Continuano a crescere, anche se piano e faticosamente, le strade del grano.
A indicarne sentieri di pregio oggi si è in tanti. Nel Monte Granatico di Nuraminis, qualche giorno fa, un incontro importante ha dato la possibilità di individuarne percorsi diversi. Resiste la volontà di tornare alla tradizione, per motivi anche differenti ma sempre diretti verso una scelta di vita di qualità, che deve fare i conti però, pare, con delle scelte politiche che ci inducono a riflettere.
Domanda: a chi appartiene il grano recuperato, seme dopo seme, da appassionati, custodi di sementi, contadini e quantaltro e affidato a chi dovrebbe custodirlo per poi diffonderlo nuovamente affinché torni a essere il nostro sano pane quotidiano?
Dall’introduzione al convegno dell’assessore nuraminese all’agricoltura Enrico Podda, innamorato della sua terra e della buona creanza, si è capito perfettamente quali siano i motivi che hanno indotto lui e un gruppo di appassionati e di competenti, ancora in embrione, ad interessarsi di un cambiamento possibile nel mondo dell’agricoltura, partendo dalla semina del grano antico per giungere ad un’alternativa economica a sostegno del territorio e della salute del cittadino.
Grano per la semina che deve essere di tutti e di ognuno e, soprattutto, di coloro che lo amano e vorrebbero inserirlo nuovamente, elemento sacro come lo era un tempo, sulla tavola di un futuro più a misura d’uomo. Perché il grano appartiene ai contadini che lo depongono nella terra e alle donne che ne fanno pane per i propri figli. Il grano appartiene alla terra.
E a chi, come Marianna Virdis e il marito Francesco Mascia, gioielli di un mondo che vorremmo, dell’azienda “Sa Laurera” di Villanovaforru, che hanno recuperato il grano antico seme dopo seme e lo hanno seminato nei vasi per farlo crescere con le attenzioni che si riversano sui figli appena venuti al mondo. Per alcune qualità sono partiti da appena 150 semi e ora sono arrivati ad averne una quantità discreta per poter continuare questo gioco d’amore. E si vede. I loro occhi, mentre raccontano, brillano e sono buoni e belli come la terra che coltivano, ancora, a mano.
Si capisce, oltremodo, che da un valore identitario compiuto non può che discendere in linea retta una, altrettanta, qualità compiuta. E questo è ciò che anche il mercato, quello locale e quello globale, apprezza maggiormente. Qualità che significa innanzitutto genuinità del prodotto legata, ovviamente, ai saperi e alla particolarità del territorio che l’ha generato e maturato e ne ha preservato per secoli e secoli integrità e specificità, come ha fatto notare l’agronoma Tiziana Sassu, anche lei al servizio della biodiversità.
Del resto, sappiamo tutti cosa è successo in questi ultimi anni con una coltivazione intensiva a trasformazione industriale forzata aiutata e fondata sulla chimica. Malattie a profusione, a iniziare dalla celiachia e per non parlare delle altre. E un mercato alterato, sottomesso alle multinazionali tiranne del grano, che non mantiene un prezzo adeguato neanche per le varietà moderne (pochissime a discapito della biodiversità) e sempre più costose perché per mantenerne la resa necessitano in misura sempre più crescente di anticrittogramici, antiparassitari, fertilizzanti e così via. E allora?
Con le varietà tradizionali del grano sardo, gli antichi guerrieri Biancu, Arrùbiu, Moru, Murru, Cossu, Scolone, abbiamo una grande possibilità per invertire tutto questo. O almeno tentarci, iniziandone la semina: un campo di Nuraminis li attende e uno di Samatzai aspetta le leguminose, ma ….
Il direttore della sperimentazione agricola regionale dice che non possono distribuire il grano da semina ai piccoli contadini, che loro sono un’azienda pubblica, che può essere visitata da chiunque, lavorano per noi però, per problemi legati all’assenza di linee guida, direttive e quantaltro, i contratti preferiscono farli, per prudenza ovviamente, con “organismi di un certo rilievo”, di una “certa consistenza economica” e di “un certo impatto nell’economia della Sardegna”. In poche parole svanito il sogno di alcuni chicchi di grano da mettere a disposizione di tutti, affinché tutto torni ad essere di un grano più genuino. Le giustificazioni non mancano a iniziare dalla trasparenza e dall’opportunità.
Allora potremo anche noi almeno conoscere il nome, il perché, il come di queste decisioni?
“Magari non è cosi”, dicono i presenti “e noi abbiamo capito male”.
In questa fredda serata di Novembre, con l’auspicio di una primavera seminata con il nostro grano, racconti di scelte di vita ci restituiscono sollievo: Stefano Pibi, cagliaritano, ha abbandonato un lavoro da ingegnere per passare a fare il pane scommettendo su un’economia nuova e vincente, seguendo l’esempio di imprese forestiere (copiare cose intelligenti si può); Andrea Maccioni di Mogoro, anche lui ingegnere, sceglie di fare il mugnaio continuando la tradizione di famiglia. Di Marianna e Francesco abbiamo già detto.
Ricordate la favola del Gatto con gli Stivali, che fece diventare ricco il padrone dai buoni sentimenti? Forse tutto questo potrebbe essere l’inizio di quella favola. Noi ci crediamo.
Cortese redazione, Gentilissima Cristina Serra
Ci tengo a ringraziarVi di aver prestato attenzione alla nostra iniziativa, che sicuramente non è una grande novità, e nemmeno una bacchetta magica, ma si è visto che quest’argomento suscita già tanto interesse in tante altre regioni e paesi del mondo, quantomeno da noi in Sardegna.
Certo non pensiamo di fare un’altra battaglia del grano ma almeno a proiettarci per recuperare attraverso la nostra identità e le nostre tradizioni, elementi che sono talmente semplici , vitali e scontati per noi, cioè i cereali e legumi. Questi sono alla base della catena alimentare e i più semplici alla coltivazione nei nostri territori. Ci chiediamo dunque perché importare da altre lontane realtà una risorsa così a portata di mano che si può già ottenere facilmente qui da noi? E non solo. A essi sono legate le economie rurali sempre più a disagio che stanno finendo per abbandonare le nostre campagne.
In più sappiamo degli inconvenienti legati alle tecniche moderne di produzione sempre più impegnative, costose, inquinanti e poco remunerative che portano pure al diffondersi sempre in crescendo di nuove problematiche salutari anche molto gravi.
Coltivare nuovamente cereali e leguminose antiche, secondo noi, potrebbe essere una valida soluzione soluzione integrativa e multifunzionale. Si otterrebbero produzioni di notevole qualità che potrebbero essere trasformate localmente e offerte al consumo in filiera corta, creando occupazione, risparmiando sui trasporti, e migliorando l’ambiente poiché questi non richiedono fertilizzanti chimici e diserbanti.
Con questa idea abbiamo sviluppato questo progetto che vogliamo seguire concretamente e provare a sensibilizzare tutti per intraprendere una strada diversa e percorribile in ogni direzione, utile per chiunque ad iniziare dal beneficio dell’ambiente, poi dal produttore e al consumatore finale.
A breve semineremo le nostre poche disponibilità di cereali e grani antichi che possediamo per moltiplicarli cercando di coinvolgere nel nostro piccolo ogni circostanza ed opportunità a iniziare dall’istruzione scolastica locale che come i semi antichi rappresentano un fertile futuro per i nostri amati territori e per le genti dell’intera regione.
Cordiali saluti, Enrico Podda.
OTTIMA INIZIATIVA CHI SEMINA PRIMA O POI RACCOGLIE……