momento in cui arriverà la delusione nel vedere che i propri compaesani non sposano la medesima filosofia é dietro l’angolo, ma questo non deve far svanire questa voglia di cambiamento e di collaborazione. É necessario essere l’esempio. Sempre
Se posso, vorrei proporre una NOTA scritta in Italiano, che analizza il Problema espresso da Roberto Mette, daun altro punto di vista: https://www.facebook.com/notes/paolo-leone-biancu/perch%C3%A9-la-sardegna-sta-spopolandosi-ancor-pi%C3%B9-allinterno-quali-le-cause/10153891708331327
IO di recente ho fatto una proposta, ma ne avrei altre cento da fare, quella delle reti sinergiche fra paesi che “sanno” qualcosa da offrire. Il fatto è che la fantasia produttiva è scomparsa da sempre, da quando è finito l’acquisto “a libretto” nei negozietti sotto casa, che voleva dire bisonzu, ed è iniziata quella dell’assegno da riscuotere mese per mese, per “assistenza” e doppio lavoro, che ha voluto “vizio e falso bisogno”…. Il resto lo hanno fatto i fazzoletti di carta che hanno soppiantato quelli di stoffa.. Fazzoletti che sono serviti “non per piangere”, perchè a quel punto non siamo arrivati, ma per “piangerci addosso”.. a quello sì… ca semus pidores…
Ma come fate a dire che la politica Regionale è esente da colpe quando invece tutte le colpe sono proprio politiche. Anzi sono da attribuire esclusivamente alla mancata azione politica, che si occupa di tutto escluso di politiche di sviluppo. C’è solo da piangere mentre in auto attraversi il Campidano di Cagliari e poi quello di Oristano per proseguire sulla 131 verso Sassari o verso Nuoro. A me francamente mi pianga il cuore vedere tutti quei campi, i più fertili della Sardegna, dotati dei più moderni sistemi di irrigazione, di strade e di tutti i servizi necessari per produrre beni agricoli che obbligatoriamente compriamo da “fuori” È forse colpa dei nostri paesani che aspettano politiche assistenziali? Oppure preferiscono partire carabinieri o “zeracche” a CAGLIARI o in continente? Mai uno, dico un, che a 20 anni e ingegnere e comanda su 20mila o 30mila persone! Mai uno che con un altro di un paese vicino si mettono insieme per produrre pezzi da vendere alla FIAT oppure a produrre cuscinetti a sfera! Ai nostri giovani piace di più pascolare pecore oppure capre e aspettare i premi per il benessere animale che distribuisce la Regione con soldi dell’Unione Europea. Voi dite che non hanno spirito imprenditoriale e preferiscono abbandonare il paese o passare intere giornate al Bar scalando bottiglie di Ichnusa da 9,60 (vera economia dei nostri paesi seppure ristretta a quattro baristi e a due pizzerie da asporto! Ditemi però, Voi che siete esperti di sistemi economici capaci di far girare la moneta all’interno di piccole comunità, se esistono produzioni agricole in grado di produrre reddito, e se ci sono, indicatemi quali? Perché io credo che non esiste nessuna produzione agricola in grado di sopportare gli alti costi di produzione, primo fra tutti il costo dell’acqua, ma non solo. La colpa non è solo dell’acqua ma proprio dalla mancanza di una vera e propria politica agricola a supporto degli agricoltori sardi. La Regione offre assistenza agricola, ma solo a parole perché gli Enti preposti all’assistenza agricola si occupano della sagra de ceci o della festa de su pani arrivai ma anche dell’economia del fagiolo di Austis o della Mintagna Oriduce di Desulo è mai di vera assistenza ai contadini per indicare l’introduzione di prodotti di cui si prevede una maggiore richiesta nei mercati più prossimi alle zone di produzione. Mai che affianchino i nostri contadini per seguirli con nuove tecniche di produzione o che indichino politiche di mercato che diventino certezze per il coolccamentio dei loro prodotti. La realtà è che manca una vera politica agricola e come manca una vera politica commerciale, artigianale, turistica. Ma anche industriale o del lavoro. Si pensi ai cantieri comunali in economia gestiti direttamente dai Comuni, in grado di dare lavoro a venti o trenta addetti residenti nel paesello. Manca una vera e propria politica di programmazione delle ingenti risorse economiche a disposizione della Regione. Per la cooperazione, a fronte di 10 milioni destinati alla produzione, altrettanti sono destinati a enti di assistenza in materia di cooperazione, ma ingenti risorse sono destinati a sindacati e associazioni di categoria che poi si fanno pagare per le loro prestazioni. Date uno sguardo al bilancio dell’Agenzia del Lavoro il cui compito istituzionale e quello di far incontrare la richiesta di lavoro con l’offerta di lavoro, che spende milioni per far incontrare una richiesta inesistente con una offerta spesso non qualificata, che negli ultimi 10 anni ha prodotto solo due notevoli carriere polititiche di lungo corso. La verità è che aldilà di seri studi come quelli presenti in questo post, manca una vera politica regionale, che, al contrario, invece di implementare idonee azioni, vive del nulla e si preoccupa più della propria sopravvivenza o dell’opportunità di farsi notare dal capeto scendendo in campo per far votare Si al Referendum. Più di trecento Sindaci hanno richiesto l’attuazione della Zona Franca Integrale, doganale e fiscale. Potevamo parlarne insieme e vedere cosa fare. Invece no! I nostri esperti professori che compongono la Giunta Regionale no, non la vogliono e basta. È se lo dicono lo si, ,è meglio cosi
Assolutamente d’accordo. Serena giornata.
Caro Virgilio, niente di personale sia chiaro, ma permettimi una domanda: quelli di cui ti lamenti e ci lamentiamo, chi ce li ha messi? In base a che cosa li abbiamo scelti? In base alla possibilità di ricevere aiuti o in base alle loro capacità di lungimiranza politica ed economica? Ma se non andiamo nemmeno a votare di cosa ci lamentiamo? Fosse possibile mettere insieme tutti gli interventi di lamentazioni che stiamo facendo e facciamo e riuscire a stilare una statistica. Alla fine forse ne uscirebbe un numero. Quanto ci giochi di scommessa che quel numero alla fine non corrisponde col totale dei votanti e nemmeno di coloro che dicono di votare contro? Vogliamo fare una scommessa col referendum di domenica prossima?.. Io lo sto scrivendo a futura memoria… Nel mentre ho una paura bestiale che i fatti diano ragione proprio a .. questa… mia.. paura.. bestiale…….. Chi vivrà vedrà.. Quanto vorrei sbagliarmi e Dio solo lo sa che dico il vero…
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Mah….
Purtroppo l’ignoranza che ci avvolge è il nostro peggior nemico e possiamo riempire tanti fogli per ricoprire di colpe l’uno o l’altro. Nei territori, non possiamo nasconderlo ,imperversa una sottocultura di enormi proporzioni dove nascono anche gli amministratori comunali che gestiscono il presente e il futuro di queste comunità sempre più piccole. La miseria culturale spinge i corpi a trovare i risultati nel più breve tempo possibile per poter sfamare gli appetiti primari.
Purtroppo la mancanza di una politica programmatica che avesse come scopo quello di creare un tessuto culturale e produttivo e ciò che ha portato la Sardegna delle diverse culture a questo stato.
Ad eccezione di pochissimi la maggior parte dei paesi si svuota e i pochissimi giovani si accingono a cercare un ambiente che gli garantisca un lavoro ed una vita sensata.
La politica regionale dovrebbe cercare tutte le possibilità per trovare una soluzione, che poi non è così difficile , e mettere le basi per costruire un sistema culturale ed economico che possa ridare dignità a quei paesi che sono la vera storia della Sardegna e possono realmente essere il futuro economico di una ricca terra abbandonata al triste destino causato troppo spesso dalla ignoranza.