Anthony Muroni ha condotto un lavoro rilevante con il ricostruire per Arkadia editore la figura di Mario Melis, il Presidente dei Sardi. Lo ha fatto ripercorrendone la vicenda umana e politica attraverso la testimonianza dei suoi familiari e delle persone che con il leader sardista hanno condiviso eventi politici importanti della storia contemporanea della Sardegna.

In una fase, quella incontrata a metà degli anni ottanta, di passaggi rilevanti. Il 1984 è al centro di un decennio sul quale incombe l’ombra del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro. La Dc è nel pieno della sua crisi di egemonia, mentre il PCI, esaurita la politica di unità nazionale, vive la sua incompiuta transizione verso una politica nuova non ancora definita. Il PSI, nonostante la forza della leadership craxiana, non trova il suo decollo verso una dimensione meno fragile.

In Sardegna, con la fine del breve corso dell’Intesa Autonomistica, conclusosi con il decennio passato, la DC avevaperduto la sua centralità, mentre non si delineava una alternativa credibile.

Che si presenta invece nel 1984. Il Psdaz, con la guida di Mario Melis,ottiene un gran successo con dodici consiglieri. Allora il Presidente non era eletto dal popolo. Tuttavia il risultato elettorale e l’indubbio carisma di Melis crearono le condizioni perché convergesse sul suo nome il consenso dei partiti di sinistra e laici, lasciando la DC all’opposizione. 

Credo di poter affermare che Mario Melis sia stato, in qualche misura, una sorpresa per alleati e avversari. Le sue caratteristiche umane, culturali e politiche trovarono infatti, proprio in virtù della carica, una positiva esaltazione. Aveva intanto, la capacità di collegare e giustificare anche gli atti di routine alle finalità e ai principi per i quali si batteva. Inoltre possedeva il senso dell’istituzione e il rigoroso rispetto per il mandato che gli era stato conferito nell’interesse del popolo sardo come valore supremo.

Questo gli consentiva di affermare che noi, Regione Sarda, siamo lo Stato nel nostro ambito. Il che era tutt’altro che la negazione dello Stato, ma, al contrario, la sua esaltazione come soggetto federale.

Questo insieme produceva una linea di condotta rigorosa e indefettibilmente coerente al mandato ricevuto.

Questo e altro ancora evidenzia il libro di Muroni. L’ho letto con grande emozione, perché vi ho trovato la traccia di momenti importanti della nostra vicenda politica e il ricordo di una stagione come non mai fertile della mia esperienza.

Certo, non abbiamo raggiunto la terra promessa né il regno di Bengodi. La storia è fatta di alti e bassi, di avanzate e di arretramenti.

Però mi pare di poter dire che il richiamo a quelle vicende, reso più vivo da una ricca aneddotica,  è la testimonianza di un tempo, di un clima  e di un’esperienza, nel complesso irripetibili.